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Stille ottenute, ripensò l'orrendo
Spasimo di Colui che invan le chiese
Sulla rupe del Golgota.

<< Fratello !
Ch'io vi stringa la man. Riconoscente
Ha l'anima Torquato: ha, se non altro,
Questa ricchezza! E d'una grazia ancora
Dato mi sia di supplicarvi. Un giorno
Se mai da questi solitarii chiostri
Voi muoverete a visitar tant'altre
Città d'Italia, e vi verran negli occhi
Le dolci rive della mia Sorrento....
Salutate quell'aure; indi cogliete,
Cogliete, in nome mio, da quelle sponde
Pochi fior dolorosi; e con gentile
Reverenza versateli, in mio nome,
Sul materno sepolcro !... Indi alla dolce
Sorella mia raccomandate pace
Nell' infortunio; e ditele che questo
Dolor della mia morte ella riceva

Da quella man che tutto dona e toglie,
E sa perchè ! »

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« E ven ricambi il Cielo D'ampia mercede !... E ancor di questo io voglio Supplicarvi. Se mai vi si conceda

Di veder l'Eridano, e la superba
Città d'Alfonso.... la fatal Ferrara....
Colà vedrete il carcere nefando
Ov' io giacqui tant'anni; e i maladetti
Ferri, e le turpi vesti onde coperto
Venni; vedrete, e piangerete, io spero,
Ricordando l' amico.... a cui si volle
Toglier persino l'intelletto, il dono
Sacrosanto di Dio!... Però non sento
Odio o rancor per essi. Il mio perdono

Ampiamente recate! E così possa
L'età ventura perdonar.... nè avanti
Al suo giudicio, come suol, dall' urne
Trarre i sepolti!... Perocchè Torquato,
In quell'ora remota, assai più grande
Sarà dei prenci! >

Lampeggiaron gli occhi

Del poeta, e si tacque. — Indi, più sempre

Si fêr pallidi i labbri; e una divina
Aura spirogli nell'aperta fronte,

Che da un alto pensier parve occupata !

Era una fantasia dolce e potente

Che per l'ultima volta il sospingea
Pietosamente a delirar.

Sorrise

Non umil troppo nè superbo il vate,
Ma pien di nobiltà gli occhi e l'aspetto.
Indi, siccome il commovesse un alto
Rapimento di gioia, ei bello apparve
Fuor del costume di mortal persona;
E sui cubiti ergendosi :

« Vi sento,

Aure del Campidoglio (egli proruppe)!
Come è dolce spirarvi in questa altezza!...
Come rapido ascesi!... Io vi contemplo,
Divine onde del Tebro !... Oh! che diffusa
Moltitudine intorno! È del mio nome

Che la città dei sette colli esulta !...

Son per me questi canti!... Anch' io mi posso
Del mio trionfo inebriar !... Quel lauro
Datemi !... È mio!... Non è potenza in terra
Che rapirmelo possa ! »

Brancolando

Pel vuoto aër stese la man; gli parve

Di possederlo; lo baciò;... sul fronte

Se lo depose!

Addio, Torquato! Il tuo

Secol ti piange, e avrà lacrime e canti

Per te sempre la Terra!

Dai convessi

Padiglioni del cielo ivan fuggendo

Le bianche stelle; e quella illustre chioma
Nereggiando scendea sull'origliero

Dalla man della Morte irrigidita.1

1 Come per commento a questa bella e affettuosa poesia del Prati, mi piace di riportar qui la pietosa lettera che il Tasso scriveva all'amico suo Antonio Costantini da Sant' Onofrio nell' anno stesso in che fini di patire:

Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella; perchè io mi sento al fine della mia vita, non essendosi potuto trovar mai rimedio a questa mia fastidiosa indisposizione sopravvenuta alle molte altre mie solite, quasi rapido torrente, dal quale, senza poter avere alcun ritegno, vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo che io parli della mia ostinata fortuna, per non dire dell'ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico, quando io pen. sava che quella gloria, che malgrado di chi non vuole avrà questo secolo daʼmiei scritti, non fosse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone. Mi son fatto condurre in questo monastero di Sant'Onofrio, non solo perchè l'aria è lodata dai me dici più che d'alcun'altra parte di Roma, ma quasi per cominciare da questo luogo eminente, e con la conversazione di questi divoti padri, la mia conversazione in cielo. Pregate Iddio per me, e siate sicuro che siccome vi ho amato ed onorato sempre nella presente vita, così farò per voi nell' altra più yera, ciò che alla non finta, ma verace carità s'appartiene. Ed alla divina grazia raccomando voi e me

stesso. »

AGOSTINO CAGNOLI.

I.

LA GIOVINEZZA.

Corri su fuggitiva ala veloce,

O giovinezza: lieve

Sfiori la terra, e di tuo viver breve

Già a fin se' giunta, e a te si spoglia il verde:
Un bel raggio così spunta e si perde.

O giovinezza, o primo di natura

Leggiadro fiore che di vergin pura
Stai sulla guancia molle,1

Ah! perchè mai sì tosto ne abbandoni,
Nè ti rinnovi come il fior del colle?

Per te i dumi si vestono di rose,

E il mondo si colora

In luce soavissima di cielo:

Par che per te più roseo l'aurora
E argenteo più abbia la luna il velo.
Teco vien quell' affetto che ragiona
Nell' anime non morte a gentilezza;
Teco vien l'allegrezza,

E il sorriso, e la speme, e i dolci orgogli;
Ma se tu manchi, tu di lor ci spogli.

Allor ch'è mai la vita?

Ve' in autunno la foglia inaridita:
Cade; e un giorno sì bella,

Molle per delicato e gentile.

Or stride sotto il piè del giovinetto,
Che la preme, e di lei più non favella.

II.

ELVIRA.

Notte del patrio ciel! spesso solingo
Nel sorriso de' campi e delle stelle
Venni ingannando il tuo silenzio, e nota
D'innamorato flebile liuto

Commisi alla raminga aura che in eco
Si moria mestamente lontanando. 1
Così l'ultimo gemito del vento
Le foreste abbandona, e nella valle
Si perde. Le romite ombre quiete,
Aperte ai molli zeffiri le trecce,
Tentava Elvira, e all' armonia notturna
Discolorando la virginea gota

Pietà correale al ciglio, e al mio lamento
Rispondea nel sospir della colomba

Ch' ama e presso è a morire. Oh ricordanze!
Oh fallaci dolcezze e fuggitive!

Notte del patrio ciel, come benigna
In vista ne apparivi! e di lusinghe
Ognor vaga, di vergini speranze

Mi fiorivi i begli anni, e al giovin crine
Davi, perocchè pace erami al fianco,
D'oblioso papavero ghirlanda.

Divisa Elvira dal mio sen, da questa
Terra, oh quai notti orribili, tremende !
È tutta un pianto la mia vita, e il core
È tutto un fiero di morir desio.

Misera Elvira, a che venimmo! il riso
Ti splende breve alla pupilla: raggio

Qui e altrove c'è del Leopardiano. E il Cagnoli ebbe anch'egli vita breve e infelice, come il Recanatese.

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