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sente la relazione stretta che è tra il bello ed il vero, tra l'arte e la scienza, tra l'arte e la vita. È come un ritorno alla concretezza storica di Dante, e alla sua idealità, spogliata però dell' involucro scolastico che le veniva da' tempi, e fatta più sicura dal progresso del pensiero. La poesia moderna italiana è sorta in tempi, ne' quali l'Italia non teneva più il primato nelle lettere e nelle scienze. Accanto a lei erano già sorte nazioni potenti con grandi e nobili letterature. C'era quindi un continuo scambio, come di merci, così anche di pensieri. Quindi le tradizioni artistiche esclusivamente classiche venivano a poco a poco a mancare, o, per lo meno, a modificarsi. La critica non fu più schifiltosa, vana, pedantesca; o per dir meglio, alla intolleranza della rettorica si sostituì la critica davvero, la quale prese tutto ciò che le pareva buono, senza domandare il passaporto: qualche volta prese troppo, e col buono mescolò anco il cattivo; ma ad ogni modo le idee si allargavano, e l'arte rompeva le vecchie pastoie, e si francava le ali per ispiccare un libero volo.

Questa grande poesia moderna apparve nella seconda metà del secolo scorso, come reazione all' Accademia in generale, e all'Arcadia in particolare, che aveva ridotto a trastullo la letteratura; e lasciando da banda le prime sue manifestazioni ancora incerte, da tenerne conto senza dubbio in una storia particolareggiata, ma non già in un breve discorso come il nostro, può dirsi che si mostrò e trionfò con Giuseppe Parini.

E veramente il Parini è come il padre della moderna poesia civile, ed ha avuto più o meno influenza su quasi tutti i nostri poeti venuti dopo di lui. Narra Ugo Foscolo, che ancor diciottenne fu un giorno presentato al Parini già vecchio, il quale gli recitò l'ode del Messaggio fatta appunto a que' giorni. Il Foscolo con ardi

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mento giovanile prese a lodargli l'arte stupenda dello stile; ma il Parini, interrompendolo, gli disse con amorevole severità: « O giovinetto, prima di lodare l'ingegno del poeta bada ad imitar sempre l'animo suo in ciò che ti desta virtuosi e liberi sensi, ed a fuggirlo ove ti conduca al vizio e alla servitù. Lo stile di questa mia poesia è frutto dello studio dell'arte mia, ma della sentenza che racchiude devo confessarmi grato all'amor solo con cui ho coltivato gli studii; perchè amandoli fortemente, e dirizzandovi tutte le potenze dell'anima, ho potuto serbarmi libero ed indipendente in mezzo a' vizii ed alla tirannide de' mortali. » Tale era il concetto che aveva dell'arte il Parini. Quindi mentre amava e onorava il Passeroni che volse di Tullio i casi a pungere i rei, e a far migliori i tempi, gli scherzi usò del Frigio e i proprii esempi; mentre, vedute le prime tragedie dell'Alfieri, esultando per la nuova gloria che si preparava all'Italia, lo accendeva co' suoi versi a durare nell'ardua impresa e gli dava liberi consigli, fu implacabile verso que'poeti che volgessero la divina potenza dell'ingegno a corrompere gli uomini. Come critico, stelte al buon senso, mostrò che agli studii rettorici si debbono accoppiare i morali, e segui la grande scuola de' classici, interpretandoli con libero giudizio. Come poeta, senti più d'ogni altro dei tempi suoi (ne' quali strillava l'Arcadia e rimbombavano i versi vuoti del Frugoni) che l'arte deve esser congiunta alla vita, e volse la poesia a far saggi e buoni i suoi concittadini. Nel poema del Giorno contrappose con finis. sima ironía la povertà virtuosa e operosa alla infingarda e vana opulenza del più deʼnobili milanesi de' suoi tempi, e il suo giovin signore è rimasto un tipo grottescamente epico del giovine ricco e citrullo, che sciupa la vita in

1 Ugo Foscolo, Lezioni di Letteratura, ediz. Le Monnier.
Vedi Sonetto a Vittorio Alfieri, pag. 40.

galanterie e in nullaggini, disprezza il volgo senza titoli, e n'è alla sua volta disprezzato e deriso; si annoia e annoia gli altri, e si pavoneggia nella certezza che a lui scenda per lungo di magnanimi lombi ordine il sangue purissimo, celeste.

