Queto su le tue braccia.
Ahi! che il reo mal ti colse,
Ed in brevissim' ora
Le giovinette membra ti disciolse. Le fanciulline tue piangono ancora, E sempre piangeranno,
Ch'hanno perduta la lor dolce madre; E il villanel ch'è padre, Ch' or per casa le mira, Vede tutto il suo danno E tacito sospira. Vergine, gli occhi belli
Volgi dal Cielo, e guarda
Le figliuole e il podere ai villanelli; E il nome tuo fino all' età più tarda Benediranno; e vista
Or sarai sotto l'ombra d'una vite, Ora in piaggie fiorite, Il fiorellin del campo Côr tutta lieta in vista, E sparir come lampo.1
È poesia che sgorga proprio dal cuore.
O dipintor delle gentili cose, Pingimi, o Amore, tacito giardino. Largo viale pampinoso, e in forma Di pergolato, il bel loco circondi. Crescano a' lati giovinette piante, Ove a' tronchi s'intreccino le rose D'ellera a guisa, e d'ogni parte l'erbe La solitaria mammoletta infiori. Tremoli in mezzo un piccioletto lago: Vi sien sedili e salici dappresso; Qualche fanciulla segga lavorando Vaga ghirlanda, e spicciolate foglie Coprano il lago. Altra stia lunge all' ombra Stesa, e farfalle ronzinle d'intorno. Altra ancor vada fior cogliendo. Maggio Sia la stagione, quasi a mezzo il cielo Trascorso il sole, e tutto intorno posi..
Venne luglio e più l' aëre s' infoca. Dal campo all'ombra del vicino faggio Con la famiglia il buon villan s'accoglie, Ed apparecchian la silvestre mensa.
Mormora presso la purgata fonte,
Ove ad attinger vien l'acqua con l'urna, La maggior figlia, e i piccioletti lunge Tentan co' sassi l'odorate poma
Negli alti rami, e or l'uno or l' altro cade. Nel paesetto la solinga strada Solo trapassa il vagabondo cane; E tutto è chiuso. La donzella scopre Del sen le rose, e languidetta giace Piena d'amor nella dipinta stanza, Ov'entra lene il venticello, e spira Il delicato odor del gelsomino; E poi trascorso e temperato il giorno, Torna romore per i luoghi, e nunzio Della festa che vien, batte il tamburo. A poco a poco s'ombrano le vie, S'apron logge e finestre, e il sol che cade, Gli ultimi raggi nelle stanze manda. Poi l'aere imbruna, e a' bei diporti amica Reca nuovo chiaror la fresca sera.1
O IL PRIMO GIORNO DELL'ANNO.
È in festa la città, comincia novo
Anno, e par quasi ingiovanisca il tempo. In su la piazza romorosa, dove
Passa e ripassa la festosa gente,
Un vecchio cieco, cui non varia il tempo, E sol conosce la vita affannosa
Del cor, guidato dall'amica mano
In questi due brevi componimenti non è al certo novità di pensiero, nè armonia studiata di verso; ma pure essi piacciono: e perchè? perchè le cose che il Poeta dice, ti par proprio di vederle. Sono due miniature, due quadrettini di quelli che si chiaman di genere, presi dal vero; e appunto perchè presi dal vero, tu li guardi con diletto.
Del figlio garzoncello, unica forse Idea giuliva della mente oscura, La carità dimanda a questo, a quello. Intanto due vivaci creature,
Vaghi angioletti in tutta quella ciurma, Si parlano fra loro; una s'avanza Cerulea nello sguardo, e dalle dita Della man leggiadretta una monet Lascia cader sul sucido cappello Del vecchio che non vede; atto celeste, Cui la greca bellezza non figura. Oh! grazie, giovinette, della dolce Lagrima che mi scorre su le guance. Udite, o giovinette, l' uno all' altro Oggi annunzian fortune gli ozïosi. Quegli auguri, del par che le bugiarde Foglie della Sibilla, van dispersi. A voi, dai petto fervido, agitato Del suo giovin poeta, a voi predice L'anno festivo, o giovinette, Iddio 1
Anche qui un quadretto e un pensiero affettuoso: ecco tutto. E simili a queste tre sono in generale le poche poesie che ci lasciò Giuseppe Maccari. Egli era fratello minore di Leopoldo (vedi pag. 575) e di Giovan Battista, e tutti e tre scesero nel sepolcro pochi anni or sono, consunti dalla stessa malattia e con le rose della giovinezza sul volto.
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