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1 Mose.

Mentre le belve inchinano
Prona la fronte al suolo,
Su l'elevato vertice
Volgesi a gli astri ei solo.
Veggo in forme leggiadre
Donzella a lui sorridere,
Cui la sua costa è madre.
Ma quali, oimè!, ne tornano
Crude memorie in mente,
Onde l'orror rinnovasi
Entro il pensier dolente !
Ahi, come in suon feroce
Gli accenti si cangiarono
De la superna voce!
Anco in suo spettro orribile
Vive il primier delitto,
E ne l'orecchie attonite
Tuona l'antico editto:
Quasi fulmineo telo
Che di rovine nunzio
Rombi per noi dal cielo.
Ma, benchè l'arco vindice
Tenda giustizia in alto,
E le colpe indelebili
Abbian perpetuo smalto,
Pur quando mai vien meno
Pietà, che l'ire fervide

Spegne al gran nume in seno?

Ecco dal ciel discendono

Voci a i mortali amiche,

Onde l'alme si scuotono
Da le querele antiche.
Dio gli spirti consola,
Promettitor magnifico
D'immutabil parola.
Ei su 'l petroso Sinai
Al saggio israelita 1

Ne le marmoree tavole
I dieci dogmi addita.
Egli favella, e il suono
Del divin cenno involvesi

Entro il fragor del tuono.
Pieni di Dio ragionano,

Pieni de' suoi decreti,

Lungo il Giordano e il Siloe,
Fatidici profeti;

E a l'immortal concento

Fra la nebbia de' secoli

Tien fede il tardo evento.

O santo estro profetico

Dato a l'uman pensiero,
Perchè l' ingrate tenebre
Vinca il fulgor del vero,
Perchè cessi ogni danno
De le forme che velano
Il lusinghiero inganno: 1
Quale te già mirarono

Di Giuda un tempo i regni,
Forse tra noi risplendere
A' di tardi non degni?

Forse è la tua virtute
Di segnar stanca a gli uomini
Le vie de la salute?
Ma no: d'Olimpo l' ardua
Soglia non più si serra
Al commercio ammirabile
Del cielo e de la terra:
Anco in fervide note

La voce udiam, che al Libano

I cedri infrange e scote.

Sì, quella è pur, che spandono

In così largo fiume 2

1 L'uomo s'inganna, come dice Dante: Immagini di ben seguendo false, Che nulla promission rendono intera. Purg., canto XXX. 2 Cioè, con si larga copia di eloquenza.

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Duo' che parlando esprimono
L'aura e il favor del nume:
Duo che da i sacri rostri
Di doppio onor coronano
Fra noi d'Ignazio i chiostri.
Qual è sì rigid' anima

Cinta di crudo acciaro,
Che per te del reo calice
Non lasci il succo amaro,
O Trento, e al tuo consiglio
Non frema su l'immagine
Del suo mortal periglio?
Te, Zaccaria, paventano
Presi di freddo gelo
Quanti la fronte indocile
Levano incontro al cielo,
Quanti l'orecchio han sordo
Al fragor minaccevole
De l'Acheronte ingordo.
Ergi dunque, tu, l'umile
Capo da l'imo fondo,

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Erano i due padri predicatori Trento e Zaccaria, a' quali furono dedicati questi versi.

2 Il Crostolo è un piccolo fiume che ha la foce presso Guastalla.

E si dischiuse Averno:
Fuori per l'atre porte
Usciro a mover guerra
A la dannata terra
Colpa, ignoranza e morte.
Esser dovea di lagrime,
Esser cagion di lutto
Di conoscenza l'arbore,
De la scienza il frutto.
Avida la man corse
Al pomo venenato,
Che al labbro lusingato
Breve dolcezza porse.
Ahi come breve! Il provido
Velo, che i mali involse,
Entro la mente attonita
Tutto si scosse e sciolse.
Mossero a fuggir l' ali
Tosto innocenza e fede:
Felicità più sede

Non ebbe tra i mortali.
Amor, che sol d'ingenue
Delizie il cor pascea,
Accese in fiamme livide
La face impura e rea;
E la vergogna ignota,
Che tacer mal sofferse,
Rimproverando emerse
Su la vermiglia gota. 1
De la divina imagine

1

Più non conobbe l'orme
L'alma a sè consapevole
De le mutate forme:
Il fren del giusto infranse
Vizio de i cor tiranno;

Badino gli studiosi alla forza lirica de' concetti, delle immagini e delle espressioni. Specialmente quest'ultimo tratto sulla vergogna merita bene che ci si ripensi su.

E nel protervo inganno
Tacque virtute e pianse.
Impaziente, indomita,
Ira nel sangue esulta,
Minaccia inesorabile,
E vendicata insulta:
In van di torri puote
Cingersi e d'ardue mura
La vigile paura:

Ira le torri scote.
A l'altrui riso pallida
Invidia il cor si rode,
E le calunnie medita
Dolente de la lode.
Seco è la fraude, seco
Biasmo che mènte zelo,
E d'amistà col velo
Il tradimento cieco.

Cupidità non sazia

Preme fra cento chiavi
Iniquamente inutile
L'oro ne l'arche gravi:
E, se d'aver l' indegna
Voglia non ha confine,
Industria a le rapine
Titolo e nome insegna.1

Natura in van su i tremuli

Campi del mare infido

A guardia e Noto ed Affrico
Pose da lido a lido,

Se temeraria prora

Per intentati segni
Porta servaggio a i regni
D' Espero e dell' Aurora.

Die in van natura a gli uomini

Sorte egual d'egual cuna,

Guarda con quanta evidenza e vivezza poetica sa dipingere i varii sentimenti e le varie passioni dell' animo.

Autologia della Poesia italiana moderna.

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