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sopra il primo della serie di Théodore Pavie nel suo libro: Choix des contes et nouvelles traduits du chinois. Abbiamo accennato avanti (a proposito dei sorrisi che sono rose incantevoli sulla bocca d'una deliziosa donzella d'un grazioso canto popolare brasiliano) ad un episodio consimile nel canto francese: Les fées di Charles Perrault e nelle varie lezioni popolari di esso; si è alluso pure a varî episodi analoghi di racconti dell'Oriente; ora eccone infatti la prova: nell'opera Gul o Sanaubar la regina lascia cader fiori dalla sua bocca, ogni volta che ride,' come certe fortunate principesse delle citate novelline del volgo. In un conto indiano due amanti fra loro si parlano per mezzo d'un fiore (anche adesso i fiori hanno il proprio linguaggio e specialmente, come si è veduto sopra, se ne giova molto la poesia popolare provenzale); la figlia del re Suçarma, affacciata alla finestra guarda e osserva il giovane Devadatta, (che significato: Diodato conviene sia bello come Dio, personificazione della beltà, cui si è dato, nota la frequente corrispondenza fra l'essere fisico o morale d'una persona e il suo nome) ed a sé l'attrae con la propria leggiadria. La giovane coglie un fiore, e con esso tocca le labbra dell'eroe d'amore; con questo segnale indi la principessa gli aveva dato la posta al tempio Pushpa, cioè al tempio dei fiori; così gli dichiara tale muto linguaggio il maestro suo, cui Devadatta indi turbato avea riferito il caso. Qui mi sovviene per associazione d'idee un leggiadro stornello toscano : « L'è rivenuto il fior di primavera, L'è rivenuta la verdura al prato, L'é rivenuto chi prima non c'era, È ritornato lo mio innamorato. » Ricordo pure una graziosa lirica di Alexis Muxton, che avendo per inavvertenza omessa avanti nel novero dei canti letterarî francesi riporto qui nella versione metrica italiana, in cui l'ho resa; il suc titolo è: Un fiore vizzo all'occhiello del mio abito: «Dov'è quel fior, che rigoglioso e bello Ieri della mia veste era l'onor? È illanguidito e il suo color novello Il simbolo oggi sembra del dolor. Già, come quel, di viva splendidezza Rilucente scorgevo l'avvenir, E la speranza della giovinezza Parea che non dovesse mai vanir. È passo e avanti un'ombra sol ne miro,

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Indarno tento lusingare il cor, Copre atro vel dell'etra lo zaffiro, Dell'april ratto s'eclissò il fulgor. Ah non più da me amor sue lodi ascolta, Ecco il verno е con lui spare il gioir, Che tanto intenso all'ultima ricolta Pareva non dovesse mai vanir. O giovinetti, cui la vita arride, Serbato intatto d'innocenza il fior, E dalla voluttà, che vi sorride, Non vi lasciate affascinare il cor. Sovvengavi che i suoi tristi contenti Tardi vi faran gemere e pentir, Che due di pria que' fiori, ora languenti Parea che non dovesser mai vanir ».

Secondo il De Gubernatis (libro e loc. cit.) gli Jainas chiamano Priyamitra il re della regione celeste settentrionale, ossia Pushpottara (fiore del settentrione) Pushpita, o fiorito è il nome d'un Buddista; Pushpadanta è il nome d'un genio, o Dio minore, seguace di Çiva, una specie di Prometeo indiano, molto meno infelice però del primo che per avere agli uomini svelato il segreto dei Numi e specialmente del Dio Çiva, ne viene condannato a rinascere in forma di uomo, nella quale si troverà chiuso, finchè incontri nel fiume Vindaya un Jaksha in esiglio, che gli narri le proprie vicende, e i sette grandi misteri della vita di Çiva. Pushpahása o dal riso fiorito (vedi l'episodio del canto brasiliano spiegato sopra) è uno dei nomi indiani del Dio Vishnu, Pushpadhârana, o portante fiori è uno dei nomi del Dio Krishna. Il Jasminum hirsutum di Linneo in sanscrito si appella attahásaka, propriamente colui, che rassomiglia ad Attahâsa, ossia a colui che ride forte, aggiunto del Dio Çiva, nume dalla chioma irsuta. Il Jasminum hirsutum di Linneo si chiama pure Kunda o Kundapusha, cioè fiore di Kunda, nome dato ad uno dei tesori del Dio Kuvero (il Pluto vedico), una delle forme del Dio Çiva. Non solo i fiori sono cari agli Dei, ma la grazia loro è una corona di fiori che non apparisce mai; fiori, che mai non avvizziscono, ecco l'emblema dell'incorruttibilità loro, secondo un passo del Mahâbhârata, poema indiano di Vyasa.

