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Ancor che splenda il mezzogiorno estivo,
Mezzanotte invernal per me fia sempre;
Terra e mar, monti e fiumi, alberi e fiori
Han perduto per me forme e colori.
Ed impotente è d' Epidauro l'arte,

Ed invan ne invocai l' opra e il consiglic:
Troppo gli occhi stancai su cento carte
Per cinque lustri di non giusto esiglio;
E della patria gloria il sacro affetto
Fu d'ogni studio mio premio ed oggetto.
Qui seggo; finchè languida soccomba

L'egra mia vita ai mali miei crescenti:
Qui seggo; e tu mia stanza, anzi mia tomba,
Involami agli sguardi dei viventi:

Ma quando il dispotismo è più feroce,
Esca dal tuo silenzio, esca una voce! 1

1 Certo il Rossetti non si può riporre fra i maggiori poeti del nostro secolo, quanto alla perfezione dell'arte, che in lui, se abbondano i buoni pensieri, bene spesso la facilità dello stile è poco med tata e ti par quasi di sentirci l'improvvisatore; ma eg'i è senza dubbio de'più benemeriti del nostro risorgimento, perchè dette opera ne'suoi versi a render popolare la causa della patria e della libertà, per la quale tanto combatte e tanto ebbe a soffrire, e riuscì spesso felicissimo nella espresssione degli affetti magnanimi e gentili. E quest'ultimo luogo mi pare che ne faccia prova. In esso, più che il poeta, è l'uomo buono, religioso e infelice, che scrivendo versa nell'anima nostra tutta l'anima sua, e ci commove. E una conferma di quella bella sentenza del Tommaseo che dice: La parola dell'arte è luccicante, ma di luce fredda; mentre la parola del cuore splende meno, ma arde.

Antologia della Poesia italiana moderna,

21

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Pietosa madre, a che mi celi il pianto
A forza lungamente rattenuto ?
De' giorni miei sparito è già l'incanto;
Un momento, e sarò cenere muto.
Deh! non m'invidïar, madre, frattanto
Quest'ultimo d'amor caro tributo:
Libero sfoga il tuo dolor verace;
Le lagrime saran pegno di pace.
Delle viscere tue per una figlia

La tenerezza sento pur qual sia;
So che voce materna ti consiglia,
Che perdonata è già la colpa mia.
Deh! non m'abbandonar, madre: periglia
La mia ragione incerta e fuor di via:
Ah! tu la reggi nel fatal momento
Che starmi sopra ineluttabil sento.
Dolce nella memoria ancor mi siede

De' miei prim' anni il volgere pacato,
Quand' io bambina il tenerello piede
Non volgea mai senza la madre a lato.
A me il tuo latte nudrimento diede,
E del proprio tuo sangue e del tuo fiato
Pur nudrita m'avresti. Ahi figlia ingrata,
Come ti se' di tanto amor scordata?

Scordata?.. Quale orror! Che dissi mai?...
No, che dal petto e' non mi fu mai scisso....
Se quel dolor tremendo che provai

Sapessi.... e qual contrasto ... e in qual abisso....
Madre, m'ascolta: giunse tempo omai

Ch' anzi il morir ti sveli quel che fisso
Altamente nel cor porto: tu intanto
Qui sul mio letto mi t'assidi accanto.
Ansia di me nulla ti punga cura:

Tranquilla jo stommi, parlerò sommesso:
Intanto forse accorderà 1 natura
Refrigerio di pianto al core oppresso.
Questa è la man materna! Ah non la fura
Ai baci d'una figlia! Ecco, l' appresso
Ai labbri inariditi, e nuova sento
Crescermi lena nel vicin cimento.
Rammenterai che il mio fratello, avante
L'estrema sua partenza, ha qui guidato
Di vaghe forme giovane prestante,
Che tu stessa a me poscia hai pur lodato:
Era in superbo militar sembiante
Di splendidi d' onor nastri fregiato:
Nomavasi Terigi. Or sappi, ascosa
Vicendevol ci ardea fiamma amorosa.
Di non volgea che innanzi al nostro tetto,
Ove al veron sedeami, ei non venisse;
Venia notturno ad un sol cenno, a un detto,
Pel furtivo colloquio all' ore fisse:
Nè di stagion disagio al caldo affetto
Esser potea che mai contrasto offrisse:
Qui fra rotti singulti fè costante
Di marito giuravami e d'amante.
N'attesto il Ciel con quale ardor la data
Fede d'un nodo eterno accolta avrei;
Ma troppo era in mio cor l'idea piantata
Del duol che porto avrianti i lacci miei:

