Posa, o spirito mio; nè acquistin fede Quel novo ardor che tutto entro m'invade: Scosso il torpore senza fine amaro, 1 Cioè, metro, verso. 2 Allude alla tragedia d' Eschilo intitolata : I Persiani. 572 GIOVANNI RAFFAELLI. AD UNA MAESTRA DI REGIO ORFANOTROFIO CHE VA A REGGERE ALTRO ISTITUTO. ADDIO DELLE ORFANE. Fior di chiuso giardino, Che rallegri quest' aure e quest' aiuole, Che da cetre concordi al ciel si volve, Infondevi il desio d'opre leggiadre; L'egra vegliando e l' orfanella morta, Deh, se pregar di miseri s' ascolta, Quando, al tardo venir della dimane, Non udrem di tue labbra il noto accento, Altre l'orgoglio degli amplessi tuoi. Con noi rimanga e il fervido desio Di rivederti e consolarci insieme. E provveda alle affiitte orfane Iddio!1 Questi affettuosissimi versi rendono come un'immagine fedele dell'anima di Giovanni Raffaelli, del quale, perchè lo conobbi e l'amai, voglio lasciare un breve ricordo in queste pagine. Nacque a Castelnuovo di Garfignam il 9 febbraio 1828, e conobbe ben presto la sventura, restando in tenera età con tre fratelli, de' quali era il minore, privo del padre mancato in età ancor giovanile. Gli zii paterni lo accolsero nella loro casa, lo ebbero come figliuolo, e buoni e dotti com'erano, curarono con grande amore l'educazione e l'istruzione del giovinetto, il quale rispose degnamente alle loro sollecitudini. A Modena fece gli studii delle lettere e poi quelli di giurisprudenza; a Castelnuovo esercitò per qualche tempo l'avvocatura, e tutti ne lodavano la dottrina e riverivano e amavano la bontà. Ma la tempra particolare dell' ingegno lo chiamava agli studii di quelle lettere che ingentiliscono e consolano la vita; onde avvenne che leggendo i nostri maggiori poeti ne accoglieva la parola profondamente nell'animo commosso, e a poco a poco cominciò a sentirsi atto a ripeterla. E cantò le memorie della sua prima giovinezza, amore e dolore, i grandi avvenimenti politici che ci dettero finalmente una patria, e le speranze d'un migliore avvenire per la nostra cara Italia e per l'umanità intera. (Vedi Versi di G. Raffaelli, Le Monnier, 1868.) Perthe sentiva davvero e sapeva significare con eletta e armoniosa parola ciò che amore spira nelle anime gentili, non imitò nessuno e fece da sè. Certo non riuscì poeta da mettersi fra i nostri contemporanei più insigni, nè, modesto com' era, ebbe nell' animo di toccar l'eccellenza nell'arte, ma si meritò la lode di affetto soave e di facile e perspicua eleganza Ma il Raffaelli non fu solamente gentile poeta, fu benanche operoso e utile cittadino. Amantissimo della durabile grandezza della patria, lamentava il basso stato della nostra istruzione popolare e secondaria; ed eletto Provveditore degli studii nelle provincie di Pisa e Livorno, pose tutto l'ingegno a trovar modo per quanto era da lui, di rialzarla e diflonderla. Gl'insegnanti, a' quali era preposto, aveva per amici, mentre, tenerissimo del suo ufficio, stava sempre attento che ciascuno facesse il proprio dovere; e quando per caso a qualcuno fosse fatto oltraggio a nome del Governo, ed egli levava la voce a difenderlo, perchè sopra ogni cosa amava la giustizia. Considerava poi gli scolari quasi come figliuoli; voleva essere informato della loro condotta e profitto in iscuola, e assisteva spesso a' loro lavori dando lode con parsimonia, e biasimo con amore. Alla molta dottrina accoppiava molta modestia; e spesso trattando di cose di scuola con gl' insegnanti, proponeva i suoi consigli a modo di dubbi, invitando a pensarci sopra, prontissimo a mutare e anco deporre le proprie idee quando trovasse migliori le altrui: cosa invero che tutti dicono di fare quando occorra, ma i più trovano poi che non occorre. Era religioso, ma liberissimo e tollerantissimo; virtù che si trova di rado anco ne' buoni, e non si trova mai nelle sitte con qualunque nome si chiamino e qualunque sia la loro bandiera. Ed egli era tanto buono e tanto infelice! Vide i tre fratelli scendere a breve intervallo l'uno dall' altro nel sepolcro, tutti rapiti innanzi tempo da quella stessa malattia, dalla quale si sentiva egli medesimo struggere a poco a poco. Egli vedeva nella loro sorte la propria, e ogni anno al cadere delle foglie d'autunno tremava di non riveder il verde ed i fiori, e, come il Leopardi, iutuonava a se stesso un canto funereo. E nel 1868 scriveva: Al nappo della vita Non liberò che una memoria mesta Finchè coi fior di giovinezza in testa La mia giornata non avrò compita. Così gli diceva il cuore, e così fu. Il dì 47 gennaio 1869 nella età di soli 40 anni moriva in Pisa, dove ancor dura cara e venerata la sua memoria. G. B. MACCARI. I. IN MORTE DI LEOPOLDO AL FRATELLO GIUSEPPE. I. Fratello, a pосо росо Tu divori la via. Fra poco a queste soglie |