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Mal sorvivesti vedova, soletta,
Alla tua gioventù bella e repente. 2
Or la rosa invermiglia, e tu negletta,
Tu calpesta verrai dall'insolente
Piè della greggia. O misera viola,

Meglio ben t'era in un virgineo seno,
Nata appena, morir di cara morte !...
Ma son io che compiango alla tua sola,
Povera vita? io solo, io d'anni pieno,
Pure avvinto alla mia d'amor si forte?

III.

IL CANTO.

Se la musica in terra è la favella

D'una patria immortale, e coll' umano
Legano occultamente il mondo arcano
Misterïose anella, 3

3

Nel tuo labbro inspirato è tal potenza
Di numeri celesti,

Che un' alta intelligenza

Coll'eterne armonie ci manifesti.
Nè mortal consonanza alla divina

Della tua più concorde ancor rispose;
E la mente che l'ode, e dalle cose
Terrene è pellegrina,

La pensa un'eco di remote spere,
Ó della mesta lira,

Cui fra le amanti schiere

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1 Sopravvivesti.

2 Cioè, fugace, che poco dura; e la voce è popolarmente usala in questo senso in Toscana.

3 Vedi Antologia della prosa, pag. 102.

4 Il Bellini.

5

E fece quietar le sante corde,

Che la destra del cielo allenta e tira.

DANTE, Par., XV, 5.

Ne' tuoi sogni egli forse a te discende,
Luminosa apparenza, e come il cielo
Moduli le armonie che in uman velo
A lui spirò, t'apprende.

E pari a speglio che la luce accolta
Propaga e ripercuote,

L'anima tua ne ascolta,

Poi ne ripete le dolenti note.

Vita ha l'arte dal core: ei sol le dona

L'etereo foco che non muor, l'affetto:
L'arte, che rade il suolo e all' intelletto
Le ardite ali imprigiona,

Se quel foco divin non la sublimi.
E tu d'entrambi il canto

Con tale accordo imprimi,

Che fai bello il dolore e dolce il pianto.
Ne v' ha petto sì chiuso o lungamente
Domo dai casi o dai terreni insulti,

Che non batta a quel suono e non esulti
Come fanciul che sente

Per la notte d'un bosco, ove perduta
Abbia al mattin la traccia,

La voce conosciuta

Che lo richiama alle materne braccia.1

Oh se puoi col tuo canto ogni segreta
Dura memoria ricoprir d'obblio,
E revocar l'eterno ultimo addio
Dato a un'età più lieta,

Se tornargli tu puoi le sue fuggite
Fantastiche sembianze,

Le rose inaridite,

I suoi vergini sogni e le speranze;
Scenda, scenda il tuo canto ai travagliati
Che una mano d'amor non accarezza!
A quei digiuni di mortal dolcezza
Dal giorno in cui son nati!

1 Poni mente alla bellezza ed all'affetto di questa similitudine. Antologia della Poesia italiana moderna.

32

A quei miseri occulti, a quei deserti1
D'ogni pietosa cura

Che dal destino offerti

Sembrano in olocausto alla sventura!
Un balsamo soave è l'armonia

Sul dolor della vita, e l'infelice,
Mentre l'aura ne bee consolatrice,
Tutti gli affanni obblia.

Ma quella mesta voluttà che vola
Dal tuo beato riso

Nome non ha. Parola

Non esprime un sentir di paradiso.

IV.

IN MORTE D'UNA BAMBINA.

<<< Vieni, o nova immortale, e della vità Non degnar d'una sola orma il cammino; L'eternità t'invita,

Sia bellissimo occaso il tuo mattino.
Non far che stilla di materno latte

Rallenti, o cara, il tuo sparir dagli anni.
Torci le labbra intatte

Dal fonte dell'errore e degli affanni.
La morte all' uom che nasce

È quasi un bacio redentor di Dio.
Fugge la pargoletta alma le fascie
Come fiamma che sale al ciel natio.
La mia mano leggera

Ti scioglierà dalla terrena spoglia,
Pari a molle sospir di primavera
Che dallo spino un fiorellin raccoglia.
Ber non dovrai dal mio calice arcano

L'obblio de'cuori che tu lasci in duolo;

Abbandonati, privi.

Nessun ricordo umano

Seguirà per le sfere il tuo bel volo.
D'una tenera madre ancor ti sono

Incogniti i sorrisi, o bambinella,
Ancora il dolce suono

Non ti consola della pia favella.
Conoscerai la mesta

Dopo il suo breve ramingar terreno,
Ma dove il fiore dell'amor s'innesta
In un acre più largo e più sereno.
Quel fior d'etereo stelo

Che pur fra i dumi della terra olezza,
Ma sol nelle felici aure del cielo
La sua non perde virginal freschezza.
Vieni, o nova immortale, e della vita

Non degnar d'una sola orma il cammino;
L'eternità t'invita,

Sia bellissimo occaso il tuo mattino. >>
Come un'eco di ciel che dolcemente

Qualche spirto invisibile ripeta,
Quest'armonia dolente

Sovra una culla mormorò segreta.
Pendea sull' egra infante

La madre, e vide (e ne gioì) di lume Novo irraggiar quel pallido sembiante, E quegli occhi animosi oltre il costume. Ahi non sapea l'illusa

Che l'insolita luce era un riflesso

Del Cherubin che tutta avea già chiusa
L'anima cara nel raggiante amplesso ! 1

1 Questa poesia parmi sublime d'invenzione, e piena d'affetto.

500

NICCOLÒ TOMMASEO.

I.

CORAGGIO E SPERANZA.

È buia la valle; ma i pini del monte
Già l'alba incorona del vergine raggio.
Scuotiamci dal sonno, leviamo la fronte :
Fratelli, coraggio.

Fu lunga la notte, fu sonno affannoso;
Ma il sole ci apporta travagli novelli.
Peggior della morte è il turpe riposo :
Coraggio, fratelli.

Continua battaglia la vita del forte,

Per erti sentieri continuo viaggio.
Armati ed andanti ci colga la morte:
Speranza e coraggio.

Pensiam che i nemici fratelli ci sono;

Cerchiam del valore nel cielo i modelli.
Armiamci d'amore, vinciam col perdono:
Speranza, fratelli.

II.

D'UN QUASI CIECO

E PRESSO A ESSER VEDOVO.

Sole di Dio, la vivida

Luce che crea l'aprile e fa l'aurora,
Nella pupilla languida

Versa di sè pur qualche stilla ancora.

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