Accordare per concedere, dare, è dell'uso comune toscano, qualche esempio anche negli scrittori antichi.

e ce n'è

Però mi tacqui, e in Dio sol confidata
Di lunga speme a me balsamo féi.
Scorso così nell' amoroso inganno
Irresoluta aveva intero un anno;
Allorchè giunse subito comando

Che in vêr la Scizia 1cacciò nostre schiere,
E appunto fu (caro Terigi!) quando
Non mi potendo in sul veron vedere,
Tanto adoprò che al nostro buon Fernando
Fatto amico, qui venne, ed avvedere,
Altrui dicendol, femmi siccom' esso
Partir doveva entro quel giorno istesso.
Quasi colta da folgore improvviso
Rimasi al fatal colpo istupidita;

2

Ma quando giunse in vêr la sera avviso
Esser già la regal scorta partita,
De' polsi il moto mi restò preciso, 2
Ogni speranza sen fuggì smarrita.
Passai la notte in lagrime sepolta
Pel letto a brancolar siccome stolta.
Giù balzando, le imposte spalancava
Parendo che m' avesse alcun chiamato;
Il capo fuor per ascoltar cacciava:
Era quiete e sonno in ogni lato.
Mesto raggio di luna illuminava

Il mio letto di lagrime bagnato;

Di nuovo in pianto prorompea, col petto
In giù cadendo ad abbracciar quel letto.
Da quel punto fatal mi stava in core

3

Saldo un pensier di morte ognor scolpito.
Ben mi ricordo ancor con quai d'amore
Dolci parole e vezzi, al cibo invito

Tu mi fêssi, e a svelar del mio dolore
Il recondito fonte invelenito,

1 Cioè, Russia È la spedizione di Napoleone I.

2 Latinismo. Tronco interrotto.

3 E un'ottava che potrebbe far compagnia alle migliori dell' Ariosto. E ne troverai molte altre delle simili.

Mentre io negava il duolo infinta e rea,
O d'occulto malor figlio il dicea.
Ma nella terza notte alfin serrârsi

Gli occhi fatti dal lungo pianger lassi;
Ed ecco, i crini rabbuffati e sparsi,
Il guardo truce, vacillanti i passi,
Parmi veder Terigi avvicinarsi:

Un ferro ha in pugno, pallido ristassi
A piedi del mio letto, e in suon d'orrore,
Sieguimi, grida, o mi trapasso il core.
Tinto di morte mel vedea dinante

Col braccio steso e di ferire in atto.
Fieramente travolta in quell'istante
Le vesti indosso: ei mi precede ratto
U' ci attendeva un cocchio nereggiante :
L'apre, la man mi porge, un passo ho fatto,
Ma a quella scossa mi risveglio incerta:
Ahimè! son sola in su la strada aperta.
Indietro volgo un guardo di spavento:
Buia è la notte, minaccevol, truce;
Il tuon rimugghia; irato fischia il vento
Che spessa grandin procellosa adduce.
Su le nostre pareti in quel momento
Di lugubre, sanguigna, orrida luce 1
Ecco splendere un lampo, e apparir chiara
La stanza de' tuoi sonni, o madre cara.
Oh vista! Ahi madre! Qual fero scompiglio,
Qual d'affetti tenzon provai repente!
Sentii squarciarmi il cor, calda sul ciglio
Mi ritrovai la lagrima cadente.
Già risoluta, di tornar consiglio

1

In vêr la porta, e già la man la sente:
Schiuderla tento.... Oh cielo ! immota stassi;
Quando uscii si serrò dietro i miei passi.
Un mortal gelo l' intime midolle

Ricercommi, e le membra mi distrinse:

1 Questo verso è tolto dalla Bassvilliana del Monti (c. I.) Tutta questa descrizione è di effetto mirabile.

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