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il genio indovina, presente una legge della natura a pochi segni, i quali agli occhi dell' uomo comune non dicon proprio nulla. Sta bene, ma che cosa vuol dir qui indovinare, presentire, se non immaginare, inventare colla divina spontaneità del pensiero, che è appunto la facoltà essenziale al poeta? E badate bene: fin qui il lavoro del genio non ha per anche prodotto scienza vera, scienza propria; fin qui il suo risultato non è che poesia, e poesia sublime, e audacissima anche come poesia; essa doventerà scienza positiva, dopochè l'osservazione e l'esperimento fatto con pazienza non solo, ma indirizzato a uno scopo, determinato, avrà confermato invincibilmente ciò che il pensiero in quel suo singolare rapimento, in quel suo volo poetico (sissignori, poetico) aveva indovinato e presentito. Ma se la tua mente non chiude in sè alcuna parte di questa divina scintilla, se ti metti a Osservare e sperimentare, senza presentire qualche cosa di più di quello che vedi, e che tocchi, o se, quel che è peggio, ti metti a osservare e sperimentare presentendo o, meglio, immaginando il falso, ciò che non è, e ciò che non può essere; potrai anche, non lo nego, trovare come per caso qualche novo fatto (come accadde spesso agli alchimisti) che sarà utile ad altri e non a te, potrai esser lodato di pazienza, di perseveranza, ma la tua sarà appunto la pazienza dell'anacoreta, che è certamente una virtù, ma di quelle che tornano inutili alla scienza.

Dall'altra parte i grandi poeti non solo hanno vasta, vivida, potente la fantasia, come tutti i grandi nel regno del pensiero (che sono i grandi davvero), ma hanno ancora sicuro e attento il giudizio, e sono destri, pazienti e amorosi osservatori. Gli scienziati leggono nel libro della natura esterna, ed essi leggono in questo libro e nell'altro della natura umana. I primi considerano le cose in se medesime, cercando di spogliarle di tutte le

parvenze ch'esse potrebbero pigliare dalla relazione che hanno col soggetto che sente e che pensa; i secondi invece e le considerano nella loro realtà e nella loro parvenza, e come sono, e come si mostrano a noi. Per Galileo il libro della natura è scritto di poligoni e di cerchi; e la natura è bella, ma della severa bellezza geometrica: per il poeta invece la natura non è un libro, ma un organismo vivo; ed egli ne sente la vita, e questa vita si riflette nella sua, e risponde a' palpiti del suo cuore, a' fantasmi idoleggiati dalla sua mente. Ha ragione Galileo, ed ha forse torto il poeta? Hanno ragione tutti e due; e l'uno compie l' opera dell' altro.

La scienza più largamente applicabile alla vita così familiare come pubblica, e che parve quindi a' Greci, ed è, la più utile di tutte, si è la scienza che l'uomo può acquistare di se medesimo, voglio dire de' suoi sentimenti, affetti e passioni, che sono la cagione prossima delle opere; giacchè noi o male o bene operiamo, secondo che male o bene amiamo. Che cos'è l'uomo? A questa domanda non è a credere che possa rispondere nessuno di quegli studii che si chiamano propriamente positivi, e neanche la semplice osservazione solitaria che ciascuno può fare di se medesimo, tutto chiuso nella propria coscienza, perchè ciascuno di noi è un uomo, ma non è l'uomo; e tanto meno quella vecchia metafisica che cercando un sapere universale e assoluto, nè potendolo trovare, l'immagina a modo suo, ed empie le carte di sogni; ma può risponder solamente la storia, preso questo vocabolo nel suo più largo significato possibile. Noi non conosciamo l'essere intrinseco delle cose, ma solamente i modi e le qualità loro; e solamente da questi ne argomentiamo la natura diversa. Ora l'uomo manifesta appunto la natura sua ne' suoi sentimenti, pensieri ed affetti, da' quali rampollano immediatamente i

suoi atti esteriori; e questi atti che sono fuggevoli, tocca alla storia a registrarli via via nelle sue pagine immortali, a documento di quello che fu e ad ammaestramento dell'uomo. E l'uomo studiando questi fatti, e ragguagliandoli a quelli che si compiono sotto i suoi occhi nella società, di cui forma parte egli stesso, e agli atti proprii, de'quali percepisce direttamente con l'osservazione interna la cagione immediata, compie la cognizione degli altri con la cognizione di se medesimo. Così lo studio propriamente psicologico si rannoda allo storico, e ne piglia sicurezza nelle sue induzioni, alle quali può dare una certa estensione, senza tema di errore. - Si, ma com'entra in tutto questo la poesia? — Come c'entra! come parte essenzialissima della storia, come quella che osserva con cura i fatti umani e da essi risale a' sentimenti e alle passioni che ne furono la cagione prossima, e questi sentimenti e queste passioni, che sfuggono alla storia propriamente detta, studia e analizza, non mica per fermarsi all' analisi, e neanche per rintracciarne speculativamente le leggi col pericolo di cadere nel sistema, che è come dire nel falso, ma per ritrarli con la parola potente d'immagine e d'armonia nel loro essere proprio, come veramente sono; tantochè a chi legge non paia di leggere, ma di vedere. E chi legge ne piglia interesse, e perchè? perchè assente a quello che legge; e assente a quello che legge, perchè ne riscontra immediatamente la verità in se stesso; ed è come se esclamasse, e qualche volta esclama: Si, è vero, io son fatto così, l'uomo è fatto così. — È vero? dovreste dire invece è verosimile, perchè quel vostro vero a buon conto è inventato. Non disputiamo di parole, ma badiamo piuttosto alle cose che queste parole significano. Solamente un vero può esser simile ad un altro vero: chè il falso non somiglierà mai alla verità. Ora il verosimile non è mica il falso, ma è un vero più

