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DELLA POESIA ITALIANA MODERNA

E DI QUESTA ANTOLOGIA.

A dar retta a certuni che dicono da sè di essere molto innanzi nella via del sapere, e s'intitolano uomini positivi, parrebbe che i tempi nostri, dediti intieramente alla ricerca dell'utile, quanto al bello, non ne volessero più sapere. Secondo costoro, questo è tempo di traffici, di commerci ed anco di scienza, ma di quella che è immediatamente applicabile alla vita materiale, non di scienza speculativa, e tanto meno poi di arte e di poesia. Noi Italiani abbiamo atteso abbastanza a' versi, ed è finalmente venuto il tempo della prosa. Questo dicono e ripetono su tutti i toni a guisa di ritornello.

Ora, sebbene molti si facciano una regola di pensarla a modo di quelli che dicono di veder nelle cose più addentro degli altri, io mi ostino a credere che la poesia non sia morta, e non possa morire che in compagnia del genere umano. Tempo di prosa! È una frase che, presa così alla lettera, come fanno quegli uomini positivi, non vuol dir proprio nulla di positivo, nè di ragionevole. Come! ci può egli essere un tempo che la bellezza della natura e dell'arte e lo splendore eterno del vero non innamorino più le menti, e non faccian battere i cuori? ci può egli essere un tempo che all' occhio dell' uomo sia muta l'armonia dell'universo? o Antologia della Poesia italiana moderna.

che alla sua mente non s'affaccino talora i più ardui problemi della vita? e che non potendo dar loro una risposta con la scienza positiva, non cerchi di supplire a quella col sentimento, con la poesia? Tempi di prosa! E l'amore, e la patria, e la virtù, e la sete del vero che mai non si acqueta, e la verità che tanto ci sublima, e le nostre speranze e i nostri timori; e questo vuoto che ci sentiamo sempre nel cuore, e che nessuno studio positivo può riempire, e questo anelare ad una felicità che ci fugge lontana lontana dal guardo, non è poesia? Sta a vedere che l'esperienza riuscirà a tarpare le ali alla immaginazione, e il sillogismo varrà in fine a estinguere il sentimento del cuore! Tempi di prosa i nostri! L'Italia che sorge sicura di sè, e ripiglia il luogo che l'era dovuto fra le nazioni, che abbatte la teocrazia papale, cominciando così un'epoca nuova nella storia della civiltà cristiana; questi popoli, che divisi e stranieri fra loro per tanti secoli, si avvicinano, si conoscono, s'intendono e si sentono fratelli; ah! tutto questo non è mica prosa, è poesia. Non nego che molti cercano l'utile e non il bello, e l'utile nel senso più materiale della parola, ed hanno l'abbaco, il conto corrente, e il listino de' valori per regola suprema di condolta; ed è certo che per loro non si fanno poesie nuove, nè si mettono insieme Antologie delle vecchie: ma accanto ad essi c'è un gran numero di persone che amano la poesia, perchè se la sentono nella mente e nel cuore, e per le quali la poesia è un bisogno, perchè è come un linguaggio che serve loro a intendere se medesime. Sono giovani generosi che si preparano alla vita con gli studii, come ad una festa; sono giovinette, la cui anima si schiude agli affetti casti e soavi, come un fiore ai primi raggi del mattino; sono donne gentili che con le loro sante virtù fanno delle pareti domestiche un pa

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radiso; sono uomini operosi che dalle fatiche e dalle noie della vita pratica, della prosa, trovano a quando a quando un ristoro e un conforto in una nobile poesia, nella quale il bello sia il fulgore del vero; e finalmente sono anche vecchi che nella poesia si sentono come ringiovanire, perchè essa è l'eterna giovinezza dell'anima.' Si cerca l'utile e non il bello! O che il bello non è utile? Non sarà dunque utile l'educare i giovani all'amore della virtù e della patria? a tollerare il dolore? a sostenere con l'animo che vince ogni battaglia i colpi della fortuna? a niente altro temere che l'infamia? Ora tutto questo non ce lo insegna davvero la scienza posi tiva: chè tutto questo non è scienza, non è prosa, è poesia. « Il bello (dice Wolfango Goethe, grande poeta e grande scienziato ad un tempo) è più utile dell'utile. » Dire che i tempi nostri non comportano poesia, perchè sono tempi di scienza, non si può, senza confinare la poesia nell' Arcadia, o formarsi del povero poeta il concetto medesimo che se ne forma il volgo del contado, pel quale, poeta significa, nè più nè meno, un cervello balzano; mentre la poesia è quasi il fiore che sboccia dalla scienza, o, come la definisce un gran poeta, l'esaltazione del buon senso.

E veramente fra la scienza e la poesia non ci fu mai un abisso, come non c'è un abisso fra l'immaginazione e il raziocinio: anzi è ragionevole pensare che i grandi scopritori delle leggi della natura, come, per esempio, il Galileo ed il Newton, avessero in se stessi come i germi di grandi poeti; e reciprocamente i grandi poeti come Omero e Dante, se fosse toccato loro di vivere in tempi

' « Partitomi dal bosco, io me ne vo ad una fonte, e di qui, in un mio uccellare, con un libro sotto, o Dante, o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come dire Tibullo, Ovidio, e simili. Leggo quelle amorose passioni, e quelli loro amori, ricordomi de' mia, e godomi un pezzo in questo pensiero. » N. MACHIAVELLI, Lettera a Francesco Vettori

diversi e di darsi alle scienze, sarebbero riusciti grandi scienziati, o grandi scienziati e grandi poeti insieme, come avvenne appunto a Wolfango Goethe. Oggi si crede da molti che la scienza della natura si formi da chiunque abbia la pazienza d'osservare fatti e poi fatti, anzi fenomeni e poi fenomeni, registrarli via via l'uno sotto l'altro, e tirar poi la somma delle somiglianze e delle differenze; pare, dico, che per acquistare la scienza della natura, per isvelarne i segreti, ch' ella sembra voler nascondere gelosamente all' occhio indagatore dell' uomo, l'ingegno, e più che l'ingegno il genio, sieno inutili, anzi dannosi; e basti soltanto una schiena da mulo ed una pazienza da cappuccino. E dall'altra parte si pensa da taluni che il poeta non osservi nulla nè in se stesso nè fuori di sè, che canti per un tal quale istinto come quello, per esempio, dell' usignolo; e le cose che dice le cavi non si sa di dove, le inventi, le crei, che è quanto dire le tragga dal nulla. Or come va che gli alchimisti osservavano e sperimentavano per tutta la vita, e nulladimeno la scienza della natura non sarebbe sorta senza un Galileo? Or come va che i poeti grandi ci fanno piangere, temere, sperare, ci fanno assentire insomma a tutto quello che piace a loro? Non vuol forse dire che le cose da loro inventate sono inventate fino ad un certo punto? giacchè uscite dalla loro mente dominano nella nostra, e mentre ci sembran nuove, anco ci sembra come di riconoscerle, e ci pare che le avremmo trovate anche noi? Il fatto si è che i grandi scopritori del vero nella natura, come appunto il Galileo ed il Newton, non sono soltanto pazienti osservatori, ma ben anche audaci creatori, non procedono sempre a tentoni (per usare una bella frase del Gioberti) sulle gruccie dell'analisi, ma s'innalzano ben anche sulle ali della sintesi; sono scienziati e poeti, e prima poeti che scienziati. Difatti convengono tutti che

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