Travalica il tempo, va incontro indovina Tien dietro a un clangore di trombe guerriere, Che sboccano al piano per altri sentieri, Un sprona da manca, lo assal col fendente, Son quei che alla vita portò nel suo sen. S'arretra il materno pensiero atterrito, Ne scruta un severo la varia fortuna, E Giulia reclina gli attoniti rai Sul figlio, e lo guarda d'un guardo che mai Con tanto d'amore su lui non ristè. Oh angoscia! ode un nome; - non è quel di Carlo; Cioè, del pericolo, nel quale ella si trova in quel giorno, che deve decider la sorte di suo figlio. È un'altra la madre che piange per lui. Che grazia il suo prego su in Cielo trovò. Le allevia un sospiro: con men di paura La settima sorte sta Giulia ad udir. L'han detta; — è il suo figlio: doman vergognato, Al cenno insolente d'estranio soldato, Con l'aquila in fronte vedrallo partir. II. MATILDE. La fronte rïarsa, Si desta, s'interroga, « Cessate dai carmi; » Non ditelo sposo: » Sul volto all'esoso, » Ravvisa la sordida » Prontezza al servaggio, » L'ignavia, la boria » Dell' austro guerrier. Immagina il Poeta che a' tempi dell' oppressione straniera in Italia Matilde abbia sognato che il padre volesse darla in isposa ad un soldato austriaco. >> Rammenta chi è desso, >> Non mescer l'oppresso » Fra i servi e i tiranni Le trepide braccia, Che Dio non le dà. L'anello è svanito; Ha bianco il vestito, 1 E fra le Romanze del Berchet delle più accurate nella forma, e delle più poetiche nel concetto. Paragona queste due poesie a quelle del Manzoni, e vedi pag. 250, nota 1. L'amor della patria e la consonanza de' pensieri e de' sentimenti del Berchet con quelli che si venivano sempre più diffondendo in Italia, diedero alle sue poesie una celebrità popolare, che altre poesie di molto maggior pregio letterario non potranno conseguire: però nella storia della nostra letteratura risplenderà il nome di Giovanni Berchet, e sarà lodato e proposto in esempio il nobile intento, a cui rivolse l'ingegno, anche quando saranno dimenticati allatto i suoi versi, » Così, e giustamente, Francesco Ambrosoli. 264 SILVIO PELLICO. I. TANCREDA. 1 E voi pur, mie native itale balze, Siete albergo di prodi. A quelle antiche La sacra valle, e visitai quel loco Di scarsi, annosi pini una fontana * 1 Il Poeta immagina che questo Poemetto sia stato cantato da un trovatore saJuzzese alla Corte del suo signore, all'occasione di una festa, nella quale da' trovatori stranieri furono cantati eroi de' loro paesi. L'azione che qui si descrive, ha luogo al declinare del secolo X. Le note non segnate d' asterisco sono dell' Autore. 2 Questo torrente vien giù dalle valli di Fenestrelle e passa poco distante da Pinerolo. 3 A sinistra del Chiusone, tra le Porte e il l'illaro, è un monte scoscesissimo chiamato il Mal-Andaggio: questo altre volte pendeva in tal guisa sul torrente, che difficilissimo era il passo. Pare che ai tempi di Tancreda gli uomini non avessero ancora penetrato da quella parte oltre il Mal-Andaggio. 4 Gli abitanti di quelle valli conservano un superstizioso rammarico, perchè nel fare la strada del Mal-Andaggio s'è distrutta la fontana detta degli Eemili, alla quale si attribuivano virtù miracolose. Mi dissetò, ed accanto era una grotta Che mi raccolse, e oh gioia! in quella grotta E i nomi io lessi d' Eudo e di Tancreda. Il secol terzo: ignara ivi del mondo aspra, felice, Libera vita ella vivea col padre. « Padre, e che ti conturba? Indegnamente Al valor mio. » - Così dicendo, al vecchio Scosta d'in sulla fronte il crin canuto, Presuma ivi pensier togliere il velo. «Non da te il dolor mio, non da te mai, Angiol del mio deserto. Un dì, nè lunge Meco il venir, chè terra è di sciagura, » Dalle abitate valli: inusitata Fiamma dardeggian gli occhi del guerriero, Ha il sublime proposto. « Odi, o fanciulla: Voce è questa d'Iddio che al cor mi parla; Di tutte angosce umane, e trarre io stesso Si scolora a questi detti |