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VITTORIO ALFIERI.

I.

ALLA CUPOLA DI SAN PIETRO.

Immensa mole che nel ciel torreggi
E tutto ingombri il vaticano suolo,
Curva e lieve che par t' innalzi a volo,
E più dall'occhio sfuggi e più grandeggi:
Già non fia che di te l'uom favoleggi

Nel dir che intera dall' etereo polo
Giù ti portasse un bello alato stuolo

Sovra il gran tempio, in cui per te ti reggi.
Ma se pur fosti, opra immortal, concetta
Da uom mortal, donde ei l'idea mai tolse
D'una magion di Dio così perfetta?
Fervido ingegno dal suo fral si sciolse,

E in ciel d'ogni bell' opra ebbe l'eletta: 1
Quaggiù tornato, unica palma ei colse. 2

1

II.

ALLA SUA DONNA.

S'io t'amo? Oh donna! io nol diria volendo.
Voce esprimer può mai, quanta m' inspiri

Ebbe l'eletta, cioè ebbe la scelta, scelse. Così Dante:
io temo forse

Che troppo avrà d'indugio nostra eletta.

Purg., XIII, 8.

2 Leggano gli studiosi, come commento al sonetto dell' Alfieri, Ed:nondo De Amicis, Ricordi del 1870-71. Firenze, Barbèra, pag. 109. Raccomando loro questo giovine scrittore, del quale può ripetersi l'antica sentenza: exordia tanta vix pauci meruere senes.

Autologia della Poesia italiana moderna.

Dolcezza al cor, quando pietosa giri

Vêr me tue luci ove alti sensi apprendo?
S'io t'amo? E il chiedi?... E nol dich'io tacendo?
E non tel dicon miei lunghi sospiri,

E l'alma afflitta mia, che par che spiri,
Mentre dal tuo bel ciglio immobil pendo?
E non tel dice ad ogni istante il pianto,
Cui di speranza e di temenza misto
Versare a un tempo e raffrenare io bramo?
Tutto tel dice in me: mia lingua intanto

Sola tel tace; perchè il cor s'è avvisto

Ch'a quel ch' ei sente, è un nulla il dirti: Io t' amo. 1

III.

ALLA VENERE MEDICEA.2

O di terreno fabro opra divina,

Pario spirante marmo, immagin viva,
Che di favella, ma non d'alma, priva
Finor sedevi di beltà reina:

Cedi regno, che il cielo omai destina

A mortal donna, a cui null'altra arriva;
Cui forse invidia la tua stessa Diva
Nata fuor dell azzurra onda marina.
Arte, audace assai troppo, ogni sua cura
Posta in formar di te cosa perfetta,
Già parea di sua palma irne sicura:
Ma, lunga etade a soggiacer costretta,
Dal suo letargo è sorta al fin Natura,
E fa questa mirabile vendetta. 3

E verissimo di pensiero e caldissimo d'affetto e, se ne togli l'ultima frase del 5o verso dove quel dich' io non dà bel suono, è privo di quell' asprezza che spesso ci offende nello stile del gran tragico.

2 Questa celebre statua greca si trova a Firenze nella Galleria degli Uffizi. 3 E un bel sonetto: e c'è una certa armonia e morbidezza di verso che s'incontrano di rado nell' Astigiano.

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Quindi è che al rio poter, sotto cui giacqui,
Drizzai da lungi l' apollineo strale,

E in mio danno a pro d'altri il ver non tacqui.1

VI.

AL SEPOLCRO DI DANTE.

O gran padre Alighier, se dal ciel miri
Me tuo discepol non indegno starmi,
Dal cor traendo profondi sospiri,
Prostrato innanzi a' tuoi funerei marmi;
Piacciati, deh! propizio ai be' desiri

D'un raggio di tua luce illuminarmi.
Uom che a primiera eterna gloria aspiri,
Contro invidia e viltà de' stringer l'armi?
Figlio, i' le strinsi, e assai men duol; ch'io diedi
Nome in tal guisa a gente tanto bassa,

Da non pur calpestarsi co' miei piedi.
Se in me fidi, il tuo sguardo a che si abbassa?

Va, tuona, vinci: e, se fra piè ti vedi

Costor, senza mirar sovr'essi passa.

2

VII.

ALLA CAMERA DEL PETRARCA.

O cameretta che già in te chiudesti

Quel grande, alla cui fama angusto è il mondo,
Quel sì gentil d'amor mastro profondo,

Per cui Laura ebbe in terra onor celesti;

1 Per gustar questo sonetto bisogna conoscer bene l'indole e la vita dell'Astigiano. Vedi nell' Antologia della prosa dalla pag. 51 alla pag. 69, e più specialmente l'articolo 3°.

2 C'è come trasfusa l'anima del Poeta, e c'è robustezza, senza stento; qui la parola franca risponde a' generosi passi dell' estro.

O di pensier soavemente mesti
Solitario ricovero giocondo;

Di quai lagrime amare il petto inondo
Nel veder ch'oggi inonorata resti!
Prezioso diaspro agata ed oro

Foran debito fregio, e appena degno

Di rivestir sì nobile tesoro.

Ma no: tomba fregiar d'uom ch' ebbe regno
Vuolsi, e por gemme ove disdice alloro:
Qui basta il nome di quel divo ingegno.

1

1 Credo che l'Alfieri non abbia sonetto più gentile, più spontaneo e armonioso di questo.

Forse a qualcuno parrà che io abbia preso troppo poco dall' Alfieri Certo tutte le poesie, anzi tutti gli scritti di lui, anco meno importanti in se stessi, meritano di essere studiati, non foss' altro, come parte della storia dell'uomo, e di qual uomo ma in questo libro, e per gli angusti limiti che ha e per lo scopo particolare a cui mira, non ne potevano entrare che pochi e brevi. Non potendo adunque dare una tragedia intiera e non volendo metterla in brani, non mi restava che spigolare fra le poesie minori; ma queste, tranne pochissime, sono pur troppo minori del gran nome che portano in fronte. Dunque poche, ma buone. E ho fatto così.

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