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Se a l'immutabil ordine
Non consentì fortuna:
Ella in volubil cocchio
Misura il suolo e passa:
Tremante il vulgo abbassa
Il supplice ginocchio.
O terra! o felicissima

Stanza de l'uom primiero,
Felice in sin che grazia
Tempio vi tenne e impero!
Misera, poi che l'uomo,
Cieco su 'l proprio eccesso,
Contaminò se stesso
Co'l mal gustato pomo!
Nel genitor colpevole

Tutta fu rea la prole:
Trionfator de l'Erebo
Corse le vie del sole

Il re del pianto eterno;
Stese lo scettro, e

Preda la terra sia

Mia

Disse: e si schiuse Averno.1
Folle in suo vanto e misero!
Ecco che lui calpesta
Il piè d'immortal vergine
Steso su l'empia testa:
Vergin, su cui non tenne
Colpa l'artiglio iniquo,
Sola del fallo antiquo

Che monda in terra venne.

Quest'ultima immagine ha qualche cosa del sublime manzoniano. L'Ambrosoli infatti sente nella poesia religiosa di Agostino Paradisi, e specialmente in quest' Inno, come un preludio degl' Inni Sacri del Manzoni. Sta bene, ma voglio però aggiungere io che negl' Inni del Manzoni l'ispirazione religiosa è molto più potente, più vera, più ingenua e spontanea, ed ai concetti propriamente religiosi si accoppiano gli alletti più teneri e gentili; ivi, dico, ci parla all'animo commosso il vero spirito della fede cristiana, l'amore; mentre qui si sta quasi sempre in una regione ideale e quasi sacerdotale, e si parla più alla fantasia, che al cuore. Ad ogni modo mi pare che questo Poeta meriti di esser tenuto in maggior conto di quello che non si faccia fra noi.

III.

AMORE PRINCIPIO DI SOCIETÀ.

Lunge i profani arretrinsi
Al suon di sacre note,

Che su le corde italiche

Di Febo sacerdote
Oso a gioconde vergini

Ed a maturi giovani svelar.'
Voi pur, cui veste rigida
De' bei desir nemica
Stringe nel voto sterile
Di castità pudica,

Voi dal suon ritraetevi:

Libero io parlo, e vuo' d'amor cantar. Quell'ardor che ne l'anima

Ventila sue facelle

È gentil foco etereo

Rapito da le stelle,

Quando l'ardir titanio 2

L'ignea strada al gran furto carreggiò.

I piacer da lui sorgono

Quasi da fonte, e il riso;
Sorgono i desir fervidi
Tutti fiamma nel viso;

Sorge la speme credula

Del voler mutuo che mentir non può.

Vago per selve inospite

L'uom primo alpestre e duro

Non conoscea ricovero

Di tetto e d'abituro,

Nè spoglia difendevalo

1 Imita il principio d' un' Ode d' Orazio (III, 1):
Odi profanum vulgus, et arceo:
Favete linguis, carmina non prius
Audita Musarum sacerdos

Virginibus puerisque canto.

2 Cioè l'ardire del Titano Prometeo.

Dal vicin sole o da l'acuto gel.
Fra i perigli e il disordine,
Terribili a mirarsi

I crin si rabbuffavano
Sovra le ciglia sparsi;

Gli occhi di furor lividi

Rado trovar sapean la via del ciel. **
Quando le stelle inducono

Il sonno a i membri lassi,
Sotto chiomata rovere
Giacea tra fronde e sassi,

E nel feral silenzio

Ministro de' suoi sogni era il terror.

Se foglia in ramo tremula

Mormorava per vento,
Colto da pavor2 gelido
Premea nel petto il mento:
Scosso raccapricciavasi,

E stringea freddo sangue il tardo cor.
Per l'atra solitudine

Tal di se stesso incerto

Se 'n gía con orme pavide

Misurando il deserto

L'uomo, a le belve simile,
Sconoscente a natura, ignoto a sè.

Salve, o fanciullo idalio,"

Spirator di leggiadre

Cure ne l'uomo indocile !

Salve de l'uomo padre!

In società raccoglierlo,

Se non Amor, qual altro dio potè?

Errava un dì su 'l margine

Di fresco argenteo rivo,

Bello il concetto, e in generale tutta questa descrizione della rozzezza

dell' uomo primitivo è assai felice.

2 Latinismo non usato, paura, spavento.

3 Gelidusque coit formidine sanguis. Virg., Æen., III, 30.

Cioè, o Amore, se non che questa locuzione mitologica qui non ci cadeva opportunamente.

Cui dense ombre gratissime
Coprian dal sole estivo.
Ivi ei mirò prodigio

Dal fondo de la selva a lui venir.
Vide in leggiadra immagine

Solitaria donzella:

Mostrò allor l'occhio stupido

Pien de la forma bella

Al cor non consapevole

La via de i desir dolci e de i sospir.

S'appressò, corse attonito;
S'affissò nel bel volto;
E per lo sguardo cupido
Bebbe l'incendio accolto:
Di vena in vena scorrere
La smania rapidissima sentì.
Or più non freme e ringhia
Il labbro a ruggir uso:
Ma geme lamentevole,
Poi si ristà confuso.

Parlar tenta: Amor spronalo:

E il labbro indotto — lo t'amo-proferì.1

Tutta l'ode mi pare originale e graziosa.

70

LUIGI CERRETTI.

1 Aristotile.

I.

L'INVITO.

Tornan, Dorillo, i placidi
Giorni di primavera:

Dorillo, i pensier torbidi

Deponi e a la severa
Serbagli estrema età.
Talvolta breve insania

Mesce a i consigli il saggio:
Anche senza che affrettilo
D'avverse cure oltraggio,
Pur troppo irrevocabile
L'ultimo di verrà.

Che giova, in filosofici

Severi studi involto,

Aver, fra dubbi e tenebre,
Pallido sempre il volto,
Sempre inquieto il cor?

Qual, dimmi, a te promettono
Gli studi tuoi mercede?
Suono d'incerta gloria
Che al rogo sol succede,
Ma che a' tuoi giorni involano
L'inganno ed il livor.

Tomba straniera in Calcide

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