Nè sorte più gradita
Di Sofronisco al figlio1 L'ingrata Atene offrì. A che cercar fra i posteri Piacer sognato e vano? Vuoi dunque che sorridano Cielo e natura in vano
A l'ordin de'tuoi dì? Vedi? S'adorna ogni arbore Del suo frondoso incarco: Bello, in color ceruleo, Già ormai di nevi scarco, Da lunge il monte appar. Il bue muggendo adattasi
Di nuovo al giogo usato; Torna il villan co'l vomere Al solco abbandonato, E a lo spirar di Zefiro
Torna il nocchiero al mar. Vieni. Al tumulto invólati Di basse turbe ignare: Mal le cittadi il veggono: Quanto sia bello, appare Solo ne' campi april. De gli avi miei retaggio, Sovra romito colle Albergo solitario
A gli ozi miei si estolle:
Quivi i miei lari aspettano
Ospite si gentil.
Semplice vitto e semplice
Godrai piacer con esso: Fugge dal fasto incomodo Felicitade, e spesso
Su gli origlier di porpora Langue la voluttà.
Non di vendemmie galliche
Le stille peregrine;
Ma la mia man, che scelselo, De le natie colline
Il vin ti mescerà.
Lungi da te il socratico
Sobrio rigor per poco: In convival delizia Tutto fra canti e gioco, Tutto si versi il cor. Virtù tropp'aspra e rigida Nutre un'alma inclemente: Flacco e Virgilio a i calici Porgean la man frequente, Ma del primier de' Cesari Fu sobrio l' uccisor. Tu che, se vuoi, le italiche Grazie a le grazie argive Tanto unir sai, che Pindaro Certo, cred' io, rivive
E spira entro il tuo sen; Tu la febea testudine 1
Recherai teco, e un canto Tal ne trarrai, che Lidia Al fin ceda al mio pianto, O l' ostinato orecchio Porga a'miei voti almen. 2 Tregua avria Tizio e Sisifo Ne l'ima valle inferna, Mercè il tuo suon; le Belidi Non verserian l'eterna
Onda ne l' urna in van. 3
Cioè la lira: xeλus, la chiamavano i Greci e quindi chelys o testudo i Latini, perchè narra la Favola che Mercurio, passando un giorno lungo il Nilo, inciampo col piede nel guscio di una testuggine disseccata che mando un suono ; onde la prese e ne formò un istrumento a corda.
2 Orazio, Odi, III, 11.
Dic modos, Lyde quibus obstinatas
Fin qui ha intessuto la sua ode di sentimenti e d'immagini oraziane:
da qui in giù traduce Orazio addirittura. Porrò qui il testo, perchè i giovani possano più facilmente fare il paragone:
Audiat Lyde scelus, atque notas Virginum pœnas, et inane lymphæ Dolium fundo pereuntis imo, Seraque fata,
Quæ manent culpas etiam sub Orco. Impiae (nam quid potuere majus?) Impiæ, sponsos potuere duro
Una de multis, face nuptiali
Digna. periurum fuit in parentem Splendide mendax et in omne virgo Nobilis ævum;
Surge, quæ dixit juveni marito, Surge, ne longus tibi somnus, unde Non times, detur; socerum, et scelestas Falle sorores:
Quæ, velut nacta vitulos leænæ, Singulos, eheu! lacerant: ego illis Mollior, nec te feriam, neque intra Claustra tenebo.
Me pater sævis oneret catenis,
Quod viro clemens misero peperci; Me vel extremos Numidarum in agros Classe releget.
I, pedes quo te rapiunt, et auræ, Dum favet nox, et Venus: i secundo Omine; et nostri memorem sepulcro Scalpe querelam.
Me, che t'amai, circondino La paterne catene;
O l'ultima Numidia Tra le infocate arene Sia mèta al mio languir. Tu va, mentre secondano Notte ed Amor mie brame. Salvo gli dii ti scorgano Da questa reggia infame: Poi memori al mio tumulo Vengano i tuoi sospir. 1
Bella in siepe frondosa È la fiorita spina, Allor che rugiadosa Fuor de l'eoa marina L'alba novella uscì:
Ma, se gentile innesto
Non cangia il tronco duro, Cadon le foglie, e presto Rozzo virgulto oscuro
Torna qual era un dì.
Bella in piagge fiorite Di pampinosi colli È la nascente vite, Cura de l'aure molli,
Primo de campi onor:
Nell' Ode d' Orazio la storia delle Belidi ci sta senza sconvenienza, perchè era nelle tradizioni mitologiche de' suoi tempi, e perchè non isgarba con tutto il resto; ma nell' Ode del Cerretti non ci aveva nulla che fare, e c'è tirala proprio pe' capelli, per ostentazione d'arte, per far colpo sugli eruditi, che so io? O imitatores! Io l'ho messa perchè c'è qualche luogo assai felice quanto allo stile, e principalmente perchè servisse alla storia dell'arte.
Ma, se a l'olmo il bifolco In accoppiarla è lento, Lei su 'l negletto solco Calca co'l piè l'armento, L'insulta ogni pastor. Bella è in chiuso soggiorno Vergin pudica anch'ella; Tutto le ride attorno, Tutto la fa più bella
Ne la sua fresca età:
Ma, se Imeneo con presta
Man non ne unisce il core, Oltre che inutil resta, Illanguidisce il fiore Di sua gentil beltà. Pera chi dunque i santi
Nodi d'Imen non cura. Delizia de gli amanti, Fonte di eterna e pura Gioia, Imeneo, tu se'. Tu, ben che a la mia fede Premio oramai dovuto Non ardan le tue tede, De' versi miei tributo Tu sempre avrai da me. Ed oggi pur che bella, Scorta da le tue faci, Fior d'ogni alma donzella Vola a gli amplessi e a i baci
Di nobile garzon;
Oggi vo'che i tuoi vanti
L'arcade suolo ammiri;
Vo' che su i nostri canti
Invido ne sospiri
Amore al paragon.1
Arbitro de' viventi,
Cioè, voglio che Amore paragonato ne' miei canti ad Imeneo, riconoscen.
dosi da meno di lui, sospiri d'invidia.
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