L'angoscia il padre antico, e il giovinetto Agli occhi spenti, al volto I figliuoletti tuoi dolci, soavi, Che tu amorosa nel passar1 chiamavi. Lassi, che indarno nell' usato loco Del materno sembiante Andran cercando, e richiedendo altrui t Or dove son que' dolci modi tui, In cui verace carità s'impara? Memoria solo, e cener sparta in poco Sasso or di te n'avanza! O fral nostra speranza, O breve gioia in lacrime conversa! Chè s'alma eletta a te dal ciel s' abbassa, Non ti degna di sè, ma guarda e passa. Ben cominciavi a gir superba e lieta Mirando il novo lume Di bellezza, di senno e di bontate. Passar sopra 'l tuo limo intatta e pura: Ella con vigil cura Da' primi passi intesa a degna meta, Guidava i cari figli Per dritte vie da te mal conosciute : Sua severa virtute Tenea dall' Arti un abito gentile, 1 Cioè, nel passar di questa vita, nel morire. Non ragioniam di lor, ma guarda e passa. 2 Lei facendo onorata e te men vile. Oh qual era a vederla in tele o in carte Forme, e imprimer sua pura anima in quelle ! A farsi allor visibilmente belle Immagin' peregrine Ridendo le si offrivano al pensiere; Starsi compagne di sì nobil' arte Tal, che piegato avría · Ogni aspro cor dal natural talento! Creature celesti in mortal velo Presto a la terra ridomanda il cielo. Angiol la scorge, e mille Soli a tergo Lasciando, in paradiso La bella peregrina riconduce: Ecco, io la veggo vestirsi di luce, Premer col bianco piè tempo e fortuna: Recan serti ciascuna Le cittadine del beato albergo; Odo ogni coro eletto Cantare: o benedetto Chi ne ridona le bellezze tue : Ella stassi in fra due Maravigliando di cotanto onore; Poi s'involve ne' rai del primo Amore. Qui lungo inconsolabile martire Indarno si rimane Ov' ella disse a' dolci amici addio: Ma tu, colomba dal puro disio, Se a le fortune umane Per carità di tua diletta gente Dal ciel ponendo mente, E mirando quaggiù gli affanni e l' ire E i desir folli e tristi, Anzi questa, onde uscisti, Furon le pene del tuo viver corto, Quinci drizzò cupidamente il volo, Per riverenza del materno duolo. 1 È la più cara Canzone del genere petrarchesco che io conosca nella nostra poesia moderna. TERENZIO MAMIANI. I. A SAN TERENZIO. Voli a Terenzio un inno, ed al celeste Onde s'imborgan l'Umbria ed il Piceno, Alla gran madre Italia. Entro due colli D' Isauro, d'Appennin figlio non vile. Fama è ch'empio quadrel t' aperse il largo Cupe suonâr su te l'armi onorate, 2 In cui splendevi, e, nel cader, la destra Ch'eri usato portar fra le latine 1 Cioè, dato in sorte. 2 Imitazione omerica; e ve ne sono molte altre in quest' Inno. Venne celatamente, e fûr baciate E schietto oro la fascia e intorno molte Ave, guerriero 1 Vale, straziare, fare scempio, che sono più in uso. 2 Ricinto, circondato. |