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tutti i grandi poeti di qualsiasi tempo e nazione l'avevano applicato nelle opere loro, senza formularlo; ma ora si formulava e discuteva e applicava più largamente e con piena consapevolezza. Quindi insieme con la forma mitologica cadevano a poco a poco tutte quelle regole che non fossero fondate sulla ragione, ma solamente sull'autorità de' classici, o per dir meglio, su quella de' retori, i quali avevano preteso di trasformare in leggi universali e perpetue certi esempi particolari.1 Così si studiavano i grandi antichi anco più di prima, ma non già con l'intento di ricopiarne le forme e tanto meno i sentimenti, ma con quello tanto più ragionevole di imparare, specialmente alla loro scuola, quell'arte sovrana, la quale sa scorgere in ciascun soggetto la forma che gli è come connaturata ed intrinseca; al modo istesso che Michelangelo diceva di vedere con l'occhio della mente dentro al blocco del marmo la statua. Si voleva la popolarità, ma intesa bene, ritenendosi che popolari hanno a dirsi quelle cose che tendono a illuminare e perfezionare il popolo, non a fomentare le sue passioni e i suoi pregiudizii. Il Parini avea volto le muse a far saggi e buoni gli uomini, e diceva di esser pago solamente allora che potesse unire l'utile al vanto di un carme lusinghevole. Ed ora a questo medesimo intento si mirava, e si sceglievano i mezzi che fossero più spediti e più adattati a conseguirlo; si proseguiva, dico, l'opera del Parini. Di fatti, mentre a Milano, nella città stessa del Parini, Giovanni Berchet, Ermes Visconti, Silvio Pellico, G. B. De Cristoforis e gli altri scrittori del Conciliatore sostenevano i principii di

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1 Vedi la mia Antologia della prosa italiana moderna, pag. 437 e seg. e 441 e seg.

Alessandro Manzoni, Pensieri sulla critica. (Opere complete.) Napoli, 1857, pag. 571.

3 Vedi pag. 8 e seg.

questa poetica nuova o rinnovata, chi fu che la pose in versi? Fu il milanese Giovanni Torti scolare del Parini, e che confessava d'averla imparata o dedotta dai precetti di lui:

Ingenua, casta e limpida parola,

Che di gaudio, di speme e di paura,

Di terror, di pietade ange e consola;
Viva, fedele, universal pittura

Dell' uomo in prima, e quindi a parte a parte
Di tutta quanta immensa è la natura;
Dalle divine e dalle umane carte

Nodrito ampio sapere e sapïenza:
Questo in pensier mi sta tipo dell' arte.
Ella è santo diletto, ella è potenza
Degli affetti, piegata a far che sia
Voluttà la giustizia e la innocenza.
E sia pur vasto ingegno e fantasia

Tutto veggente, chi benigno il core
Non abbia e l'alma generosa e pia,
Non salirà dell' arte al primo onore.1

E l'Italia superiore, specialmente la Lombardia, specialmente Milano, era sempre come la sede prima ed il centro del rinnovamento. La poesia era nodrito ampio sapere e sapienza, che è quanto dire abbracciava la scienza, la morale, i costumi e tutta la vita. Quindi il più grande poeta di questa nuova scuola, Alessandro Manzoni, è anche romanziere e critico; Silvio Pellico critico, poeta e storico de' proprii dolori; e poeta e romanziere Tommaso Grossi; e accanto a loro trovi storici, filosofi, politici, voglio dire il Balbo, il Rosmini, il Gioberti, il D'Azeglio. Ecco una schiera di grandi, ne' quali questa divina potenza del pensiero si manifesta via via come arte

'Vedi pag. 209 e seg.

e poesia, come speculazione e scienza, come operazione e sapienza.

