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Queto su le tue braccia.

Ahi! che il reo mal ti colse,

Ed in brevissim' ora

Le giovinette membra ti disciolse.
Le fanciulline tue piangono ancora,
E sempre piangeranno,

Ch'hanno perduta la lor dolce madre;
E il villanel ch'è padre,
Ch' or per casa le mira,
Vede tutto il suo danno
E tacito sospira.
Vergine, gli occhi belli

Volgi dal Cielo, e guarda

Le figliuole e il podere ai villanelli;
E il nome tuo fino all' età più tarda
Benediranno; e vista

Or sarai sotto l'ombra d'una vite,
Ora in piaggie fiorite,
Il fiorellin del campo
Côr tutta lieta in vista,
E sparir come lampo.1

È poesia che sgorga proprio dal cuore.

582

GIUSEPPE MACCARI.

I.

IL GIARDINO.

O dipintor delle gentili cose,
Pingimi, o Amore, tacito giardino.
Largo viale pampinoso, e in forma
Di pergolato, il bel loco circondi.
Crescano a' lati giovinette piante,
Ove a' tronchi s'intreccino le rose
D'ellera a guisa, e d'ogni parte l'erbe
La solitaria mammoletta infiori.
Tremoli in mezzo un piccioletto lago:
Vi sien sedili e salici dappresso;
Qualche fanciulla segga lavorando
Vaga ghirlanda, e spicciolate foglie
Coprano il lago. Altra stia lunge all' ombra
Stesa, e farfalle ronzinle d'intorno.
Altra ancor vada fior cogliendo. Maggio
Sia la stagione, quasi a mezzo il cielo
Trascorso il sole, e tutto intorno posi..

II.

L ESTATE.

Venne luglio e più l' aëre s' infoca.
Dal campo all'ombra del vicino faggio
Con la famiglia il buon villan s'accoglie,
Ed apparecchian la silvestre mensa.

Mormora presso la purgata fonte,

Ove ad attinger vien l'acqua con l'urna,
La maggior figlia, e i piccioletti lunge
Tentan co' sassi l'odorate poma

Negli alti rami, e or l'uno or l' altro cade.
Nel paesetto la solinga strada
Solo trapassa il vagabondo cane;
E tutto è chiuso. La donzella scopre
Del sen le rose, e languidetta giace
Piena d'amor nella dipinta stanza,
Ov'entra lene il venticello, e spira
Il delicato odor del gelsomino;
E poi trascorso e temperato il giorno,
Torna romore per i luoghi, e nunzio
Della festa che vien, batte il tamburo.
A poco a poco s'ombrano le vie,
S'apron logge e finestre, e il sol che cade,
Gli ultimi raggi nelle stanze manda.
Poi l'aere imbruna, e a' bei diporti amica
Reca nuovo chiaror la fresca sera.1

III.
LA CARITÀ

O IL PRIMO GIORNO DELL'ANNO.

È in festa la città, comincia novo

Anno, e par quasi ingiovanisca il tempo.
In su la piazza romorosa, dove

Passa e ripassa la festosa gente,

Un vecchio cieco, cui non varia il tempo,
E sol conosce la vita affannosa

Del cor, guidato dall'amica mano

In questi due brevi componimenti non è al certo novità di pensiero, nè armonia studiata di verso; ma pure essi piacciono: e perchè? perchè le cose che il Poeta dice, ti par proprio di vederle. Sono due miniature, due quadrettini di quelli che si chiaman di genere, presi dal vero; e appunto perchè presi dal vero, tu li guardi con diletto.

Del figlio garzoncello, unica forse
Idea giuliva della mente oscura,
La carità dimanda a questo, a quello.
Intanto due vivaci creature,

Vaghi angioletti in tutta quella ciurma,
Si parlano fra loro; una s'avanza
Cerulea nello sguardo, e dalle dita
Della man leggiadretta una monet
Lascia cader sul sucido cappello
Del vecchio che non vede; atto celeste,
Cui la greca bellezza non figura.
Oh! grazie, giovinette, della dolce
Lagrima che mi scorre su le guance.
Udite, o giovinette, l' uno all' altro
Oggi annunzian fortune gli ozïosi.
Quegli auguri, del par che le bugiarde
Foglie della Sibilla, van dispersi.
A voi, dai petto fervido, agitato
Del suo giovin poeta, a voi predice
L'anno festivo, o giovinette, Iddio 1

Anche qui un quadretto e un pensiero affettuoso: ecco tutto. E simili a queste tre sono in generale le poche poesie che ci lasciò Giuseppe Maccari. Egli era fratello minore di Leopoldo (vedi pag. 575) e di Giovan Battista, e tutti e tre scesero nel sepolcro pochi anni or sono, consunti dalla stessa malattia e con le rose della giovinezza sul volto.

FINE.

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