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generale del vero di fatto: ecco tutto. E in questo sostituire un vero più generale al vero di fatto che è particolare, sta appunto l'invenzione poetica o il verosimile. Il poeta inventa il tale o tal' altro carattere, e fa che parlino e operino nel tale o tal' altro modo. Ora nella società che egli ci ritrae, ci sono o non ci sono caratteri come quelli, da parlare e operare in quel dato modo, quando per avventura si trovino in quelle date condizioni? Si? Dunque que' caratteri son veri o verosimili ; dunque quelle parole e quelle azioni son vere o verosimili. Ecco l'importanza storica della poesia: ecco che storia e poesia si danno la mano e si uniscono ad ammaestrar l'uomo nella scienza pratica di se medesimo.

Cosa singolare a dirsi! lo studio di questi poeti che fanno crollar la testa di compassione a molti che si chiamano uomini serii e positivi, riesce alla fin de'conti a portare un vantaggio proprio positivo, quale si è quello di anticipare a' giovani una cognizione pratica della vita, e prepararli in qualche modo a entrare in quella società, alla quale anelano con tutta l'anima piena di speranze e bollente d'affetti.

Ora se a questo nobile e utilissimo intento può condurre la poesia di qualunque tempo, ciascun vede come più speditamente e pienamente vi possa condurre la poesia moderna, come quella che ritraendo i costumi sentimenti e pensieri medesimi della età nostra, viene quasi ad essere come uno specchio fedele dell'anima nostra. Certo la poesia, quando è vera e profonda (che di questa solamente intendo parlare), ci diletta e ammaestra sempre, anche antica; ma a condizioni pari ci diletta e ammaestra più la moderna. E veramente il poeta ritrae non soltanto ciò che nell'uomo vi è di costante e immutabile in qualunque tempo egli viva, ma ben anche ciò che a poco a poco si va modifi

cando co' secoli, e che più specialmente serve a concretare e dare come una realtà oggettiva alla creazione poetica; quindi avviene che ne' poeti antichi rimane si vero e bello quasi direi il fondo del quadro, ma spesso non hanno che un interesse storico certi particolari e come a dire certe movenze della composizione; le quali, perchè non trovano più un modello nella società, di cui formiamo parte, non possono risvegliare un' eco potente nel nostro cuore. Sono come una scrittura difficile a decifrare: tu la leggi stentatamente e quasi sillabando; e te ne commovi poco. Aggiungi poi un'altra ragione, che vale forse più di tutte, ed è questa: la lingua e lo stile de'poeti moderni, discostandosi meno dal linguaggio che usi del continuo, ti porgono più prontamente e più esattamente il pensiero e l'immagine, e fanno che ne sia quindi incomparabilmente maggiore l'effetto.1

Ma che cos'è questa poesia moderna italiana? ha ella un carattere suo proprio? e quale?

La poesia moderna italiana è in gran parte come la negazione ora più ora meno felice dell' Arcadia e del convenzionale, che fu detto classico; è un ritorno alla natura guardata in se stessa, e al vero ideale, sia religioso, sia morale, sia scientifico, considerato nelle relazioni sue intime con la vita e co' destini della società umana. Essa

'Nella prefazione all' Antologia della prosa italiana moderna, uscita con questi stessi tipi Le Monnier l'anno scorso, dissi, tra le altre cose, che allo studio de' prosatori antichi bisognava che nelle nostre scuole si accoppiasse anco quello de' moderni; e non mi pareva in verità d'aver fatto una scoperta, nè d'avere espresso oscuramente una cosa assai chiara per sè. Nulladimeno appena uscito qnel libro, che in generale trovò assai benigni estiinatori, un critico dandone conto sopra un giornale, disse temer forte che io volessi sbandir dalle scuole i prosatori antichi!! Che cosa potevo io rispondere? Nulla e così feci. E ora temo forte che o quello od altro critico della stessa forza non abbia a temer forte che io voglia condannare all'ostracismo Dante e il Petrarca! Ma se questo mio timore si avverasse, che cosa dovrei rispondere? Nulla; e così farei.

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