L'idea religiosa informa la nuova poesia, massime nel suo primo apparire; ma la religione, anzichè in se medesima, è considerata nelle sue immediate applicazioni alla società, in quanto cioè impone de' doveri agli uomini e ne consacra i diritti. Non è un ascetismo da anacoreti che ti consiglia il disprezzo, non che della patria, ma della stessa vita; ma è invece il sentimento della giustizia, la quale si vuole di più in più attuare sulla terra; e per la quale io non debbo disprezzar gli uomini, ma amarli, e adoperarmi quanto è da me a fargli migliori e più felici in questa vita. Questa poesia è al tempo istesso religiosa e civile. Essa chiama provvida, è vero, anco la sventura che ti abbia collocato fra gli oppressi piuttosto che fra gli oppressori, e ti comanda l'amore e il perdono; ma al tempo istesso maledice a coloro che infrangono il patto sociale, innalzandosi sul fiacco che piange, e contristando uno spirito immortale; e ti comanda ancora come santo dovere il combattere per la libertà della patria, e chiama infelice colui che pervenuto a vecchiezza, raccontando a' giovani figli le giornate del nostro glorioso riscatto, è costretto ad esclamare ne' sospiri, ed io non v'era!

Del resto la nuova poesia, come quella che fino dal suo primo apparire aveva sbandito affatto l'imitazione e si era per ciò spogliata di certe forme tradizionali non più rispondenti al pensiero, com' ebbe varii intenti, così ebbe varie qualità ne'diversi scrittori; ed io con ciò che ho detto sopra, ho inteso di accennare più che altro a quelle della scuola poetica che fu chiamata. Lombarda. Così in Toscana, per esempio, mentre ri tenne nel Niccolini assai meno dell'elemento religioso, serbò più spiccato il politico, e fu più fiera, più

battagliera al modo Dantesco, e mirò più direttamente e inesorabilmente allo scopo voluto da' nuovi tempi. Quanto all'arte proprio fu più pura di lingua, ma anco meno originale, meno spontanea; era voce potente e spesso parve un' eco lontana. Nel Giusti invece la nuova poesia attinse alle fresche sorgenti della lingua viva, e riuscì per ciò efficacissima d'originalità. E il Giusti, ammiratore del Parini, e che ne scrisse la vita e ne curò l'edizione fiorentina, potrebbe in certo modo chiamarsi il Parini toscano, o meglio, il Parini democratico. Anco qui insomma l'arte non è fine a se stessa, ma ha sempre uno scopo pratico. E questo è il carattere comune a quasi tutti i maggiori poeti di questo periodo; e dico quasi tutti, perchè alcuni fra di essi, specialmente lirici, pare non mirino ad altro, poetando, che ad esprimere se stessi. Ma i più insigni fra questi, che oggi si sogliono chiamare poeti soggettivi, esprimono' se stessi immediatamente e sinceramente, voglio dire, senza l'intermedio di forme stabilite e di scuola ; e in ció veramente si appalesa l'indole della poesia moderna. E in questo genere di poesia sorge come gigante Giacomo Leopardi; il quale se nella sua prima giovinezza canta la patria, e ricorda gli esemplari antichi, più tardi altro non canta, chi ben consideri, che il proprio dolore, e non somiglia a' grandi antichi in altro che nella grandezza.

Se non che rintracciare via via ne' varii poeti nostri di questo secolo le qualità principali che dissi proprie della poesia moderna, non si può senza considerarli a parte a parte ciascuno, e paragonarli fra loro. E a questo fine credo possa servire l'Antologia che ora esce al pubblico. In essa spero si possa vedere, per via di esempi corredati di note, come in compendio, la storia della poesia nuova dal Parini fino proprio a' nostri

giorni. Ma lo scopo principale di questo mio modesto lavoro non è già storico; e non dubito di affermare che è più nobile assai ed importante. Oggi gridano tutti che istruire non basta, ma bisogna istruire educando. Ora la poesia buona è, come ho mostrato sopra, essenzialmente educatrice; ed io ho qui raccolto ciò che mi è parso essere il meglio della poesia di questo secolo, al modo stesso che l'anno scorso in un volume simile a questo raccolsi ciò che mi sembrava il meglio della nostra prosa. L'Antologia della prosa moderna ebbe dal pubblico accoglienza piuttosto benigna. Mi giova sperare che non sia per essere male accolta questa della poesia, che in certa maniera viene a compiere l' altra, ed è stata condotta, per quanto lo consentiva la diversità del genere, col medesimo metodo e con quella cura e diligenza che io potevo maggiori.

Pisa, 4° decembre 1872.

GIUSEPPE PUCCIANTI.

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