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Han giurato: Non fia che quest' onda
Scorra più tra due rive straniere,
Non fia loco ove sorgan barriere
Fra l'Italia e l'Italia, mai più!
L'han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell'ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
Già le sacre parole son porte:
O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suol!
Chi potrà della gemina Dora,

Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell' Orba selvosa
Scerner l'onde confuse nel Po;
Chi stornargli del rapido Mella,
E dell'Oglio le miste correnti,
Chi ritogliergli i mille torrenti
Che la foce dell' Adda versò,
Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor:
Una gente che libera tutta,
O fia serva tra l'Alpe ed il mare;
Una d'arme, di lingua, d' altare,
Di memorie, di sangue e di cor.

Con quel volto sfidato e dimesso,

Con quel guardo atterrato ed incerto,
Con che stassi un mendico sofferto 1
Per mercede sul suolo stranier,
Star doveva in sua terra il lombardo;
L'altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato un segreto d' altrui;
La sua parte servire e tacer.

1 Vale tollerato per caritá.

O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia, e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
Da una terra che madre non v'è.
Non vedete che tutta si scote
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
Sotto il peso de' barbari piè?
O stranieri! Sui vostri stendardi
Sta l'obbrobrio di un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito

V' accompagna all' iniqua tenzon:

Voi che a stormo gridaste in quei giorni:

1

<< Dio rigetta ' la forza straniera;

» Ogni gente sia libera, e pêra
» Della spada l' iniqua ragion. >>
Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de' vostri oppressori,
Se la faccia d'estranei signori
Tanto amara vi parve in quei dì,
Chi v' ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell'itale genti?
Chi v' ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che vi udì?
Sì, quel Dio che nell'onda vermiglia
Chiuse il rio 2 che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio ed il colpo guidò;
Quel che è padre di tutte le genti,
Che non disse al Germano giammai:
<< Va, raccogli ove arato non hai,
» Spiega l' ugne, l'Italia ti do. »
Cara Italia! dovunque il dolente

3

Grido uscì del tuo lungo servaggio;
Dove ancor dell' umano lignaggio

1 Qui vale respinge.

2 Cioè, il tiranno Faraone.

3 Quanta forza e sublimità di concetto in tanta semplicità di parole!

1

1

Ogni speme deserta non è;
Dove già libertade è fiorita,

Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lagrime un'alta sventura,
Non c'è cor che non batta per te.
Quante volte sull'Alpi spiasti

L'apparir d'un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
Ne' deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
Stretti intorno a' tuoi santi colori,
Forti, armati de' propri dolori,
I tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni

Il furor delle menti segrete;
Per l'Italia si pugna; vincete !
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convito de' popoli assisa,
O più serva, più vil, più derisa
Sotto l'orrida verga starà.
O giornate del nostro riscatto!
O dolente per sempre colui,
Che da lunge, dal labbro d' altrui,

Come un uomo straniero le udrà !
Che a' suoi figli narrandole un giorno

Dovrà dir sospirando «Io non c'era; »
Che la santa, vittrice bandiera

Salutata in quel dì non avrà. 1

1 Vedi pag. 250, nota 1. Anco qui v'è un misto di sublime e di semplice, di pensieri profondi e di affetti gentili, d'arte raffinata e di naturalezza quasi sprezzante d'ogni ornamento, che rende la poesia cara al popolo e meravigliosa ai dotti.

E così ha da intendersi la popolarità nelle grandi opere d'arte, voglio dire che il loro linguaggio deve essere intelligibile a tutti, ma dire di più ai pochi che ne sanno di più. E tale si può dire che sia in generale il carattere delle poesie del Manzoni. Esse (tranne qualche similitudine un po' troppo artificiosa) son facili a intendersi; perchè ciascuno, pensandoci un poco, ne afferra il concetto che direi essenziale; ma sono al tempo stesso difficili per chi voglia penetrarne le più riposte bellezze.

254

CESARE ARICI.

I.

LA SETE E LA RABBIA.

Crudele, intolleranda, impazïente

Di soccorso, fra quante arma natura
Necessitadi del mortale a' danni,

Certo è la sete; che delusa a lungo

Volta in ismanie, in rabbia, e d'ogni Erinni
Passa le furie. Poichè indarno ai petti

Arsi fe' guerra, nè dell'acque stilla
Temprò del concitato e caldo sangue
Le correnti, l'atroce avida brama

Cangia in torto disdegno; e quel che addentro
Cosse immenso desir, fassi tremendo
Abborrimento sconsolato e morte.
Così, come per lunghe ingiuste fami
E dolenti ferite, e servir duro
A la catena, o rangolo astïoso

3

Della contesa Venere, l'infesta
Paurosa e mortal rabbia s' apprende
Al fido cane; anco per sete, a lungo
Sostenuta, il crudel morbo si svolge.
Ahi, qual delirio, o ineluttabil fato

1 Dall' Origine delle Fonti, lib. I.

Cioè, si volge, si mula.

3 Rangolo, vale cura ansiosa e rabbiosa, stizza che consuma, che rode. Di qui arrangolarsi, cioè consumarsi di rabbia, limarsi dentro, ec. Queste voci sono dell' uso vivo toscano.

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L'umanissima belva1 a guerra mena

Contro se stessa e contro l' uom, cui prima

Obbediente, mansueta e cara,

Seguía compagna nelle cacce e ai rischi

Inopinati della via! Qual fiero
Caso, qual nuovo démone la mite

Indole a furor tanto, a tanta estrema
Sconoscenza e miseria ultima addusse,
Che in rei digiuni, in ciechi assalti e stolti
Rivolgimenti ed agonie l'uccide?

Da lieto, aperto e confidente, or come
S'è fatto triste e pauroso, e ringhia
A chi il palpa e festeggia e l' accarezza?
Dalle soglie vegliate entro ai più scuri
Aditi della casa a ricovrarsi

Va spesso, ombroso; e quella che gli piacque
Luce del giorno e compagnia festosa
Della famiglia, solitario, abborre.

Torbo, inquïeto il guardo affigge, ed acre
Fervor dai costernati occhi dardeggia;
Cibo e bevanda al par rifiuta; e stanco
Qualor s'acquatta per dormir, sommesso
Geme, e al ribrezzo che lo assal si desta.
Questi dell'ira, già concetta, indizi
Da l' infelice ai primi dì; più intensa
Quindi lo incalza ed agita e dimessa
Fra le gambe la coda, ed appassita
La lingua, e il varco delle fauci avvolto
E stipato di schiuma, al dolce ostello,
Fatto presago del morir, s'invola.
Ahi, chi seguirne i passi a la foresta,
le fughe
Miserande e i conflitti e il furor pazzo
E gl' impeti e l' angoscia, che la pronta
Fiera morte del misero accompagna?

Chi udir potría, non che narrar,

Qual trasognato or lento incede, or prende

Belva nell' uso comune vale fiera, bestia feroce; ma qui è posto latina

mente per animale, bestia, senz'altro.

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