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D'Eligi e Valafrido; e questi prodi
S'abbracciavan commossi: e venía il padre
Del già dannato cavalier, la gioia
Universale a compiere: e il romito,
Asciugandosi il ciglio, alto gridava:
« Pace, pace fra gl'Itali e i Burgundi!
E il re volgeasi a Valafrido, e « Pace,1
Dicea, fa che onorata io stringer possa! »
O Veronese illustre giovinetto,

Tai furono e il tuo grande avo e il sabaudo
Suo fratello dell' anima: deh, schiudi
Al raggio d'amistà (raggio divino
Che di virtù feconda i germi) il core,

E la tua afflitta patria abbia altri eroi!

1 Il trovatore che non vuol funestare il lieto fine del suo poema, tace che il benigno desiderio di Rudolfo rimase inadempiuto, e ch' egli si lasciò strascinare nuovamente dall'ambizione, come ci mostra la sua conquista del Regno d'Italia e il misero fine di Berengario,

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1 Cioè dal presente, che è come un punto che parte o divide la durata infinita.

2 Vedi pag. 151, v. 6 e 7.

IL PIANTO.

Alle promesse credula
Fosti di un lungo amore?
Se quella rosa cogliesi,
Punge, languisce, e muore.
Piangi, e fia vinto il perfido

Degli occhi al nuovo incanto:
Oh! voluttà di un bacio,
Quando si asciuga il pianto!
Ma non è dato ai gemiti
Por fine in questo esiglio,
Le venerande lacrime
Inaridir sul ciglio.

Ora che, madre vigile,

Giaci al tuo figlio accanto,
Da te la prima ascoltasi

Lingua dell' uomo

- il pianto.

Scesa nel mar dell' essere
Quell' anima fanciulla,

Se sparge un pianto provido
Dirai che non sa nulla?

A navicella è simile

La dolorosa cuna:

Nati appena ci assalgono
L'onde della fortuna.

Piange il pentito, il misero,

Chi serve, e quei che impera:
Tutti siam rei: le lacrime

Son la miglior preghiera.

Dolci parole e tenere

Tu sai che insegna Amore;
Ma solo l'uom sublimano

I detti del dolore.

Io nei miei carmi esprimere
Quei detti un dì tentai,
E d'animar la statua,
Pigmalion, sperai.

E ancor la stringo e palpito,...

No 'l sente, e su me piomba

303

Marmo crudel, che gelido
Mi rammentò la tomba.
Piangi: i miei dì perseguita
Grav ed assidua cura,
E mi circonda l' ultimo
Flutto della sventura.

Già come breve imagine
Pinta sul muro avverso,
Sparisco dalla mobile

Scena dell' universo.
Gloria sognai; dell' aquila

lo mi credei figliuolo:

Presso la rupe or giacciomi,
Onde io tentava il volo.
Ma pria che morte stendami

Sugli occhi eterno velo,

Essi del pianto brillino,

Cui fu promesso il cielo.

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1 La facoltà della mente che prima d'ogni altra s'indebolisce nella vecchiezza, è la memoria.

Qual trema in sulla foglia
Stilla a cader vicina
Nel vasto interminabile
Grembo della marina;
Tal tra i flutti e le tenebre

D'un mar che non ha lito
Sente smarrita l'anima
L'orror dell' infinito.
Che fu l'ambita gloria?
Un lume menzognero
Che dai sepolcri sorgere
Ignora il passeggiero;
Ei della luce tremula
Segue l'infida traccia:

La crede alfin raggiungere,
E sol tenebre abbraccia.
E mentre manda un gemito,
Chè dell' error s'avvede,
S'apre la tomba gelida
Sotto lo stanco piede.

III.

IL SAMARITANO. 1

Ignudo e semivivo

Su questa via che a Gerico conduce,
Sacerdote crudel, mi vedi e passi?

Ed il tuo sguardo invano

Nel mio s'incontra, e invan gli erranti lumi,

Su cui la morte ora distende un velo,

In atto di pietà rivolgo al cielo ?

Così l'ignoto pellegrin dicea.

E ben colui che scrisse:

La mia legge è compita allor che s'ama:

1 È un Coro dell' Arnaldo da Brescia, atto III, scena VIII. Le note non se

gnate d'asterisco sono dell'Autore.

Antologia della Poesia italiana moderna,

20

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