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XX.

UNA SUPPLICA.

Una povera donna che si trova

Senza marito con quattro bambini,
Come questo attestato lo comprova
Del curato Gian Carlo Filippini,
Sa che Vostr' Eccellenza molto giova

Col favor, con lo zelo e co' quattrini:
Laonde implora che a pietà si mova,
E che qualche soccorso a lei destini.
Costei è degna di compassione:

Non ha che figli e stracci, e ha a dare
Lire settantadue della pigione.

Il padron non fa altro che gridare;

Dice che vuol danari oppur cauzione,
O che da' birri la farà cacciare.

Il caso singolare

Ha cavate le lagrime à un poeta

Largo di cor, ma scarso di moneta.
Ei, per mandarne lieta

Questa povera donna, almeno in parte,
Di questi versi ha imbrattato le carte;
E per onor dell' arte

Le ha detto: Andate con questo sonetto,
Che in Su' Eccellenza farà buon effetto.
Deh, signor benedetto,

Poichè vedete miracol sì strano,

Un poeta operar da buon cristiano,

Deh, stendete la mano!

gran parte di quell'effetto che la precedente descrizione destò nel lettore dacche Amore ha cessato di essere una divinità. Certo questo è l'inconveniente comune a tutte le poesie che hanno del mitologico; se non che mi pare che qui la mitologia stia piuttosto nella parola Dei che nella sostanza. O andate un poco a deridere le passioni! Ecco la vera chiusa del sonetto, che è bella ed efficace, perchè, a dir cosi, ne spreme il succo e ne raccoglie la morale.

Fate l'altro miracol, che un cantore
Non sia per questa volta mentitore;
Anzi, per più stupore,

Aggiugnetene un altro de' più rari:
Fate che i versi producan danari.

E perchè ognuno impari
Come nulla impossibile a voi sia,
Fate che i frutti della poesia

Non si gettino via

Per ora nelle bische e nei bordelli,
Ma vadano in soccorso ai poverelli. 1

1 Ecco un bel sonetto, e, quel che più preme, una bell'azione. C'è un misto singolare di serio e di faceto, per cui ti commove di pietà e ti fa anco sorridere, ma la pietà prevale; chè in sostanza qui parla il cuore, ed è il cuore del Parini che pur troppo poteva dire di se stesso: Non ignarus mali miseris suceurrere disco.

LODOVICO SAVIOLI.

LA SOLITUDINE.

Lascia i sognati demoni
Di Falerina e Armida; 1
Porgi l'orecchio a storia
Più antica e meno infida.
Sparta, severo ospizio
Di rigida virtude,
Trasse a lottar le vergini
In sull'arena ignude.
Non di rossor si videro
Contaminar la gota:
È la vergogna inutile
Dove la colpa è ignota.
Fra' padri austeri immobile
La gioventù sedea,

E sconosciuto incendio

Per gli occhi il cor bevea.
Ma d'oro o d'arti indebite

Preda beltà non era:

Sacre alla patria' dissero

Per lei combatti, e spera.

Falerina e Armida sono due maghe; l' una dell' Orlando Innamorato di Matt'o Boiardo, l'altra della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Il pensiero del Poeta è questo: Lascia i sogni de' romanzi di cavalleria e le finzioni poetiche, e Lada alle lezioni che ci dà la storia.

2 Riferiscilo alle l'ergini dette sopra. Esse, sacre alla patria, dicevano al loro amante: combatti per lei e spera di esser da noi riamato. Concedevano il loro amore solamente a' valorosi. Anco il Leopardi nel Carme per le nozze della

Grecia tremò: vittoria

De'chiesti amor fu lieta:

Premio gli estinti ottennero
Di lagrima segreta.
Chi v'ha rapito, o secoli
Degni d'eterna lode?
Tutto svanì: trionfano
Fasto, avarizia e frode.
Fuggiamo, o cara: involati
Dalla città fallace;

Meco ne'boschi annidati,
Chè sol ne' boschi è pace.
Remoto albergo spazia

Su i colli, e al ciel torreggia:
Certo invecchiò Penelope
In men superba reggia.
Là Ciparisso ad Ecate1
Sacro le cime innalza:
Là densi abeti crescono
Ombre d'opposta balza.
L'arbore ond' arse in Frigia
La berecintia diva 2

Contrasta al vento: ei mormora,

Ei crin parlanti avviva.
Un antro solitario

Nel tufo apriron l'acque:
Forse che a' dì più semplici

Fu rozzo, e rozzo piacque.

Il vide arte, e sollecita

Vi secondò natura;

sorella Paolina vuole che le donne italiane imitino in questo le cittadine di Sparta:

O spose,

O verginette, a voi

Chi de' perigli è schivo, e quel che indegno

E della patria e che sue brame e suoi

Volgari affetti in basso loco pose,

Odio mova e disdegno;

Se nel femmineo core

D'uomini ardea, non di fanciulle, amore.

1 I cipresso sacro ad Ecate, o a Proserpina, ovvero alla Morte.

2 Cioè il pino; e la berecintia diva è Cibele.

LA SOLITUDINE.

Teti di sua dovizia

Vesti le opache mura.1
Onde argentine in copia

Dalla muscosa conca
Versa tranquilla najade
Custode alla spelonca.
Spesso la cipria Venere

Ne' spechi ermi s'assise,
Quando del ciel dimentica

Seguia pei monti Anchise.
Il vide, amollo, e supplice
Furtive nozze offerse:
Fornir l'erbette il talamo,
Un elce il ricoperse.
Su i gioghi idalii crebbero
Cento vergate piante,
E le fortune apparvero
Dell' indiscreto amante.2
Ah, se di gioia insolita

È frutto un tanto errore,
Ricusi alle mie lagrime
Gli estremi doni Amore!
Vieni: te vuoti aspettano
Da cure i dì beati:

Te pure notti e placide,
Madri di sogni aurati.
Se i tuoi desir secondano

Le facili speranze....
Ma taci? Dimè, tu mediti

3

Veglie, teatri e danze.

O Gallo, o tu di druidi

Un tempo orrendo gioco,

1 Cioè le vesti e adornò di conchiglie marine. Tutto ciò è detto con molta grazia. Peccato che l'abuso della mitologia raffreddi in questo Poeta il sentimento e l'affetto!

2 Indiscreto, perchè non tacque de' suoi amori con Venere: di questo fallo fu punito con la cecità.

3 Nel significato che ha nell' uso vivo del popolo toscano, cioè conversazioni notturne.

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