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La vita del pastore.

Sorge in sul primo albore,

Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;

Poi stanco si riposa in su la sera:

Altro mai non ispera.

Dimmi, o Luna: a che vale

Al pastor la sua vita,

La vostra vita a voi? dimmi: ove tende

Questo vagar mio breve,

Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,

Con gravissimo fascio in su le spalle,

Per montagna e per valle,

Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,

Al vento, alla tempesta, e quando avvampa

L'ora, e quando poi gela,

Corre via, corre, anela,

Varca torrenti e stagni,

Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,

Lacero, sanguinoso; infin ch' arriva

Colà dove la via

E dove il tanto affaticar fu vòlto:

Abisso orrido, immenso,

Ov' ei precipitando, il tutto obblía.
Vergine Luna, tale

È la vita mortale. 1

Nasce l'uomo a fatica,

Ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento

Per prima cosa; e in sul principio stesso

La madre e il genitore

Il prende a consolar dell' esser nato.

Poi che crescendo viene,

L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre

Vedi quadro terribile della vita umana !

Con atti e con parole
Studiasi fargli core,

E consolarlo dell' umano stato:

Altro ufficio più grato

1

Non si fa da parenti alla lor prole.

Ma perchè dare al Sole,

Perchè reggere in vita

Chi poi di quella consolar convenga?

Se la vita è sventura,

Perchè da noi si dura?

Intatta Luna, tale
È lo stato mortale.

Ma tu mortal non sei,

E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che si pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,

Il patir nostro, il sospirar che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,

E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi

Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,

Del tacito, infinito andar del tempo.

Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore

Rida la primavera,

A chi giovi l' ardore, e che procacci

Il verno co' suoi ghiacci.

Mille cose sai tu, mille discopri,

Che son celate al semplice pastore.

Parenti per genitori, all'uso latino, è de' nostri maggiori poeti. Eli parenti miei furon Lombardi,

E Mantovani per patria ambedui.

DANTE, Inf., I, 68.

Non è questa la patria in ch'io mi fido

Madre benigna e pia,

Che

copre l'uno e l'altro mio parente?

PETRARCA, Canz, all' Italia.

Spesso quand' io ti miro

Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia

Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:

A che tante facelle?

Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,

E dell' innumerabile famiglia;

Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,

Per tornar sempre là donde son mosse;

Uso alcuno, alcun frutto

Indovinar non so. Ma tu per certo,

Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,

Che degli eterni giri,

Che dell' esser mio frale,
Qualche bene o contento

Avrà fors' altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!

Non sol perchè d'affanno
Quasi libera vai;

Ch'ogni stento, ogni danno,

Ogni estremo timor subito scordi;

Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all' ombra, sovra l'erbe,
Tu se queta e contenta,

E gran parte dell' anno

Senza noia consumi in quello stato.

Ed io pur seggio sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m' ingombra

La mente; ed uno spron quasi mi punge

Si che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.

E pur nulla non bramo,

E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,

Non so già dir; ma fortunata sei

Ed io godo ancor poco,

O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo

A bell'agio, ozïoso,

S'appaga ogni animale;

Me, s'io giaccio in riposo, il tedio1 assale?

Forse s'avess' io l' ale

Da volar su le nubi,

E noverar le stelle ad una ad una,

O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida Luna.
O forse erra dal vero,

Mirando all' altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale

Stato che sia, dentro covile o cuna,

È funesto a chi nasce il di natale. 2

IX.

IL SABATO DEL VILLAGGIO.

La donzelletta vien dalla campagna,

In sul calar del Sole,

Il Leopardi, tanto in poesia quanto in prosa, parla spesso della noia come d'un gran tormento dell' uomo Come illustrazione di questo luogo, vedi quello che ne dice ne' Pensieri al n. 67 e 68, dove ne parla da filosofo.

2 Questo bel componimento è del genere filosofico; ma il Poeta sa vestire di forme sensibil i concetti della sua mente, e farne poesia vera e sublime.

Col suo fascio dell' erba, e reca in mano
Un mazzolin di rose e di vïole,
Onde, siccome suole,

Ornare ella si appresta

Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine

Su la scala a filar la vecchiarella,
Incontro là dove si perde il giorno;

1

E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella

Solea danzar la sera intra di quei

Ch' ebbe compagni dell' età più bella.

Già tutta l'aria imbruna

Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre

Giù da' colli e da' tetti,

Al biancheggiar della recente Luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:

E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,

E seco pensa al dì del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,

E tutto l'altro tace,

Odi il martel picchiare, odi la sega

Del legnaiuol, che veglia

Nella chiusa bottega alla lucerna,

E s'affretta, e s'adopra

Di fornir l'opra anzi il chiarir dell' alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,

1 Novellare qui, secondo l'uso antico, vale discorrere.

per

il semplice narrare, o

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