Pullulava una palma, e fin d'allora Forse dai cieli meritò la sorte D'allegrare i deserti. Entro le valli, Che a tante creäture erano tomba, Pullulava un cipresso; e quinci ei tolse Forse il desio di custodir gli avelli. L'eco ignorava ancor come piangesse La notturna elegia dell' usignolo; Al limitar di nuzïal caverna Non era apparsa ancor la lïonessa Salutando le selve col ruggito Da imperadrice; per le fresche lande Un segno di gemelle orme non anco Il galoppo tradía d'una puledra; E pur grande e fantastica, siccome Vision di profeta, era la vita Che si agitava in su la terra.
Crepuscoli dei languidi mattini Predestinata a veleggiar sui mari La progenie dei nautili tendea La vela vaporosa, onde fe'liete Quelle viventi navicelle Iddio; E cullata dai frotti iva girando Per mezzo all'isolette di corallo Come flottiglia che si vede in sogno Movere in traccia di novelli mondi. Di sotto ai muschi pallidi celato, Molta col verde de le immani membra Striscia di lito misurando, stava Perfido pescatore un coccodrillo; E fiso con l'immoto occhio sull'acqua L'avo gigante degl' Iddii del Nilo D'un improvvido squalo iva spïando Gli ultimi guizzi. Perocchè Natura Con perenne di stragi e di battaglie Alternarsi preluse al nascimento Del suo re doloroso. E allor che un fiato
Di paradiso fe' sbocciar quel fiore, Caro elitropio che si gira a Dio,
Che per corolla ha la beltade, e spande Per effluvio mollissimo l'amore,
Quel fior gentil che si nomò la donna, Un immenso sepolcro era la faccia Arida de la terra, ove confusa Giacea d'alberi folla e d'animali,
Che un tempo fûr, nè torneran più mai; Però che sul fecondo orbe regnava, Inesorabil vergine, la Morte,
Mietitrice indefessa, ed indefessa Seminatrice di novelle vite
Riverberi di luce, onde un vulcano Imporporava le sinistre baie, Remigando pel grigio aere veniva Una nube crudel di volatori. Valido d' Idra e flessüoso il collo, Siepe acuta di denti, ale di pelle, Onde le pronte fantasie d'Atene Divinarono il Drago. Allor che a volo Passavan come funebri bandiere, Päuroso clamor si diffondea
Sopra i paludi, e rispondean dai torbi Guadi con tristo sibilar le serpi. E sovente quel gemito in acute Strida mutava di duello, e forse Fervean non viste aerëe battaglie; E forse allora vorticosamente Scendea ferito a sbattere sul loto Il fantastico augello; e quella lieve Orma del piè, quella fugace posa Dell' ale stanche diventâr di marmo; E dopo mille e mille anni avvertite Fûr testimoni de la sua dimora. Accompagnato da la bianca ancella
Che illuminava quelle notti prime, Bello così di vita il giovinetto Mondo fendea con le prefisse fughe
I deserti d'azzurro. Allor che un giorno Scontrò per via come un oceano d'oro, Che lo inondò serenamente, ed era Il vïatore spirito di Dio.
Quale di verginella innamorata Palpita il core e' palpitò la terra. Tremebonde le vaghe ale dei nembi Si composero in pace; e l' Infinito Spaziò su la queta urna de l'acque. E quando al ciglio d' una valle, un fiero Gruppo di sette colli ardere Ei vide, Simili ai sette candelabri accesi
Del venturo suo tempio; allora a quella Misteriosa pleiade di fiamme
Volse uno spiro luminoso e disse:
« Tu sarai la mia Roma. » E l' armonía Di quelle note infino alla suprema Nebulosa che ai lembi è del creato, Come tocco di mille organi salse; E tacque, e sparve. L'orbe le diurne Danze riprese e l' immortal viaggio; Un diffuso i silenzi alti rompea Sollecitar di piume; peregrine Vedeansi in cielo scintillar pupille, Ed era de' seguaci angeli il coro.*
Sottintendi tale così, e il modo è elegante. 2 Versi meravigliosi in tanta difficoltà d'argomento.
E tu pur, vôlto disdegnando il tergo All' auree larve dell'età primiera, Candido amico, in solitario albergo Vai di tua vita a seppellir la sera? Ingenuo ti conobbi, a'vili avverso,
Di cor gentile e di modesta brama, Benchè l'invidïata onda del verso Pegno ti désse di superba fama. O quanti mai, se il tuo possente ingegno Avessero dal ciel sortito in dono, Chiaro di sè nell' apollineo regno1 Avrian levato ambizioso suono! Ma tu più saggio, di ben far voglioso, Non di parer, al santo officio intento, Viver togliesti in erma villa ascoso, Di conversar cogli umili contento. Suona la squilla. Sulla via frequente
Sparsa di fronde e di silvestri fiori In adorno vestir esce la gente, Parchi coloni e semplici pastori, Che lungo il prato in bipartita schiera Addensando si van, come talvolta In fondo all'orizzonte, che s'annera, Nuvola sovra nuvola si affolta. Ecco tu spunti fra l'ombrose piante, E di subito cessa ogni bisbiglio;
Con intento desío nel tuo sembiante Ecco si affisa immobile ogni ciglio. O quanti voti il popolo raccolto
Non forma in cor! quanti pensier felici, Mentre tu passi e con benigno volto A' tuoi cari sorridi e benedici! E te messo di Dio la madre addita Venerabonda a' pargoletti figli, Cui ne' duri cimenti della vita Luce sarai d' esempi e di consigli. Ma la pudica giovinetta in petto
Accoglie altri pensier, mentre ti vede; Previen co' voti il dì che benedetto Per te fia l'amor suo dell' ara al piede. Tutto è speranza a te d'intorno e festa: Spera l'agricoltor che la tua mano Terrà lungi il furor della tempesta, Quando biondo ne' solchi ondeggia il grano; Confida l'orfanel, se inopia il prema, Di non battere indarno alle tue porte; Se tu lo veglierai nell' ora estrema, Spera men dura il vecchierel la morte. Oh fortunato, che in sì dolci cure
Chiuderai de' tuoi giorni il cheto giro, Finchè ti resti sulle altrui sventure Una lagrima sola, un sol sospiro! 1
Pel matrimonio Porto-Prina di Venezia.
Eri gioiosa i dì passati. Amore
Ti spirava ardimento; e la speranza Di vaghi sogni ti nudriva il core.
1 E fortunato ancora d'aver avuto in sorte un amico che ne ritraesse la cara immagine in versi come questi!
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