Stille ottenute, ripensò l'orrendo << Fratello ! Da quella man che tutto dona e toglie, « E ven ricambi il Cielo D'ampia mercede !... E ancor di questo io voglio Supplicarvi. Se mai vi si conceda Di veder l'Eridano, e la superba Ampiamente recate! E così possa Lampeggiaron gli occhi Del poeta, e si tacque. — Indi, più sempre Si fêr pallidi i labbri; e una divina Che da un alto pensier parve occupata ! Era una fantasia dolce e potente Che per l'ultima volta il sospingea Sorrise Non umil troppo nè superbo il vate, « Vi sento, Aure del Campidoglio (egli proruppe)! Che la città dei sette colli esulta !... Son per me questi canti!... Anch' io mi posso Brancolando Pel vuoto aër stese la man; gli parve Di possederlo; lo baciò;... sul fronte Se lo depose! Addio, Torquato! Il tuo Secol ti piange, e avrà lacrime e canti Per te sempre la Terra! Dai convessi Padiglioni del cielo ivan fuggendo Le bianche stelle; e quella illustre chioma Dalla man della Morte irrigidita.1 1 Come per commento a questa bella e affettuosa poesia del Prati, mi piace di riportar qui la pietosa lettera che il Tasso scriveva all'amico suo Antonio Costantini da Sant' Onofrio nell' anno stesso in che fini di patire: Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella; perchè io mi sento al fine della mia vita, non essendosi potuto trovar mai rimedio a questa mia fastidiosa indisposizione sopravvenuta alle molte altre mie solite, quasi rapido torrente, dal quale, senza poter avere alcun ritegno, vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo che io parli della mia ostinata fortuna, per non dire dell'ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico, quando io pen. sava che quella gloria, che malgrado di chi non vuole avrà questo secolo daʼmiei scritti, non fosse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone. Mi son fatto condurre in questo monastero di Sant'Onofrio, non solo perchè l'aria è lodata dai me dici più che d'alcun'altra parte di Roma, ma quasi per cominciare da questo luogo eminente, e con la conversazione di questi divoti padri, la mia conversazione in cielo. Pregate Iddio per me, e siate sicuro che siccome vi ho amato ed onorato sempre nella presente vita, così farò per voi nell' altra più yera, ciò che alla non finta, ma verace carità s'appartiene. Ed alla divina grazia raccomando voi e me stesso. » AGOSTINO CAGNOLI. I. LA GIOVINEZZA. Corri su fuggitiva ala veloce, O giovinezza: lieve Sfiori la terra, e di tuo viver breve Già a fin se' giunta, e a te si spoglia il verde: O giovinezza, o primo di natura Leggiadro fiore che di vergin pura Ah! perchè mai sì tosto ne abbandoni, Per te i dumi si vestono di rose, E il mondo si colora In luce soavissima di cielo: Par che per te più roseo l'aurora E il sorriso, e la speme, e i dolci orgogli; Allor ch'è mai la vita? Ve' in autunno la foglia inaridita: Molle per delicato e gentile. Or stride sotto il piè del giovinetto, II. ELVIRA. Notte del patrio ciel! spesso solingo Commisi alla raminga aura che in eco Pietà correale al ciglio, e al mio lamento Ch' ama e presso è a morire. Oh ricordanze! Notte del patrio ciel, come benigna Mi fiorivi i begli anni, e al giovin crine Divisa Elvira dal mio sen, da questa Misera Elvira, a che venimmo! il riso Qui e altrove c'è del Leopardiano. E il Cagnoli ebbe anch'egli vita breve e infelice, come il Recanatese. |