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è esposto adesso il bozzetto prescelto, nonché tre altri modelli dell'ampolla, di egregi artisti, giudicati pure meritevoli di lode e premio.

"L'ampolla, in forma di anfora antica, posa su di un simbolico anello, sorretto da cinque figure feminili, che rappresentano le provincie che offrono alla tomba di Dante il tributo di onore. Ognuna di esse è controdistinta dallo stemma della provincia che raffigura. La melanconica espressione dei vólti delicati e graziosi ha la sua massima estrinsecazione in quello della donna che simboleggia Trieste.

"L'ampolla verrà fusa in argento; e poiché il denaro a tal uopo raccolto non basta a provvedere la massa d'argento necessaria, un'idea gentile sorge qui, pronta, spontanea; offrire la maggior quantità di oggetti d'argento possibile da fondersi per l'esecuzione dell'ampolla. Un'antica cassapanca istoriata accoglie le numerose offerte dei molti visitatori della Permanente. Nel fondo scintillano gli oggetti più disparati: dalla collana d'argento, fatta per cingere un collo sottile, alla vecchia e pesante tabacchiera, cesellata; dal grosso bastone dall' impugnatura d'argento, al gingillo tintinnante che acqueta il pianto del bimbo. E sono le mani gentili delle donne e dei bimbi che più frequentemente gettano l'offerta. Qualche delicato vólto femminile ha allora l'espressione propria alla devota che depone la pia offerta sull'altare della Santa che simboleggia la sua fede, e qualche mamma, schiudendo la manina un po' restía del bimbo piccino piccino, che stringe l'oggettino luccicante, gli dice con lo sguardo e col sorriso: ricorda e impara. Altre, con gesto impulsivo si staccano il fermaglio dal petto, i ciondoli dalle catenine, i cerchielli d'argento che tintinnano al braccio, sacrificando anche, in omaggio al Poeta, la piccola superstizione del portebonnheur.

Osservava

"Mi ricordano le Cartaginesi, che si spogliavano dei gioielli, per fondere le armi che dovevano servire alla difesa della patria uno studente liceale, a un suo compagno. " — Va là, che qui non si tratta di guerra gli opponeva l'altro.

"Difatti la nostra non è una lotta cruenta, ma però strenua e vivace per la difesa dei diritti nazionali, affermati idealmente stavolta nell'argentea, artistica ampolla, che darà l'olio purissimo alla lampada che Firenze offre alla tomba del suo poeta „.

A queste notizie possiamo aggiungere che il Sotto comitato, costituitosi per scegliere le parole che debbono formare la leggenda sull'ampolla da offrirsi alla tomba di Dante, compié l'opera sua negli scorsi giorni. Fu deliberato che la scritta sia latina, cioè nella lingua universale dei nostri padri; affinché non solo gli italiani, ma tutti gli alti spiriti d'ogni nazione e d'ogni parte del mondo che si recano in pellegrinaggio d'amore all'augusta tomba, possano leggerla e intenderla. L'iscrizione proposta suona dunque:

Tergeste, Histria, Goritia, Dalmatia, Triden

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Letteratura francescana.

Annunziamo con molto piacere la publicazione del primo fasc. di un Archivium franciscanum historicum che sotto la direzione del dotto padre Girolamo Golubovich verrà in luce ogni trimestre per cura dell' insigne Collegio di s. Bonaventura a Quaracchi, presso Firenze. L'Archivium accoglierà Discussiones, Documenta, Codicographia e Bibliographia, e per quel che dà in questo primo fascicolo e per quel che qui si promette pe' fascicoli che verranno, lascia bene sperare che saprà certo divenire una raccolta di ricerche e di notizie preziosa agli studî francescani.

Il cuore di Nino Visconti.

È deposto in San Francesco di Lucca e indi

cato dallo stemma visconteo e da un'inscrizione in caratteri semigotici. hic e (st) cor illustris. | Viri. d(om)ini. Ugolint. iudicis. Gallure(n) | sis. et d(omi)ni. t(er)tic. p(ar)tis. reg(ni). Calaritani. Già si sapeva che morendo in Sardegna Nino aveva ordinato che il suo cuore fosse portato a Lucca e serbato ivi nella chiesa de' Frati Minori, ma si credeva che cuore e deposito fossero andati perduti fin dal 1746. È merito di Augusto Mancini l'averli rintracciati e averne dato notizia nel Bull. d. Soc. dant. it., XIV, 137.

In memoriam!

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La mattina del dí 8 gennaio 1908, si spengeva in Firenze la nobile vita di Alessandro Gherardi direttore dell'Archivio di Stato e accademico residente della Crusca. Modesto forse fin troppo, in mezzo a questo incomposto e sfacciato sbracciare degli armeggioni il suo nome molto non suona fuor dalla cerchia ristretta e solitaria degli eruditi. Noi qui lo ricordiamo specialmente per quella sua magnifica publicazione delle Consulte della Repubblica fiorentina dal 1279 al 1298, che tanto giovamento portô agli studî nostri, e per la sua bontà che uguagliava e non è dir poco la sua modestia e

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Né con minor sincerità di dolore ricordiamo qui la morte recente e immatura d'un altro lavoratore infaticabile, l'on. Carlo del Balzo, schietto cuore di cittadino e di scrittore. Nacque, di illustre famiglia, a San Martino Valle Caudina nel 1853, e partecipò, per breve tempo, alla vita politica, sedendo in Parlamento nella estrema sinistra. Della letteratura dantesca si rese benemerito publicando, tra altro, quella sua monumentale raccolta di Poesie intorno a Dante Alighieri, che se ben forse sproporzionata nel disegno e non sempre bene ordinata nella distribuzione della materia è pur sempre una ragguardevole contribuzione alla storia della fortuna del Poeta e merita al suo paziente compilatore la gratitudine degli amici di Dante.

