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ti sente uscir di bocca la parola ricordati, senza pensare neanche per idea nè a Dante, nè alla Pia, soggiunge le altre parole del verso, che è proprio doventato proverbiale, e fa come parte del linguaggio comune.

Questo luogo di Dante è stato come il seme della Novella del Sestini a della Tragedia del Marenco, che ne ha la medesima invenzione, ed è anch'essa popolarissima. Anche nella tragedia, la Pia muore per effetto del miasma maremmano che a poco a poco la disfà. Forse i due posti furono indotti in questa opinione dalla parola disfecemi, che è nel testo dantesco. Ma a me pare che, in mancanza di prove d'altro genere, quella parola debba spiegarsi per morire semplicemente, e che sia stata posta nel verso come per fare antitesi al fe', che si gnifica certamente nascere e non altro Insomma per me il verso vuol dire : nacqui in Siena e morii in Maremma, e nient' altro E modi simili si trovano in Dante spessissimo. Eccone uno, e appunto del medesimo verbo: Tu fosti prima ch' io disfatto fatto (Inf., VI, 42), che appunto vuol dire tu nascesti prima che io morissi E la stessa antitesi, quanto al significato della parola, sebbene non sia certamente del pari felice quanto all'arte. O'tre a ciò Dante non avrebbe al certo posto fra gli uccisi dall' altrui violenza la Pia, se ella fosse morta di febbre perniciosa. Eppure la schiera degli spiriti che si affollano d'in torno al Poeta, e de' quali il terzo è appunto la Pia, pregandolo a fermare il passo, gli dicono fra le altre cose (Purg, V. 52):

Noi fummo già tutti per forza morti,

E peccatori infino all' ultim' ora.

Ora anco la particolarità dell' aver perseverato nel peccare fino agli ultimi istanti della vita, che è come dire non aver avuto tempo a pentirsi, rafforza il mio argomento, perchè mostra evidentemente come la violenza che uccise, avesse prontissimo effetto.

E di morte violenta parlano le cronache e le tradizioni, dalle quali si rileva quanto segue:

La Pia, gentildonna senese, fu della famiglia de' Guastelloni: si maritò in prime nozze ad un Tolomei, di cui non si sa il nome, del quale rimase vedova Jopo averne avuto de' figli; e sposo in seconde nozze il conte Nello o Paganello, signore del castello della Pietra Costui, mentre ella un giorno stava affacciata ad una finestra, la fece da un servo afferrar per le gambe e gettar giù dalla torre del castello Questo si ha per certo; e la tradizione popolare chiama ancora quel luogo il salto della Contessa. Ma qua! cagione spinse Nello a macchiarsi di questo delitto? Su di ciò son varie le opinioni, ma tutto considerato, la più probabile si è che Nello levasse di mezzo a quel modo la povera Pia per isposare la contessa Margherita Aldobrandeschi, bellissima ed erede di molte sostanze; e, secondo quello che racconta il Tommasi nella Storia di Siena, la sposć veramente e n'ebbe un figlio, Banduccio, morto in Massa nel 1300. La morte della Pia avvenne l'anno 1295.

Antologia della Poesia italiana moderna.

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GIACOMO LEOPARDI.

I.

ALL' ITALIA.

O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,

Ma la gloria non vedo,

Non vedo il lauro e il ferro ond' eran carchi

I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,

Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna ! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite, dite,

Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Si che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia

Tra le ginocchia, e piange.

Piangi, chè ben hai donde, Italia mia,

Le genti a vincer nata

Anche il Petrarca personifica P'Italia in una bella donna ferita :

Italia mia, benchè il parlar sia indarno

Alle piaghe mortali

Che nel bel corpo tuo si spesse veggio.
Canz. all'Italia.

E altrove la rappresenta con quest' altra immagine :

Vecchia ozïosa e lenta,

Dormirà sempre, e non fia chi la svegli?

Le man le avessi avvolte entro a'capegli.

Canz a Cola di Rienzo.

E nella fausta sorte e nella ria. 1
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto

Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Chè fosti donna, 2 or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,

Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov'è la forza antica,
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?

Chi ti tradì? qual' arte o qual fatica

O qual tanta possanza

Valse a spogliarti il manto e l' auree bende?
Come cadesti o quando

Da tanta altezza in così basso loco?

