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Tra la beata gente
Che, di fatiche onusta,
È vegeta e robusta.
Qui con la mente sgombra,
Di pure linfe1 asterso,
Sotto ad una fresc' ombra
Celebrerò col verso

I villan vispi e sciolti
Sparsi per li ricolti;

E i membri non mai stanchi
Dietro al crescente pane; 2
E i baldanzosi fianchi
Delle ardite villane;
E il bel volto giocondo

Fra il bruno e il rubicondo;
Dicendo: Oh fortunate

Genti, che in dolci tempre
Quest' aura respirate,3
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi
E da limpidi rivi!

4

Ben larga ancor natura
Fu alla città superba *
Di cielo e d'aria pura;
Ma chi i bei doni or serba.
Fra il lusso e l'avarizia

E la stolta pigrizia?

Ah! non bastò che intorno

Putridi stagni avesse;

Anzi a turbarne il giorno

Sotto alle mura stesse

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Onde, acque. Linfa oggi è in uso soltanto come termine medico.

2 Che non risparmiano fatiche nella cultura del grano.

3 Che respirate quest' aria dolcemente temperata, salubre.

4 Milano.

Intende degli allagamenti artificiali che si fanno nelle risaie, e che, guastando l'aria, sono di grandissimo danno alla pubblica salute. V. sopra, str. 7".

E la comun salute

Sacrificossi al pasto
D'ambiziose mute,'
Che poi con crudo fasto
Calchin per l'ampie strade
Il popolo, che cade.

A voi il timo e il croco

E la menta selvaggia
L'aere per ogni loco
De' vari atomi irraggia,
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari.
Ma al pie de' gran palagi

Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l' aria lenta
Che a stagnar si rimase
Tra le sublimi case.2

Quivi i lari plebei

Dalle spregiate crete
D'umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s' aggira,
E col fiato s' inspira.
Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
Degli aliti corrotti
Empion l' estivo die:
Spettacolo deforme

Del cittadin sull' orme !

Nè appena cadde il sole,
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine

1 Mute di cavalli.

2 Tutto ciò è detto con evidenza grande.

3 Latinismo, percorrono.

Della città, che desta
Beve l'aura molesta.
Gridan le leggi, è vero,
E Temi bieco' guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l'inerzia privata.
Stolto! e mirar non vuoi
Ne' comun danni i tuoi?
Ma dove, ah! corro e vago
Lontano dalle belle
Colline e dal bel lago,
E dalle villanelle,

A cui si vivo e schietto

Aere ondeggiar fa il petto?
Va per negletta via

Ognor I util cercando
La calda fantasia,
Che sol felice è quando
L'utile unir può al vanto
Di lusinghevol canto."

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Al signor Wirtz, Pretore nel 1763 per la Repubblica Elvetica.

Oh tiranno signore

1 Biecamente.

De' miseri mortali,

Oh male, oh persuasore

2 E questa è proprio la vera definizione della poesia del Parini. Per lui J'arte non è fine a se stessa, ma è istrumento di progresso morale e civile, come si vede anco da' soggetti che piglia a trattare. L'argomento di quest' ode appartiene a quel ramo della medicina che mira a prevenire le malattie, cioè, all' igiene; scienza anc' oggi giovinetta e meno che bambina a que' tempi, ne' quali si tolle. rava dalle Autorità tanto sudiciume in una città così insigne. Ora Milano si cita per la sua pulitezza. Certo di questo miglioramento si deve cercar la ragione nei tempi mutati, ma si deve anco averne obbligo al Parini, che contribui a mutarli.

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Cinge i cor la virtude;
Ma tu gli urti e rovini,
E tutto a te si schiude;
Entri, e i nobili affetti
O strozzi od assoggetti.
Oltre corri, e fremente
Strappi Ragion dál soglio;
E il regno della mente
Occupi pien d'orgoglio;
E ti poni a sedere
Tiranno del pensiere. "
Con le folgori in mano

La Legge alto minaccia;
Ma il periglio lontano
Non scolora la faccia
Di chi senza soccorso
Ha il tuo peso sul dorso.
Al misero mortale

Ogni lume s' ammorza;
Vêr la scesa del male
Tu lo strascini a forza:

Ei, di se stesso in bando,

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Va giù precipitando.

Ahi! l'infelice allora

I comun patti rompe:
Ogni confine ignora;
Ne' beni altrui prorompe;
Mangia i rapiti pani
Con sanguinose mani. *
Ma quali odo lamenti

E stridor di catene,

Malesuada fames. Virg., Aen, VI, 276. 2 Latinismo: steccati, ripari, argini. 3 Sublime nella sua semplicità.

Quadro terribile e pur troppo vero.

E ingegnosi stromenti
Veggo d' atroci pene,1

Là per quegli antri oscuri,
Cinti d'orridi muri?
Colà Temide armata

Tien giudizi funesti
Sulla turba affannata,
Che tu persuadesti

A romper gli altrui dritti,‹
O padre di delitti.

Meco vieni al cospetto

Del nume che vi siede.
No, non avrà dispetto
Che tu v' inoltri il piede.
Da lui con lieto volto
Anco il Bisogno è accolto.

O ministri di Temi,

Le spade sospendete:
Dai pulpiti supremi
Qua l'orecchio volgete.
Chi è che pietà niega
Al Bisogno, che prega?
Perdón, dic' ei, perdóno
Ai miseri cruciati.

Io son l'autore, io sono
De' lor primi peccati:
Sia contro a me diretta
La pubblica vendetta.

Ma quale a tai parole

Giudice si commove?
Qual dell' umana prole

A pietade si muove?

Tu, Wirtz, uom saggio e giusto,

Ne dái l'esempio augusto:

La tortura. Il libro del Beccaria, intitolato De'delitti e delle pene, che valse a strappare di mano a' carnefici gl' istrumenti infami della tortura, e a impedire così tanti orribili delitti legali, vide la luce nel 1764, vale a dire, un anno dopo la pubblicazione di quest' ode.

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