A Manchester è morta, in tarda età, Enri

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Città di Castello, Casa Tipo-litografica-editrice S. Lapi, 31 luglio 1908.

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tramonto calava, malinconico e dolce, quella sera di maggio del 1902, quando il nostro voto, quasi per tacito consentimento, si formò e si espresse. Nel quadriportico di Braccioforte, vegliato dalla vetusta torre di San Pier maggiore, fra il silenzio delle urne stormivano i lauri: dentro il tempietto di Camillo Morigia entrava, per la piccola porta spalancata e a traverso i vetri della breve rostra, la luce rosea del crepuscolo primaverile. Noi eravamo convenuti là dentro, in sei o sette, tutti pellegrini devoti, desiderosi di chiuder la giornata bene spesa in un atto di puro fervore: ed era fra noi il buon Augusto Franchetti, di cui dovevamo presto piangere la morte, e Isidoro Del Lungo, e Guido Biagi e una signora che aveva recato dalla pineta alla tomba di Dante un suo fresco omaggio di fiori silvestri e una lunga rama di pino. Non parlavamo, o poco, e sommessamente, tutti raccolti nella religione del luogo e dell'ora, reduci tutti da una visita a quella deliziosa piccola chiesa di Santa Maria “in sul lito adriano,,, dove e da' freschi di Giovanni e di Pietro da Rimini e dall'urna che nel XII secolo raccolse le ossa di Pietro peccatore, spira un cosí fresco e puro alito di memorie dantesche. Ed era silenzio anche

* Da La Lettura del sett. 1908, con lievi ritocchi.

fuori, per la strada deserta: solamente a tratti, di lontano, giungevano affiochiti, sul vento di greco, i rintocchi lenti di una campana.

Era già l'ora che volge il disío

ai naviganti, e intenerisce il core

lo di che han detto ai dolci amici addio;

e che lo novo peregrin d'amore

punge, se ode squilla di lontano

che paia il giorno pianger, che si muore.

I malinconici versi maravigliosi mi vennero spontaneamente, più che su le labra sul cuore, e mai come allora, in quel luogo, io ne aveva gustata tutta la gentilezza soave e la delicata infinita armonia.

Rimanemmo là, per qualche istante, in silenzio, ritti davanti all' urna che racchiude le travagliate ossa di Dante, e sulla quale l'imagine austera del Poeta, che Pietro Lombardi scolpí, pare vegliar pensierosa dinanzi alle pagine aperte del libro eterno; poi, non so chi fra noi, mormorò non so dir che parole, guardando a torno e in alto, come a dolersi di un certo sconsolato abbandono in cui l'umile e pur glorioso sacello sembrava esser caduto. Perché in fatti qualche cosa di squallido e di molto triste era là dentro, che in qualche modo rammentava quella`tale indescrivibile malinconía delle cose e dei luoghi che gli uomini hanno da gran tempo obliato e abbandonato, fatta piú manifesta e piú urgente dalle appassite vestigia del vigile amore di altri uomini, già oramai anch'essi morti o dimenticati o lontani. Qualche cosa, in fine, si desiderava là dentro, fra le altre cose che c'erano, evidentemente, di troppo: come la polvere che si addensava, appannandole, sulle invetriate della piccola finestra e della rostra, a torno alle quali il ragno aveva appese, indisturbato, le sue tele sottili.

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Nessuno di noi, presenti, aggiunse nulla, allora, a quelle parole: ma

nel silenzio era il consentimento di tutti, e quando uscimmo dal tempietto di Dante la promessa era già piena nei nostri cuori.

Cosí, in quella tepida sera di maggio, mentre il sole moriva dietro il lontano Apennino, accendendo de' suoi ultimi fuochi i fastigi delle basiliche che avevano veduto il tramonto dell' Impero e arrossava, in sul lito di Chiassi, le chiome irte dei pini, in noi nacque il pensiero di illuminare il sepolcro di Dante con l'olio delle nostre ulive. E cosí tornammo a Firenze con quel bel voto nel cuore.

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E quando, qualche mese di poi, in una seduta publica della Società dantesca, il senatore Pietro Torrigiani, presidente, annunziò agli adunati nell'aula di Or San Michele la nostra idea, e opportunamente propose di affidarne il compimento alla Commissione esecutiva fiorentina, la sala vasta suonò di un lungo applauso concorde. Quasi tutti i presenti erano stati con noi a Ravenna, nella passata primavera, alla adunanza solenne in cui la Società dantesca italiana volle sulla tomba del Poeta consacrare i propositi del suo avvenire, e certamente tutti ricordarono allora alcune parole che Isidoro Del Lungo aveva détte, nella sala del Comune, innanzi al popolo ravennate. Firenze e Ravenna - egli aveva ricordato sono nella religione del nome di Dante congiunte con vincolo di dolore e di gloria. L'esilio che all' Alighieri trascorse altrove e per lunghi anni increscioso, sempre col sapore del pane altrui e con l'affanno del salir per le altrui scale, a Ravenna fu consolato al Poeta dalla larga cortesia romagnola, da gentilezza di studî, da riverenza e amor di discepoli. E anche tutti rividero allora, quale la magnifica eloquenza dell'Oratore la avea revocata, viva e presente, l'imagine austera dell' Esule immeritevole, intento pel lido di Chiassi ad accogliere nei sensi e nel cuore, in ore consolate e tranquille,

prendendo la campagna lento lento

via per lo suol che d'ogni parte oliva,

la musica di suoni e di colori che ammiriamo mollemente diffusa per la foresta fresca e viva del suo Purgatorio.

Un'aura dolce, sanza mutamento avere in sé, mi fería per la fronte non di più colpo che soave vento;

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