Nessun pugna per te? non ti difende

Nessun de' tuoi ? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io,

Dammi, o ciel, che sia foco

Agl' italici petti il sangue mio.

Dove sono i tuoi figli? odo suon d'arri

E di carri e di voci e di timballi:

In estranie contrade

Pugnano i tuoi figliuoli."

Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,.

Un fluttar di fanti e di cavalli, 5

E fumo e polve, e luccicar di spade

Come tra nebbia lampi.

Ne ti conforti? e i tremebondi lumi

1 Cioè, nata a superare le altre genti così nella prosperità come nella sventura, perchè di felicissima che era, caduta in fondo d'ogni miseria.

2 Latinamente signora, regina Il popolo toscano chiama anch' oggi donna

e madonna colei che la fa da padrona assoluta.

3 Questo latinismo non è in uso, mentre è comunemente adoperato soccombere nello stesso significato. Forse il Poeta pensava al procumbit humi virgiliano.

Qui, e più esplicitamente in fine della strofa, allude alle guerre napoleo niche, e in special modo alla spedizione in Russia, dove perirono anche non pochi Italiani.

Ricorda l'onda de' cavalli del Cinque Maggio. Vedi pag. 234.

Piegar non soffri al dubitoso evento ?
A che pugna in quei campi

L'itala gioventude? O numi, o numi!
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,

Ma da nemici altrui

Per altra gente, e non può dir morendo:
Alma terra natia,

La vita che mi desti ecco ti rendo. 2

Oh venturose e care e benedette

L'antiche età, che a morte

Per la patria correan le genti a squadre:
E voi sempre onorate e glorïose,
O tessaliche strette, 3

Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch' alme franche e generose !
Io credo che le piante e i sassi e l'onda
E le montagne vostre al passeggiere
Con indistinta voce

Narrin siccome tutta quella sponda
Coprir le invitte schiere

De' corpi ch' alla Grecia eran devoti.*
Allor, vile e feroce,

Serse per l'Ellesponto si fuggía,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;

E sul colle d' Antela, ove morendo

Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,

5

Qui vale dubbioso, incerto, che dubitoso nell'uso comune si dice invece di persona che dubita o si perita.

2 Questo e l'altro simile in fine alla quarta strofa sono i luoghi più affettuosi del Carme.

3 E il passo delle Termopile.

4 Vale sacri, destinati.

5. Il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in questa Canzone s'introduce a poetare, cioè da Simonide; tenuto dall'antichità fra gli ottimi poeti lirici, vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l'epitaffio riportato da Cicerone e

Guardando l'etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,

E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira: 1
Beatissimi voi,

Ch'offriste il petto alle nemiche lance

Per amor di costei ch' al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nell' armi e ne' perigli

Qual tanto amor le giovinette menti,
Qual nell' acerbo fato amor vi trasse?
Come si lieta, o figli,

L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri, o a splendido convito;
Ma v' attendea lo scuro

Tartaro, e l'onda morta;

Ne le spose vi fûro o i figli accanto,
Quando su l'aspro lito

da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell' undecimo libro, dove recita anche certe parole di esso Poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell' ultima strofa Rispetto dunque alle predette circostanze del tempo e della persona, d'altra parte riguardando alle qualità delia materia per se medesima, io non credo che mai si trovasse argomento più degno di poema lirico, nè più fortunato di questo che fu scelto, o più veramente sortito, da Simonide Perocchè se l'impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo stranieri verso quelli che l'operarono, e con tutto questo non possiamo tenere le lacrime a leggerla semplicemente come passasse, e ventitre secoli dopo ch'ella è seguita; abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere in un Greco, e poeta, e dei principali, avendo veduto il fatto, si può dire, cogli occhi proprii, andando per le stesse città vincitrici di un esercito molto maggiore di quanti altri si ricorda la storia d'Europa, venendo a parte delle feste, delle maraviglie, del fervore di tutta un' eccellentissima nazione, fatta anche più magnanima della sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall'emulazione di tanta virtù dimostrata pur dianzi dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, non ch' io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell'animo del Poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl'ingegni, tornare a fare il suo canto; del quale io porto questo parere, che o fosse maraviglioso, o la fama di Simonide fosse vana, e gli scritti perissero con poca ingiuria Lettera dell'Autore a Vincenzo Monti premessa alle edizioni di Roma e di Bologna. 1 Di qui sino alla fine è Simonide che parla

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