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E in stuol d'amici numerato e casto,
Tra parco e delicato al desco asside;
E la splendida turba e il vano fasto
Lieto deride.

Che ai buoni, ovunque sia, dona favore;
E cerca il vero, e il bello ama innocente;
E passa l' età sua tranquilla, il core
Sano e la mente.

Dunque perchè quella sì grata un giorno
Del giovin cui diè nome il Dio di Delo
Cetra si tace, e le fa lenta intorno

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Ben mi sovvien quando, modesto il ciglio,
Ei già scendendo a me, giudice fea

Me de' suoi carmi, e a me chiedea consiglio,
E lode avea.

Ma or non più. Chi sa? simile a rosa

Tutta fresca e vermiglia al sol che nasce,
Tutto forse di lui l'eletta sposa

L'animo pasce.

E di bellezza, di virtù, di raro

Amor, di grazie, di pudor natio
L'occupa sì, ch' ei cede ogni già caro
Studio all'oblio.

Musa, mentr' ella il vago crine annoda,
A lei t' appressa, e con vezzoso dito
A lei premi l'orecchio, e dille, e toda
Anco il marito:

Giovinetta crudel, perchè mi togli

Tutto il mio D'Adda, e di mie cure il pregio,
E la speme concetta e i dolci orgogli

D'alunno egregio?

Costui di me, de' genii miei si accese

Pria che di te. Codeste forme infanti
Erano ancor, quando vaghezza il prese
De' nostri canti.

1 Vedi pag. 17, nota 3.

Ei t'era ignoto ancor quando a me piacque.

Io di mia man, per l'ombra e per la lieve
Aura de' lauri, l'avviai vêr l'acque
Che, al par di neve,

Bianche le spume scaturir dall' alto

Fece Aganippe, il bel destrier che ha l' ale:
Onde chi beve io tra i Celesti esalto

E fo immortale.

lo con le nostre il volsi arti divine

Al decente, al gentile, al raro, al bello;'
Fin che tu stessa gli apparisti alfine
Caro modello.

E se nobil per lui fiamma fu desta

Nel tuo petto non conscio, e s'ei nodria
Nobil fiamma per te, sol opra è questa
Del cielo e mia.

Ecco, già l'ale il nono mese or scioglie
Da che sua fosti; e già, deh, ti sia salvo !
Te chiaramente infra le madri accoglie
Il giovin alvo.

Lascia che a me solo un momento ei torni;
E novo entro al tuo cor sorgere affetto,
E novo sentirai dai versi adorni

Piover diletto.

Però ch'io stessa, il gomito posando

Di tua seggiola al dorso, a lui col suono
Della soave andrò tibia spirando

Facile tono,

Onde rapito ei canterà che sposo

Già felice il rendesti e amante amato,
E tosto il renderai dal grembo ascoso
Padre beato.

Scenderà intanto dall' eterea mole

Giuno, che i preghi dell' incinte ascolta,

E vergin io della Memoria' prole,

Nel velo avvolta,

Tale ha da essere l'intento della poesia secondo il Parini.

2 Essendo la Musa quella che qui si fa parlare, Giunone ci può stare senza

sconvenienza.

1

Uscirò co'bei carmi, e andrò gentile

Dono a farne al Parini, italo cigno,

Che, ai buoni amico, alto disdegna il vile
Volgo maligno.1

X.

LA MATTINA DEL POVERO CHE LAVORA
E QUELLA DEL SIGNORE OZIOSO. 2

Sorge il mattino in compagnia dell' alba
Innanzi al sol, che di poi grande appare
Sull' estremo orizzonte a render lieti
Gli animali e le piante e i campi e l'onde.
Allora il buon villan sorge dal caro
Letto, cui la fedel sposa e i minori
Suoi figlioletti intiepidir la notte;
Poi, sul collo recando i sacri arnesi
Che prima ritrovâr Cerere e Pale,

Va, col bue lento innanzi, al campo, e scuote
Lungo il picciol sentier da' curvi rami
Il rugiadoso umor che, quasi gemma,
I nascenti del sol raggi rifrange.

3

Allora sorge il fabbro, e la sonante
Officina riapre, e all' opre torna
L'altro di non perfette, o se di chiave
Ardua e ferrati ingegni all' inquïeto
Ricco l'arche assecura, o se d'argento
E d'oro incider vuol gioielli e vasi

Per ornamento a nuove spose o a mense.

