Rapide corse, e scambia loco: incerto Sempre; al romor dell' acqua, benchè adusto Dalla sete, s'arretra e raccapriccia. Cerca solingo ove più l'ombra addensi La selva, e al sol s'asconde ed all'aperto Splendido cielo, ed ulala alla luna;
Il suon lo irrita e la minaccia a un modo, Nè latra ei più, ma fra singulti e guai Rompe e interrotti mormora lamenti; Talor monta in furore, e sovra quanti Piccioli e grandi altri animali incontra Disperato s'avventa, e morde, e fugge. E fugge innanzi a lui da repentino Terror percossa ogn' altra belva, e grida Pur della vista; perocchè, mordendo E morendo, l'innesto in altri ancora Stampa dell' ira e la fatal dell'acqua Nimistà: di cui forse atroce e crudo Il disagio e il bisogno un di sostenne.
AGAR NEL DESERTO.1
Dal ricco ostello, in che fu sposa E madre, e dove acerbi e duri oltraggi Sostenne e il cenno di partir col figlio, Erasi tolta alfin la pellegrina Agar d'Egitto: il cor pieno e la mente Dei rabbuffi di Sara, e del commiato Che il suo signor con lagrime le porse; E non altro con seco al suo viaggio La poverella si traea, che il figlio A mano, e scarso pane, e di serbata Acqua un'idria ricolma, che le fosse Viatico pel lungo aspro cammino
1 Dall' Origine delle Fonti, lib. I.
Che dalla terra la partía de' suoi.
Ancor degli anni in fiore, ancor di tutta La persona leggiadra, a cui nè l' opra Nocque di madre, nè d'ancella il carco, Soletta uscia non senza pianti a lochi Inabitati, ed all'ospizio antico Volse cogli occhi l'ultimo saluto. Se non che a' rischi della via selvaggia Il cor le avvalorava alta promessa: Che di non nati ancor popoli ignoti Ponea padre Ismaello; onde secura Negli accolti presagi, avventurarsi Ardi col figlio a nuovi regni: uscita Dalla casa d'Abramo, iva con lei Non visibile a' fianchi un benedetto Soccorritore a provederne i passi. Ma poche stille omai della serbata Idria cresceano all'esule il travaglio Della via; nè vestigio era d'intorno D'acque che si paresse 2 ai sitibondi: E più sempre lontano apriansi i campi Sterminati. Già fiacco e dispossato Cadea il ginocchio a la meschina, e il petto Le combattea l'anelito e il mortale Sitir per cammin tanto ognor deluso; E non per questo (dappoichè finito Vide il fanciul giacersi in su l'arena) Recossi in collo il morïente, e nuove Spiò contrade e sentier nuovi. Indarno Tornò la notte, e il sol novellamente
Surse all' incendio usato; ond' ella il dolce Lasciò cadersi da le spalle incarco,
E compostolo a piè d' un arboscello
Cioè, il pensiero che le rimanevano sole poche stille dell'acqua serbata, le cresceva il travaglio della via. Il pensiero non è espresso assai propriamente. 2 Si mostrasse, apparisse.
Qui si parrà la tua nobilitate.
Antologia della Poesia italiana moderna,
« Ch'io non ti vegga almen, disse, morire, Sventurato figliuol, cogli occhi miei! >> E in così dir, più che potea lontana Si dilungò la madre a pianger sola. Quando dinanzi a lei stette improvviso L'Angiol benigno a confortarla: «< Udito Ha Dio, le disse, d' Ismael la voce; Cessa l'affanno, al figliuol torna, e vivi. » Volse la tramortita Agar la fronte A le parole; e nel levar gli stanchi Occhi di tanto lagrimar confusi, Opra di Dio, lucente onda vivace Vide l'afflitta tremolarle a' piedi.
La legge è bandita: la squilla s'è intesa.
È il dì de' coscritti. Venuti alla chiesa, Fan cerchio; ed un'urna sta in mezzo di lor. Son sette i garzoni richiesti al Comune; Son poste nell' urna le sette fortune; Ciascun vi s' accosta col tremito in cor.
Ma tutti d'Italia non son cittadini?
Perchè, se il nemico minaccia ai confini, Non vanno bramosi la patria a salvar? Non è più la patria che all' armi gli appella; Son servi a una gente di strania favella, Sottesso le verghe chiamati a stentar. - Che vuol questa turba nel tempio sì spessa?
Quest' altra che anela, che all' atrio fa pressa, Dolente che l'occhio più lunge non va? Vuol forse i fratelli strappar dal periglio? Ai brandi, alle ronche dar tutti di piglio? Scacciar lo straniero? gridar libertà? Aravan sul monte: sentito han la squilla,
Son corsi alla strada, son scesi alla villa, Siccome fanciulli traenti al romor.
Che voglion? del giorno raccoglier gli eventi, 1 Attendere ai detti, spiare i lamenti,
1 Cioè, vi accorrono non per altro che per la curiosità di sapere le novità del giorno, e chiacchierarne poi insieme : ecco tutto.
Parlarne il domani senz' ira o dolor. Ma sangue, ma vita non è nel lor petto? Del giogo tedesco non v' arde il dispetto? Nol punge vergogna del tanto patir? Sudanti alla gleba d'inetti signori, N'han tolto l'esempio; ne' trepidi cuori Han detto: Che giova? siam nati a servir. Gli stolti!... Ma i padri? — S'accoran pensosi, S'inoltran cercando con guardi pietosi
Le nuore, le mogli piangenti all'altar. Su i figli ridesti coll' alba primiera Si disser beati: Chi sa se la sera
Su i sonni de' figli potranno esultar!
E mentre che il volgo s'avvolta e bisbiglia, 1
Chi fia quest' immota che a niun rassomiglia, Ne sai se più sdegno la vinca, o pietà ? Non bassa 2 mai 'l volto, nol chiude nel velo, Non parla, non piange, non guarda che in cielo, Non scerne, non cura chi intorno le sta. È Giulia, è una madre. Due figli ha cresciuto;
Indarno! l'un d'essi già 'l chiama perduto: È l'esul che sempre l'è fisso nel cor.
Penò trafugato per valli deserte;
Si tolse d'Italia nel dì che l'inerte Di sè, de' suoi fati fu vista minor. Che addio lagrimoso per Giulia fu quello! Ed or si tormenta dell'altro fratello; Chè un volger dell' urna rapire gliel può. E Carlo dei sgherri soccorrer le file! Vestirsi la bianca divisa del vile!
Fibbiarsi una spada che l' Austro aguzzò! Via via, con l' ingegno del duol, 3 la tapina
2 Bassare per abbassare è dell' uso antico,
Si che bassando il viso tutto smuore, E d'ogni suo difetto allor sospira. DANTE, Rime.
3 L'ingegno del duolo. È modo bello e vero Spesso l'uomo, quando è in preda a' grandi timori, è ingegnoso a tormentarsi, pensa sempre al peggio.
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