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coll'altro, vengono a formare come un solo poema epicolirico, il quale canta l'uomo che dalla bestialità primitiva, mediante le arti e le scienze simboleggiate nelle tre dee, a poco a poco si fa umano e viene a vita civile; sono degli episodii stupendi, ma nell'insieme l'abuso de' simboli in generale e della mitologia in particolare e qua e là anco della metafisica, ne rende faticosa la lettura ed a luoghi difficilissima l'intelligenza, senza l'aiuto di continue note e dichiarazioni. E questo è un gran male, perchè lo stile è per lo più meraviglioso. Peccato che il poeta volesse scrivere per troppo pochi lettori; e quasi si compiacesse delle difficoltà, esagerando quel sistema che fu comunemente chiamato classico!

Ultimo grande poeta della scuola classica si chiama generalmente Vincenzo Monti, anzi c'è chi lo denomina. l'ultimo poeta del passato. E a vero dire il Monti, specialmente a considerarlo come critico, parrebbe soverchiamente e superstiziosamente innamorato della forma antica, a segno tale, da reputare non pure utile, ma stret. tamente necessaria alla poesia moderna la mitologia; e questa opinione che uno si fosse formata di lui, avrebbe anco una conferma in alcuni suoi componimenti d'argomento più o meno mitologico, e specialmente in quel leggiadro poemetto della Feroniade; ma chi ne studi senza preconcetto tutte le opere, dovrà di necessità persuadersi che questo grande e versatilissimo ingegno, sebbene tornasse più volentieri alla forma classica, trattò da padrone tutte le altre. Io non voglio qui rinfrescare le accuse date all' uomo; ma mi pare che il Monti differisca grandemente dal Parini, dall' Alfieri e dal Foscolo in questo, che, mentre essi camminavano imperterriti nella loro via, guardandosi avanti, senza lasciarsi distrarre

Vedi il Sermone sulla Mitologia, pag. 181.

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da ciò che potesse avvenire, e traevano la poesia loro da una persuasione profonda, immutabile; il Monti invece piegava ora da una parte, ora dall'altra secondo le impressioni diverse che gli venivano dal difuori. Quindi come si trovò spesso nella sua lunga e splendida carriera a mutar di pensieri, si trovò altresì a mutare di forma nel manifestarli. Negli altri la poesia era come l'eco dell' anima ferma nel bene: pare che la loro impresa sia quella sentenza di Dante, nella quale parla la sapienza personificata in Virgilio e dice al suo alunno:

Vien dietro a me, e lascia dir le genti;
Sta, come torre, fermo, che non crolla
Giammai la cima per soffiar di venti.

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Essi son quindi grandi uomini, mentre il Monti mi pare che sia soltanto un grande artista. Egli ama sopra tutto l'arte. Con lo stesso entusiasmo artistico loda Pio VI e Luigi XVI, e con lo stesso entusiasmo artistico gli maledice più tardi. Dunque non ha principii? Non dico questo; dico che questi principii non sono in lui tanto saldi, che all'occasione non gli possa mutare, e ciò non perchè non ami il bene, ma, come nota Pietro Giordani nel ritratto che ne fece, per una certa timidità d'animo e una certa vivezza e volubilità di fantasia. Ora quest' apparente scetticismo, o per dir meglio, incostanza di pensieri, quest' ispirarsi via via ai fatti, per dir così, del giorno, e quest' amare l'arte per sè, cioè come arte, come fine e non come mezzo, då spesso al suo stile un po' d' ostentazione d'entusiasmo, che dalla mente non iscende al cuore. Ma fate che non c'entri la benedetta politica, fate che sia commosso davvero, e commoverȧ

1 Vedi l'articolo sul Monti in Cesare Cantů, Letteratura italiana, esposta alla gioventù per via d'esempi. Milano, 1851.

2 Purg., V, 13.

anco voi, e vi parrà un altro come poeta, perchè in quel momento sarà un altro come uomo. Ora la parte più nobile della poesia del Monti si rannoda, a dir cosi, alla pariniana, al modo istesso che le più belle pagine della Cantica in morte di Lorenzo Mascheroni sono appunto quelle dove si fa parlare il poeta di Bosisio e se ne descrive il monumento.1 Le cantiche montiane sono poesia ispirata immediatamente dal vero che circondava il poeta, come quelle del Parini sono poesia storica, nella quale i fatti umani sono veduti dall'alto e collocati in un mondo spirituale come nella Commedia di Dante, diventando così materia immediata dell'arte, senza perder nulla della loro concretezza storica. Questi fatti, è vero pur troppo, non son veduti nè giudicati dal poeta sempre all'istesso modo; ma ciò qui non fa nulla: a me basta solamente ch' egli senta come la poesia debba cavarsi dal vero reale effettivo, ch' egli senta, dico, lo stretto nesso che unisce la storia all'arte, la poesia alla vita, per affermare che in questo il Monti artista abbandona l'Arcadia per accostarsi al Parini. Ma il Monti si contraddice come artista, al modo stesso che si contraddice come critico e come uomo: e nella medesima maniera che i democratici d'allora rinfacciavano al cittadino Monti l'abate Monti, e poi il cavalier Monti; così i riformatori e. anco i licenziosi romantici citavano contro il Monti del Sermone sulla Mitologia e della Feroniade il Monti della Bassvilliana e della Mascheroniana. Ma ciò che non arrivavano a intendere i suoi contemporanei, e perchè c' entravan di mezzo le passioni, e perchè in generale le cose come queste si capiscono solamente più tardi, è intelligibilissimo e chiarissimo a noi. Il Monti vivendo in tempi, ne' quali tutto si