1 Certo non è delle più originali, ma è delle gentilissime e soavissime. 2 In questo e negli altri luoghi del Giorno sto all'edizione di Felice Le Monnier, 1860, procurata da Giuseppe Giusti; ma a quando a quando riferisco qualche variante tolta dagli Studi sull' abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, di Cesare Cantù. Milano, Gnocchi, 1854.

3 Variante:

Sorge anco il fabbro allora.

Antologia della Poesia italiana moderna.

3

Ma che? tu inorridisci,1 e mostri in capo,
Qual istrice pungente, irti i capegli

Al suon di mie parole? Ah! non è questo,
Signore, il tuo mattin. Tu col cadente
Sol non sedesti a parca mensa, e al lume
Dell' incerto crepuscolo non gisti

4

Ieri a corcarti in male agiate piume,
Come dannato è a far l'umile vulgo.2
A voi, celeste prole, a voi, concilio
Di Semidei terreni, altro concesse
Giove benigno: e con altr' arti e leggi
Per novo calle a me convien guidarvi.
Tu tra le veglie e le canore scene
E il patetico gioco3 oltre più assai
Producesti la notte; e stanco alfine,
In aureo cocchio, col fragor di calde
Precipitose rote e il calpestio
Di volanti corsier, lunge agitasti
Il queto aere notturno, e le tenèbre
Con fiaccole superbe intorno apristi;
Siccome allor che il siculo terreno
Dall' uno all' altro mar rimbombar feo
Pluto col carro, a cui splendeano innanzi
Le tede delle Furie anguicrinite.

Così tornasti alla magion: ma quivi

A novi studi ti attendea la mensa,

5

1 Ricordati che il Poeta parla a un giovin signore, a cui scenda per lunge di magnanimi lombi ordine il sangue purissimo celeste, e fingendo di ammaestrarlo sul serio negli usi del bel mondo, ne descrive la vita molle e frivola con ironia continuata e oltre modo pungente. La famosa ironia del Parini è riposta in un contrasto continuo tra la forma splendidamente epica dello stile, e la frivolezza e nullità delle occupazioni e pensieri del suo eroe. Vedi Antologia della Prosa, pag. 419 e seg.

2 Variante: Ieri a posar qual ne' tuguri suoi

Fra le rigide coltri il mortal vulgo.

3 Patetico si usa comunemente per pieno di affetti e spesso per malinconico; ma qui, dal greco antixos, significa piuttosto pieno di passione e di ansia, appassionato, ansioso, ed è bellissimo epiteto, come quello che rende al vivo lo stato d'animo del giocatore.

Produrre la notte (Lat. producere noctem) per vegliare a tarda notte, non è in uso nella prosa, e qui c'è per dare una certa solennità epica

alla frase.

* Non usavano ancora i lampioni sospesi per le vie delle città.

Cui ricoprien pruriginosi1 cibi 2
E licor lieti di francesi colli

O d'ispani o di toschi, o l'ongarese
Bottiglia, a cui di verde edera Bacco
Concedette corona, e disse: « Siedi
Delle mense reina. 3 » Alfine il Sonno
Ti sprimacciò le morbide coltrici

Di propria mano; ove, te accolto, il fido
Servo calò le seriche cortine;

E a te soavemente i lumi chiuse

Il gallo, che li suole aprire altrui.
Dritto è perciò che a te gli stanchi sensi
Non sciolga da' papaveri tenaci
Morfeo prima che già grande il giorno
Tenti di penetrar fra gli spiragli
Delle dorate imposte," e la parete
Pingano a stento in alcun lato i raggi
Del sol, ch'eccelso a te pende sul capo.
Or qui principio le leggiadre cure

Denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo
Sciorre il mio legno, e co' precetti miei
Te ad alte imprese ammaestrar cantando.
Già i valletti gentili udir lo squillo

Del vicino metal, cui da lontano
Scosse tua man col propagato moto,5
E accorser pronti a spalancar gli opposti
Schermi alla luce, e rigidi osservaro
Che con tua pena non osasse Febo
Entrar diretto a saettarti i lumi.
Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia
Agli origlieri, i quai lenti gradando

1 Cioè, che stuzzicano l'appetito.

2 Variante:

illustri.

Tal ritornasti ai gran palagi, e quivi,
Caro conforto alle fatiche illustri,

Venien per te pruriginosi cibi....

Ma que' novi studi son cosa più piccante, e non gli darei per le fatiche

3 È il vino di Tokai.

Non usavano ancora le persiane alle finestre, o erano molto rare.

5 Variante:

Dei penduli metalli, a cui da lunge

Moto improvviso la tua mano impresse.

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