Che fa il nesci, 1 Eccellenza? o non l'ha letto? Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi, In tutt' altre faccende affaccendato,
A questa roba è morto e sotterrato. Entro e ti trovo un pieno di soldati, Di que' soldati settentrionali, Come sarebbe Boemi e Croati, Messi qui nella vigna a far da pali: Difatto se ne stavano impalati, Come sogliono in faccia a' Generali, Co' baffi di capecchio e con que' musi, Davanti a Dio diritti come fusi. Mi tenni indietro; chè piovuto in mezzo Di quella maramaglia, io non lo nego D'aver provato un senso di ribrezzo Che lei non prova in grazia dell' impiego. Sentiva un' afa, un alito di lezzo; Scusi, Eccellenza, mi parean di sego, In quella bella casa del Signore,
Fin le candele dell'altar maggiore.
Ma in quella che s'appresta il sacerdote
A consacrar la mistica vivanda,
Di subita dolcezza mi percuote
Su, di verso l'altare, un suon di banda. Dalle trombe di guerra uscian le note Come di voce che si raccomanda, D'una gente che gema in duri stenti E de' perduti beni si rammenti. Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de' Lombardi miseri assetati; Quello: O Signore, dal tetto natio, Che tanti petti ha scossi e inebriati. Qui cominciai a non esser più io; E come se que' côsi doventati
Che finge di non capire? La frase è comunissima; e si dice anco nello
far l'indiano.
2 Vedi pag. 452, nota 3.
Fossero gente della nostra gente, Entrai nel branco involontariamente. Che vuol ella, Eccellenza? il pezzo è bello, Poi nostro, e poi suonato come va; E coll'arte di mezzo, e col cervello Dato all'arte, l'ubbie si buttan là.1 Ma cessato che fu, dentro, bel bello Io ritornava a star, come la sa; Quand'eccoti, per farmi un altro tiro, Da quelle bocche che parean di ghiro, Un cantico tedesco lento lento
Per l'äer sacro a Dio mosse le penne: Era preghiera, e mi parea lamento, D'un suono grave, flebile, solenne, Tal, che sempre nell' anima lo sento: E mi stupisco che in quelle cotenne, In que' fantocci esotici di legno, Potesse l'armonia fino a quel segno. Sentía nell' inno la dolcezza amara
De' canti uditi da fanciullo; il core Che da voce domestica gl' impara, Ce li ripete i giorni del dolore: Un pensier mesto della madre cara, Un desiderio di pace e di amore, Uno sgomento di lontano esilio, O Che mi faceva andare in visibilio. E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi. Costor, dicea tra me, re pauroso Degl' italici moti e degli slavi
Strappa a' lor tetti, e qua senza riposo Schiavi gli spinge per tenerci schiavi; Gli spinge di Croazia e di Boemme, Come mandre a svernar nelle Maremme.
1 Cioè, si gettan via, si mettono da parte, si depongono.
2 Andare in visibilio, modo popolarissimo in Toscana; vale andare in estasi per la maraviglia o, come qui, per la dolcezza. Ma in un'ottava così affettuosa ed elaborata, mi pare che questo modo popolaresco, che ha un po' del goffo, non ci stia troppo bene.
A dura vita, a dura disciplina,
Muti, derisi, solitari stanno, Strumenti ciechi d'occhiuta rapina
Che lor non tocca e che forse non sanno : E quest' odio che mai non avvicina Il popolo lombardo all' alemanno, Giova a chi regna dividendo, e teme Popoli avversi affratellati insieme. Povera gente! lontana da' suoi,
In un paese qui che le vuol male, Chi sa che in fondo all' anima po' poi Non mandi a quel paese il principale! Gioco che l'hanno in tasca come noi. Qui, se non fuggo, abbraccio un Caporale Colla su' brava mazza di nocciuolo, Duro e piantato lì come un piòlo.
Te solitaria pellegrina il lido Tirreno e la salubre onda ritiene, E un doloroso grido
Distinto a te per tanto aere non viene, Ne il largo amaro pianto
Tergi pietosa a quei che t' ama tanto. E tu conosci amor, e sai per prova Che, nell' assenza dell' obietto amato, Al cor misero giova
Interrogar di lui tutto il creato. Oh se gli affanni accheta
Questa di cose simpatia segreta; Quando la luna in suo candido velo Ritorna a consolar la notte estiva, Se volgi gli occhi al cielo, E un' amorosa lacrima furtiva
Bagna il viso pudico
Per la memoria del lontano amico, Quell' occulta virtù che ti richiama Ai dolci e malinconici pensieri, È di colui che t'ama
Un sospir, che per taciti sentieri Giunge a te, donna mia,
E dell' anima tua trova la via. Se il venticel con leggerissim' ala
Increspa l'onda che lieve t' accoglie, E susurrando esala
Intorno a te dei fiori e delle foglie Il balsamo, rapito
Lunge ai pomarii dell'opposto lito; Dirai: quest' onda che si lagna, e questo Aere commosso da soave fiato,
Un detto, un pensier mesto Sarà del giovinetto innamorato, Cui deserta e sgradita
Non divisa con me fugge la vita. Quando sull' onda il turbine imperversa Alti spingendo al lido i flutti amari, E oscurità si versa
Sull' ampia solitudine dei mari, Guardando da lontano
L'ira e i perigli del ceruleo piano;
Pensa, o cara, che in me rugge sovente Di mille e mille affetti egual procella; Ma se l'aere fremente
Raggio dirada di benigna stella, È il tuo sereno aspetto
Che reca pace all agitato petto.
Anch'io mesto vagando all' Arno in riva, Teco parlo e deliro, e veder parmi
Come persona viva
Te muover dolcemente a consolarmı.
Riscosso alla tua voce
Nell'imo petto il cor balza veloce.
Or flebile mi suona e par che dica Nei dolenti sospiri: oh mio diletto, All' infelice amica
Serba intero il pensier, serba l'affetto; Siccome amor la guida,
Essa in te si consola, in te s'affida. Or mi consiglia, e da bugiardi amici
E da vane speranze a sè mi chiama: Brevi giorni infelici
Avrai, mi dice, ma d' intatta fama; Dolce perpetuo raggio
Rischiarerà di tua vita il viaggio. Conscio a te stesso, la letizia, il duolo Premi e l'amor di me nel tuo segreto; A me tacito e solo
Pensa, e del core ardente, irrequieto Apri l' interna guerra -
A me che sola amica hai sulla terra.
Torna la cara immagine celeste
Tutta lieta al pensier che la saluta,`
E d'un Angelo veste
L'ali, e riede a se stessa, e si trasmuta Quell'aereo portento,
Come una rosea nuvoletta al vento.
Così da lunge ricambiar tu puoi
Meco le tue dolcezze e le tue pene:
Interpreti tra noi
Fien le cose superne e le terrene: In un pensiero unita
Sarà così la tua colla mia vita.
Il sai, d' uopo ho di te: sovente al vero Di cari sogni io mi formava inganno: E omai l'occhio, il pensiero
Altre sembianze vagheggiar non sanno; Ogni più dolce cosa
Fugge l'animo stanco e in te si posa.
Ma così solo nel desio che m'arde
Virtù vien manco ai sensi e all' intelletto,
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