Se non che nel poema del Giorno del Parini mi pare a quando a quando di vederci come lo sforzo titanico di trasformare in poesía splendidissima una materia che parrebbe di per sè quasi sorda a rispondere all'intenzione dell'arte; e spesso, mentre la mente ammira la difficoltà superata, il cuore riman freddo: ma quando leggo le sue Liriche maggiori, la mia mente, il mio cuore, tutta l'anima mia è col poeta; o sia ch'egli voglia condurmi fra i robusti aratori e le baldanzose villane, lå nelle amene e salubri valli del suo caro Bosisio; o nelle vie anguste cittadine, dove l'aria stagna fra le sublimi case; o ne' campi suburbani dove, sui prati di marcita e nelle risaie tanto infeste alla pubblica salute, i miseri coloni appaion dipinti in viso di mortale pallore; o ne' cupi recessi de'grandi, dove il destin de' popoli si cova; o facendomi risalire i secoli, mi tragga come ad assistere alla caduta delle çivili virtù e della potenza latina. Egli combattendo ogni avanzo di feroce barbarie, propugnando ogni utile invenzione, consigliando a' severi ministri di giustizia di prevenire il delitto, commiserando agli infelici spinti al male dal bisogno, e ponendo con libere mani una corona di fiori immortali dovunque splenda un raggio di virtù; mi è maestro sublime, e mi pare di farmi migliore alla sua scuola. Quando poi mi parla di se stesso, e con parola franca, potentissima, mi apre tutto il suo cuore, oh allora mi si stampa nella fantasia come una immagine viva di quell' anima grande e sdegnosa; e la vagheggio, e le parlo, e dico spesso fra me: Cosi doveva esser fatto il restauratore della nostra poesia civile.

Col Parini l'Arcadia è morta e seppellita: non dico che qualche pastorello non sopravviva all'eccidio; ma chi volete che si occupi di lui, una volta che il secolo ha udito la nuova parola? D'ora innanzi i maggiori nostri poeti, o consapevoli o inconsapevoli, o per somiglianza d'animo o per intenti comuni, o per concetto d'arte, continueranno l'opera del Parini; e più specialmente si stringeranno a lui quelli che vollero si esser moderni di sentimenti e di pensiero, ma senza discostarsi, quanto alla forma, dalle tradizioni classiche. E tra questi giganteggiano Vittorio Alfieri nella tragedia e Ugo Foscolo nella lirica.

Intendiamoci. Non dico che l'Alfieri imitasse il Pa rini, che sarebbe sciocchezza (l'Alfieri non imitò nessuno); dico bensi che questi due grandi si somigliano, più che a prima giunta non sembri, nell'amore ardente e impetuoso del bene e nello sdegno altissimo del male e della servitù; e dico che la poesia civile del Parini ebbe come un compimento nell' Alfieri, doventando poesia essenzialmente politica. E veramente il poeta di Bosisio fu de'primi ad accorgersi della grandezza dell'Astigiano, a lodarne la magnanima impresa ed animarlo coi suoi versi. Vero è che quest'artista sovrano non poteva al tutto contentarsi del nuovo tragico stile e domandava al gran poeta:

Perché dell' estro a' generosi passi

Fan ceppo i carmi? e dove il pensier tuona,
Non risponde la voce amica e franca?1

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Ma certo doveva allegrarsi nel pensare che quell' allobrogo feroce, che per venire a capo del suo audace disegno si faceva legare al tavolino, e meditava e sudava

1 Vedi Sonetto citato sopra, a pag. 49.
Leopardi, Canzone al card. Mai.

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sopra un verso aspro e stentato, avendo in cospetto l'Italia futura, avrebbe un giorno scosso il molle secolo con la sua ruvida, ma potente parola.

Il Foscolo poi è adoratore dell'Alfieri e si professa da se medesimo scolare del Parini. Come tragico, preme non felicemente le orme dell' Astigiano; come lirico, supera il Parini nella grazia e nell' armonia pittrice dello stile, ma gli cede nella robustezza, e non ha que'tratti semplici e anco ruvidi, ma potentissimi, che a quando a quando si trovano in mezzo alla squisita cura e quasi direi alla perfetta levigatezza pariniana. Nel Foscolo, più che nello stesso Parini e in qualsiasi altro de' nostri lirici maggiori, si scorge la continua e attenta cura di esprimere il sentimento e il pensiero moderno nella forma antica. In quell' apoteosi della bellezza che sono le due odi alla Pallavicini, ci vedi l'arte pariniana congiunta però a un sentimento quasi pagano. Nel Carme de'Sepolcri, che è nel genere che fu detto classico la più stupenda poesia civile che abbiamo, i pensieri moderni si accomodano senza sforzo in una forma che il poeta dice di aver desunta dai Greci, tanto che egli sa unire l'Alfieri a Omero, le tombe di Santa Croce di Firenze a quelle di Maratona, l'Italia alla Grecia antica, ed evocare le ombre cantate e ricantate di Ulisse, Elettra ed Ettore, senza che ti offenda la solita rettorica e la vecchia pedantería. E il Pindemonte, vedendogli stendere il volo fra la nebbia dell'età antiche, se ne duole, e gli dice amorevolmente che lasci l'erba ove fu Micene e i sassi ov' Argo, e venga a noi e canti l'Italia; ma il fatto sta che il Foscolo la canta come non era stata cantata mai, e l'Italia lo ascolta e ne ripete i versi immortali.

Ne' tre Inni delle Grazie, che, continuandosi l'uno

'Vedi pag. 144 e seg.

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