Vedi pag. 119.

Antologia della Poesia italiana moderna.

vuole rinnovellare, sente si l'arte nuova, quella del Parini; ma al tempo istesso non sa dire addio affatto alle forme antiche, e tanto più tenacemente si attacca a queste, in quanto vede che ingegni anco molto minori del suo le vogliono tutte condannate a morte: e quindi ora canta Pio VI, Luigi XVI e la rivoluzione francese, ora Vulcano, Pallade e Giunone, e si arrabbia e si querela che il vero, l'arido vero abbia tolto a Febo i cavalli sbuffanti fuoco dalle nari, tramutandolo in un globo immenso di luce; e, come per antidoto alle romantiche nenie, torna al Giove d'Omero e gli fa predire in que' versi meravigliosi della Feroniade la venuta di Pio VI, che darà opera alla colmata delle paludi pontine!

Mi son fermato sul Parini, perchè è come il padre della poesia moderna; sull' Alfieri e sul Foscolo, perchè creano altre forme e ne svolgono sempre più il concetto civile e politico, e sul Monti, perchè in una parte, nella sua migliore, continua in qualche modo la loro opera, e nell'altra, esagerando l'importanza di certe forme antiche, contribuisce (quasi direi risolvendo la quistione per assurdo) al progresso delle idee nuove.

Questi quattro poeti, qual più qual meno, vengono come a rappresentare nelle opere loro il primo periodo della poesia moderna, il cui carattere essenziale mi pare che sia quello di ritrarre il pensiero e il sentimento moderno nella splendida forma degli antichi.

Il secondo periodo è come una conseguenza logica del primo o un suo naturale sviluppo. Distrutto il convenzionale arcadico, si doveva di necessità, estendendo un principio vero, distruggere ogni convenzionale con qualunque nome si chiamasse. Invano il Monti si adoperava ad arrestare gli Dei che s'involavano dall' Olimpo. Niun poeta oramai, scrivendo un'ode sulla educazione d'un giovinetto, avrebbe, come pure avea fatto il

gran Parini, posti i suoi precetti di morale e anco di religione in bocca a un Centauro, a Chirone, che ammaestra Achille.1 Pareva assurdo e ridicolo che dovesse rimanere perpetuamente nell' arte ciò che da tanti secoli non era più nella vita, e perpetuarsi nella parola e nell'immagine ciò che non era più nel pensiero e nel sentimento. Essere in mezzo a una società cristiana e invocar Giove e Giunone; saper qualche cosa di geologia, e poi far le viste di credere che i terremoti sien cagionati da Nettuno che percuote la terra col tridente, detto per ciò enosigeo; conoscere il sistema copernicano e parlarne secondo la verità in prosa, e poi continuare a mettere in versi la guadriga eterea e i cavalli di Febo; tutto ciò pareva una convenzione stranissima. Il poeta si accorgeva più che mai d'avere un popolo d'intorno a sẻ che ne aspettava la sapiente parola per ripeterla. Ma come vuoi che ripeta la tua parola, se non la intende? Parlagli dunque la sua lingua, resa più potente e più efficace dall'arte, e non falsata da uno strano e stentato artifizio; e parlagli di alte cose e gentili. E come tu, o poeta, puoi esser maestro al popolo, così il popolo può esser maestro a te stesso: maestro nella lingua, maestro nello stile, quando tu sappia imitare e perfezionare con l'arte ciò che in lui è spontaneo e naturale, tenendoti però sempre lontano dalla pedantería a nome dell' uso, anco più studiosamente che dalla pedantería a nome dei libri; perchè la prima è forse peggiore della seconda, e non c'è ostentazione più inetta che l'ostentazione del naturale, contraddizione anco nelle parole. Cosi di giorno in giorno si scorgeva sempre più chiaramente che il fine della poesia ha da essere l'utile, la materia il vero, e mezzo il diletto. Certo il principio non era nuovo, chè

Vedi pag. 41 e seg.

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