Sayfadaki görseller
PDF
ePub

L'angoscia il padre antico, e il giovinetto
Cui tanto ben fu tolto,

Agli occhi spenti, al volto
Discolorato dar gli ultimi baci;
Del comun duol seguaci

I figliuoletti tuoi dolci, soavi,

Che tu amorosa nel passar1 chiamavi. Lassi, che indarno nell' usato loco

Del materno sembiante

Andran cercando, e richiedendo altrui t

Or dove son que' dolci modi tui,
Ove quell' opre sante,

In cui verace carità s'impara?
Ohime! dolente e cara

Memoria solo, e cener sparta in poco

Sasso or di te n'avanza!

O fral nostra speranza,

O breve gioia in lacrime conversa!
Deh piangi, età perversa,

Chè s'alma eletta a te dal ciel s' abbassa,

Non ti degna di sè, ma guarda e passa. Ben cominciavi a gir superba e lieta Mirando il novo lume

Di bellezza, di senno e di bontate.
Questa candida amica d'onestate
Godea con destre piume

Passar sopra 'l tuo limo intatta e pura:

Ella con vigil cura

Da' primi passi intesa a degna meta,
Fuor d'inganni e perigli

Guidava i cari figli

Per dritte vie da te mal conosciute :

Sua severa virtute

Tenea dall' Arti un abito gentile,

1 Cioè, nel passar di questa vita, nel morire.
2 Imitazione dantesca:

Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
Inf., III, 51.

2

Lei facendo onorata e te men vile.

Oh qual era a vederla in tele o in carte
Pennelleggiar divine

Forme, e imprimer sua pura anima in quelle !

A farsi allor visibilmente belle

Immagin' peregrine

Ridendo le si offrivano al pensiere;
Oh qual era a vedere

Starsi compagne di sì nobil' arte
Modestia e cortesia,

Tal, che piegato avría ·

Ogni aspro cor dal natural talento!
Or tanto lume è spento:

Creature celesti in mortal velo

Presto a la terra ridomanda il cielo. Angiol la scorge, e mille Soli a tergo Lasciando, in paradiso

La bella peregrina riconduce:

Ecco, io la veggo vestirsi di luce,
E nell' eterno riso

Premer col bianco piè tempo e fortuna:

Recan serti ciascuna

Le cittadine del beato albergo;

Odo ogni coro eletto

Cantare: o benedetto

Chi ne ridona le bellezze tue :

Ella stassi in fra due

Maravigliando di cotanto onore;

Poi s'involve ne' rai del primo Amore.

Qui lungo inconsolabile martire

Indarno si rimane

Ov' ella disse a' dolci amici addio:

Ma tu, colomba dal puro disio,

Se a le fortune umane

Per carità di tua diletta gente

Dal ciel ponendo mente,

E mirando quaggiù gli affanni e l' ire

E i desir folli e tristi,

Anzi questa, onde uscisti,
Infinita miseria, ti compiaci
Che si lievi e fugaci

Furon le pene del tuo viver corto,
Danne coll'ombra tua qualche conforto.
O trista Canzon mia, che piangi e canti
Lei che a più degna parte

Quinci drizzò cupidamente il volo,
Deh! traggiti in disparte

Per riverenza del materno duolo. 1

È la più cara Canzone del genere petrarchesco che io conosca nella nostra poesia moderna.

TERENZIO MAMIANI.

I.

A SAN TERENZIO.

Voli a Terenzio un inno, ed al celeste
Orecchio armonizzando ergasi, come
Al pellegrin che va per l'alpe, ascende
Di valligiano augel tenero canto
In sulla sera. Tra cento cittadi

Onde s'imborgan l'Umbria ed il Piceno,
A qual sortito è il forte ausilio tuo,
Guerrier divino? A Pesaro gentile,
Picciola sì, ma gloriosa e cara

Alla gran madre Italia. Entro due colli
Siede a specchio del mar che il piè le bagna,
E le serpeggia al fianco la corrente

D' Isauro, d'Appennin figlio non vile.
Là sulle ripe dell'argenteo fiume

Fama è ch'empio quadrel t' aperse il largo
Petto, o Terenzio, e morto ivi caggendo
L'evangelico ver testimoniasti.

Cupe suonâr su te l'armi onorate,

2

In cui splendevi, e, nel cader, la destra
Non obliò la trionfale insegna

Ch'eri usato portar fra le latine
Squadre, ed allora quasi nobil vesta
Nello spiegato suo lembo ti avvolse.
Ivi il tuo sangue in picciol vetro accolto

1 Cioè, dato in sorte.

2 Imitazione omerica; e ve ne sono molte altre in quest' Inno.

Venne celatamente, e fûr baciate
L'auguste tue ferite e la tua salma
Negli unguenti composta: or fra cristalli
Lucentissimi e tersi ella riposa,

E schietto oro la fascia e intorno molte
Le fan ghirlanda argentee lampe, donde
Versan bel lume il dì, versan la notte
Perpetüe fiammelle.

Ave, guerriero
Di Roma e poi di Cristo. Il ciel pietoso
Troncando il fil di tua giovine vita,
Dal mirar ti campò gli ultimi strazii
Del latin sangue, e le tedesche irate
Spade che a Roma tua scempiâr1 le membra,
E Italia già del mondo arbitra e duce,
Che a stranier giogo il sacro capo inchina.
Ahi lacrimabil vista! e quanto ancora
Sostenerlo vorrai, d'Ausonia figlio ?
Certo non lunga età, se questo è il vero
Che più santo e più bello e più perfetto
Della patria l'amor lassù rinasce.
Quivi d'armi precinto 2 in fra le schiere
Degli angeli ti spazii e vi lampeggi
Come gran fuoco sopra l'alpi acceso,
E di notte ammirato, o come nube
Ch' arde e corrusca per lo Sol rifratto.
Di nitido adamante è il sempre intatto
Usbergo tuo, che d'un lanciato monte
L'aspra percossa sosterrebbe illeso;
Pari al Siculo mar quando con vasti
Fulminati macigni Etna il combatte,
Chè sovr' elli si chiude e si rispiana.
Le accese borchie e i lucidi fermagli
Brillan di sì forbito e scintillante
Metal che non ha nome infra i mortali,
E paion gruppi di raggianti stelle

1 Vale, straziare, fare scempio, che sono più in uso. 2 Ricinto, circondato.

« ÖncekiDevam »