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IV.

A MARGHERITA B. M.

(Nella morte di un suo figlioletto.)

Non anco esperta de' terreni affanni,
Bella d'un caro giovanil sorriso

Che t' ardea ne sereni occhi e nel viso,
Te vidi, Margherita, a' tuoi dolci anni.
Lugubri faci e vedovili panni,

1

E d'ogni tua speranza il fior preciso
Sognar potea, quando al tuo fianco assiso
M'arresi della gioia ai brevi inganni?
E già la corda che sonò d'amore

Cesse al tempo e alle cure, e tal son fatto
Che la vita m'è tedio aspro e dolore.
Nè più morte dir oso, ma riscatto,

Se alcun, del falso lume al primo albore
Aperti gli occhi, li richiude affatto.

V.

AD ANNA F.

(In morte del suo figlioletto.)

Quando tra il sonno, che serpeggia lieve
Negli occhi tuoi non mai sazi di pianto,
A te il caro ne viene e bello tanto
Unico tuo, che vita ebbe sì breve;
E, come vivo a te fatto daccanto,

T'abbraccia e bacia e i tuoi baci riceve,
Dirò che un'ombra al sen stringi soltanto
E la coltre le tue lagrime beve?

No, sventurata; il figlio, il figlio stesso

Egli è, che dalla pace ove dimora

Torna bramoso al tuo materno amplesso.

Vale propriamente tagliato prima del tempo, ed ha qui molta proprietà.

Lat. præcido, da præ, innanzi, e cædo, taglio.

E tutta notte, finchè giunga l'ora

Ch' ei ti fu tolto, a te veglia dappresso,

E svanisce cogli astri in sull' aurora.

VI.

ALLA STESSA.

Quando aïta al tuo duol speri o conforto,
Misera! più l'inaspri e lo ravvivi;
Invan fra l'ombre del domestic' orto
L'importuno al tuo cor strepito schivi.
Dal più bel fior che al novo maggio è sorto
Fiera cagion di lagrime derivi,

Dicendo: oh invan sì bello, è il tuo dì corto:
Tu pur, unico mio, così fiorivi !

Ne sol quel fior, ma lunga èsca a' tuoi pianti
Stella darà che l' aër fenda, o rio

Che scorra mormorando a te davanti. Senza speme è il tuo danno; e se d'oblio Lusingano il tuo duol, mentono i canti. Oh! piangi, piangi: teco piango anch' io.

VII.

UN PADRE ALLA FIGLIA MORTA.

Di teneri giacinti un molle serto,
E di prime vïole in don ricevi:
Caduco don, ma troppo a dritto offerto
Per la memoria de' tuoi giorni brevi.
E da quel puro ciel che ti fu aperto
Si tosto, e dove me seguir dovevi,
A chi lasciasti misero e deserto
Piega, nova angeletta, i vanni lievi.

E d'un tuo riso almen, s' altro è disdetto,
Questa mia sconsolata alma ricrea....
Poichè un afflitto padre ebbe ciò detto,
Levò le ciglia in alto ed attendea:

Tanto fidò nel filïale affetto,

Tanto l'amor paterno in lui potea! 1

1 "Dante e Petrarca, anime divinamente amorose, deltarono sonetti pieni di così profonda e gentile tristezza, da sforzar gli occhi alle lacrime. Dopo di loro questo componimento si mantenne, è vero, nobile ed illustre sotto la penna di altri scrittori, ma quella prima indole di semplicità e d'afietto non ebbe più. Solo negli ultimi tempi Foscolo e Carrer, lamentando i travagli della vita raminga e sconsolata, ricordarono un tratto quegli antichi maestri » Così Giovanni Prati (vedi in fronte alle sue Poesie. Napoli, 1847); ed io che in questo la penso come lui, trattandosi di sonetti, ho riportato volentieri le parole d' un' uomo che ne giudica così bene, e, quel che importa assai più, gli sa fare così bene.

GIUSEPPE GIUSTI.

umore.

I.

IL BRINDISI DI GIRELLA.

Dedicato al signor di Talleyrand buon' anima sua.

Girella (emerito

Di molto merito),
Sbrigliando a tavola
L'umor faceto,'
Perde la bussola
E l'alfabeto; 2
E nel trincare
Cantando un brindisi,

Della sua cronaca

Particolare

Gli uscì di bocca

La filastrocca.

Viva Arlecchini

E burattini

Grossi e piccini ;

Viva le maschere

D'ogni paese,

Le Giunte, i Club, i Principi e le Chiese !

Da tutti questi,

Con mezzi onesti,

Barcamenandomi3

1 Levando la briglia all' umor faceto, cioè abbandonandosi tutto al buon

2 Vale, non seppe più usar prudenza nè contenersi: In vino veritas.
3 Barcamenare o barcamenarsi, voce usitatissima in Toscana a signifi-
Antologia della Poesia italiana moderna.

29

Tra il vecchio e il nuovo,
Buscai da vivere,
Da farmi il covo.
La gente ferma,1
Piena di scrupoli,
Non sa coll'anima
Giocar di scherma;
Non ha pietanza
Dalla Finanza.

Viva Arlecchini

E burattini;

Viva i quattrini!

Viva le maschere

D'ogni paese,

Le imposizioni e l'ultimo del mese!

Io, nelle scosse

Delle sommosse,

Tenni, per ancora
D'ogni burrasca,
Da dieci o dodici
Coccarde in tasca.
Se cadde il Prete,
Io feci l'ateo,
Rubando lampade,
Cristi e pianete,
Case e poderi

Di monasteri.

Viva Arlecchini

E burattini,

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care la destrezza di colui, che procedendo con tutta cautela e, se occorre, con furberia, sa farsi benevoli gli uomini di sentimenti diversi e opposti, e trarne vantaggio.

Cioè, costante ne' proprii principii e che non sa barcamenarsi.

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