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Posa, o spirito mio; nè acquistin fede
Mie fiacche rime alla comun viltade.
Lunge, canti d'amore: altro richiede

Quel novo ardor che tutto entro m'invade:
Io voglio fra rumor d'ire e di spade
Atroci alme rapir d'Alceo col piede.'
Risorgerem poeti allor che sia

Scosso il torpore senza fine amaro,
E la patria virtù musa ne fia.
Tremante un re le attee scene mirâro
Ne'carmi ancor: 2 ma tinse Eschilo pria
Ne' Medi fuggitivi il greco acciaro.

1 Cioè, metro, verso.

2 Allude alla tragedia d' Eschilo intitolata : I Persiani.

572

GIOVANNI RAFFAELLI.

AD UNA MAESTRA

DI REGIO ORFANOTROFIO CHE VA A REGGERE ALTRO ISTITUTO.

ADDIO DELLE ORFANE.

Fior di chiuso giardino,

Che rallegri quest' aure e quest' aiuole,
Se dal nostro è diviso il tuo destino,
Di noi che fia così descrte e sole?
Come dolce armonia

Che da cetre concordi al ciel si volve,
La prece di nostr' alme a Lui salia
Che il duol conosce dell' umana polve.
Tu nei novelli petti

Infondevi il desio d'opre leggiadre;
Ed imparammo da' tuoi miti affetti,
Ahi! di lei prive, a ricordar la madre.
Tu con pietosa cura

L'egra vegliando e l' orfanella morta,
Ne insegnavi che sacra è la sventura,
Che coi mesti è il Signore e li conforta.
Ed or ne lasci in pianto!

Deh, se pregar di miseri s' ascolta,
Alle orfanelle che tu amasti tanto,
Non si tolga la madre un' altra volta!
Qual non farem lamento,

Quando, al tardo venir della dimane,

Non udrem di tue labbra il noto accento,
Non fia da te diviso il nostro pane!
Altre i tuoi baci avranno,

Altre l'orgoglio degli amplessi tuoi.
Ah, non sappiano mai che crudo affanno
Costa la gioia che le attende, a noi!
Sempre la certa speme

Con noi rimanga e il fervido desio

Di rivederti e consolarci insieme.

E provveda alle affiitte orfane Iddio!1

Questi affettuosissimi versi rendono come un'immagine fedele dell'anima di Giovanni Raffaelli, del quale, perchè lo conobbi e l'amai, voglio lasciare un breve ricordo in queste pagine. Nacque a Castelnuovo di Garfignam il 9 febbraio 1828, e conobbe ben presto la sventura, restando in tenera età con tre fratelli, de' quali era il minore, privo del padre mancato in età ancor giovanile. Gli zii paterni lo accolsero nella loro casa, lo ebbero come figliuolo, e buoni e dotti com'erano, curarono con grande amore l'educazione e l'istruzione del giovinetto, il quale rispose degnamente alle loro sollecitudini. A Modena fece gli studii delle lettere e poi quelli di giurisprudenza; a Castelnuovo esercitò per qualche tempo l'avvocatura, e tutti ne lodavano la dottrina e riverivano e amavano la bontà. Ma la tempra particolare dell' ingegno lo chiamava agli studii di quelle lettere che ingentiliscono e consolano la vita; onde avvenne che leggendo i nostri maggiori poeti ne accoglieva la parola profondamente nell'animo commosso, e a poco a poco cominciò a sentirsi atto a ripeterla. E cantò le memorie della sua prima giovinezza, amore e dolore, i grandi avvenimenti politici che ci dettero finalmente una patria, e le speranze d'un migliore avvenire per la nostra cara Italia e per l'umanità intera. (Vedi Versi di G. Raffaelli, Le Monnier, 1868.) Perthe sentiva davvero e sapeva significare con eletta e armoniosa parola ciò che amore spira nelle anime gentili, non imitò nessuno e fece da sè. Certo non riuscì poeta da mettersi fra i nostri contemporanei più insigni, nè, modesto com' era, ebbe nell' animo di toccar l'eccellenza nell'arte, ma si meritò la lode di affetto soave e di facile e perspicua eleganza Ma il Raffaelli non fu solamente gentile poeta, fu benanche operoso e utile cittadino. Amantissimo della durabile grandezza della patria, lamentava il basso stato della nostra istruzione popolare e secondaria; ed eletto Provveditore degli studii nelle provincie di Pisa e Livorno, pose tutto l'ingegno a trovar modo per quanto era da lui, di rialzarla e diflonderla. Gl'insegnanti, a' quali era preposto, aveva per amici, mentre, tenerissimo del suo ufficio, stava sempre attento che ciascuno facesse il proprio dovere; e quando per caso a qualcuno fosse fatto oltraggio a nome del Governo, ed egli levava la voce a difenderlo, perchè sopra ogni cosa amava la giustizia. Considerava poi gli scolari quasi come figliuoli; voleva essere informato della loro condotta e profitto in iscuola, e assisteva spesso a' loro lavori dando lode con parsimonia, e biasimo con amore. Alla molta dottrina accoppiava molta modestia; e spesso trattando di cose di scuola con gl' insegnanti, proponeva i suoi consigli a modo di dubbi, invitando a pensarci sopra, prontissimo a mutare e anco deporre le proprie idee quando trovasse migliori le altrui: cosa invero che tutti dicono di fare quando occorra, ma i più trovano poi che non occorre. Era religioso, ma liberissimo e tollerantissimo; virtù che si trova di rado anco ne' buoni, e non si trova mai nelle sitte con qualunque nome si chiamino e qualunque sia la loro bandiera. Ed egli era tanto buono e tanto infelice! Vide i tre fratelli scendere a breve intervallo l'uno dall' altro nel sepolcro, tutti rapiti innanzi tempo da quella stessa malattia, dalla quale si

sentiva egli medesimo struggere a poco a poco. Egli vedeva nella loro sorte la propria, e ogni anno al cadere delle foglie d'autunno tremava di non riveder il verde ed i fiori, e, come il Leopardi, iutuonava a se stesso un canto funereo. E nel 1868 scriveva:

Al nappo della vita

Non liberò che una memoria mesta
Come di cara illusion fuggita;

Finchè coi fior di giovinezza in testa

La mia giornata non avrò compita.

Così gli diceva il cuore, e così fu. Il dì 47 gennaio 1869 nella età di soli 40 anni moriva in Pisa, dove ancor dura cara e venerata la sua memoria.

G. B. MACCARI.

I.

IN MORTE DI LEOPOLDO

AL FRATELLO GIUSEPPE.

I.

Fratello, a pосо росо
Ei, come cera al foco,
Si strugge: tutto è vano.
Brucia nella mia mano
La mano sua; son rosse
Le guance; aspra è la tosse.
Più non gli gonfia il petto
L'alito; cupo, stretto
Vien dal ventre il respiro.
Qual t'aspetta martiro,
Povera madre mia!

Tu divori la via.

Fra poco a queste soglie
Con la misera moglie,
Co' figliuoletti suoi,
Tu giungerai: ah noi
Piangerem tutti insieme!
Ma una cara speme
Non gli turbiamo in core.
Egli non vede l'ore
Del viver suo sì corte.
Ei non vede la morte,
Ora in pace con Dio.
Pensa al colle natio;

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