Come gli uccelli in ogni paese, cosí anche i fiori allegrano il pastore nella propria solitudine, il viandante nel suo cammino, e l'operaio nel suo abituro. I fiori sono l'immagine e cosí anche il presagio naturale delle stagioni, particolarmente della primavera: la gioventú dell'anno « Bella madre de' fiori, D'erbe novelle e di novelli amori» come la celebra,

1 Per tali cenni di mitologia vedica mi sono valso dell'op. cit, e loc. cit. di A. DE GUBERNATIS.

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secondoché si è veduto sopra, Giambattista Guarini nel suo Pastor fido, e per converso la giovinezza è detta: primavera della vita (vedi un verso proverbiale semi-popolare: « Gioventù primavera della vita)»;' questo scambio assai ovvio d'idee ci viene confermato pure dalla voce greca apa che significa prima tempo, indi qualunque divisione di tempo, una stagione, la bella stagione, la primavera, poi simbolicamente la vita, un'età di essa, in ispecie la giovinezza, destinata all'amore; onde la primavera può ben dirsi la stagione dell'amore, come gioventú dell'anno; in uno. stornello inedito livornese della mia raccolta infatti si dice: «< Con le ragazze ci si fa all'amore » (Variante edita : « Co' giovanot-❘ ti ci si fa all'amore »), ma siccome il vero fiore della primavera è la rosa già sacra a Venere dea della bellezza e dell'amore, come si è detto, cosí parmi che abbia indi piena ragione il nostro canto popolaresco ricordato a dire: « La rosa è il più bel fiore, Come la gioventú, Nasce fiorisce e muore E non ritorna più ». la poesia popolore portoghese già si è veduto il garofano simbolo e personificazione del giovane amante, come la rosa invece della donzella amata, (Cfr. la similitudine dell'Ariosto: «La verginella è simile alla rosa...) » Ecco perchè presso gli Armeni antichi, secondo Mosè Corenese in onore di Anaide, la Venere loro si celebrava la festa delle rose, cosí detta Vartavar, voce armena composta e difficile a spie- | garsi, a detta dell'abate Cappelletti, equivalente a << fiammeggiatura delle rose ». Vartavar è oggidi all' incontro il nome dato dagli Armeni alla festa della Trasfigurazione di Cristo (di cui, secondo San Bernardo, come si è veduto, la rosa è l'immagine la più schietta e fedele); cfr. la nostra cosí detta Pasqua di rose o la Pentecoste che per solito ricorre nel mese delle rose, cioè in maggio, o al piú nei primi giorni di giugno, mese, in cui pure le rose continuano a fiorire nel pieno rigoglio proprio.

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Nel

Poichè sopra ho notato come per solito dal cenno di qualche fiore cominciano gli stornelli popolari, toscani giova notare il cominciamento analogo d'un canto popolare rumano: «Sono forse fiori sbocciati pocanzi quelli che si distin

1 F. Petrarca comincia il sonetto 310 del suo Canzoniere parte II cosí: "Zefiro torna e il bel tempo rimena I fiori e l'erbe, sua dolce famiglia „.

2 La Pasqua d'ova invece si dice in Toscana la Pa8qua di risurrezione,

2 Cioè Πεντηκοσή ήμραν ο cinquantesimo giorno si sottintende dopo Pasqua.

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guono all'orizzonte de' piani di Tinesia? Non sono punto fiori sbocciati, ma invece le pecore di Corte disposte a pascolare sulle colline ». Lo stesso esordio è pure quello di alcuni canti popolari albanesi, a detta di Augusto Dozon, e di altri greci, secondo il Tommaseo. - Differisce però il principio dei canti popolari rumani, che per solito è questo: « Frundze vierde » (Frondi verdi); per esempio: « Frundze vierde lacrimiorâ » (Frondi verdi lacrimose); bella personificazione della pianta; « Frundze vierde margaritel» (della margarita; nella Moldavia invece: Frundze vierde pindrajal, o pátrunjelu (del prezzemolo); Dafion, o pâducela (del biancospino); dematàss, o dudu (del gelso); così pure si dice: « Frondi verdi dell'ortiche, Frondi verdi sul pruno, Frondi verdi dei due alberi, Frondi verdi del dolce bosco, del nocciòlo, delle piante selvaggie, delle quercie, del mughetto, del pino »; ecco per saggio uno di biuesti canti (riportato a pag, 14 del suo bel'opuscolo da F. D. Falcucci sopra citato): «O verdi foglie della margherita ! Io ho avuto una sorella amorosa, cantatrice, la quale fu nata dal sole. Ahi meschina me, meschina lei! Fino dalla mia infanzia i miei occhi non si sono incontrati co' suoi: una grave stagione ci ha oppresso. Nondimeno, checchè avvenga, noi vogliamo entrambe essere sorelle, poichè in noi l'affannoso desiderio (dorul) non tace. Il sangue non si fa acqua.1 Due anime sorelle sono come due raggi ardenti, che lieti dal Sole si dipartono, e per i nuvoli trapassano e s' incontrano per l'aria ». Ecco poi la spiegazione che dell'esordio botanico di tali canti ci offre l'Alexandri nella predetta citata sua raccolta nelle note ad uno de' suoi canti popolari rumani: «Il fiore, o l'albero, di cui il poeta del volgo spicca una foglia per preporla ad ogni suo canto, debbe avere qualche analogia simbolica col soggetto stesso del canto, dimodochè sotto un'allegorica forma la foglia di questo o quel fiore, di questo o quell'albero compie l'ufficio stesso che l'invocazione degli antichi poemi, invocazione che serve a spiegarne il soggetto. Vuole, per esempio, il poeta celebrare un prode? Egli sceglierà fra gli alberi della foresta quello che gli offra meglio e più spiccata l'idea della forza, e comincerà necessariamente dalla verde foglia della quercia, simbolo della forza; piú appresso il prode nel corso medesimo della leggenda

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1 Proverbio comune ai Toscani ancora e ai Corsi cioè: "Il sangue non è acqua. »

arriverá al termine della vita, il poeta farà figurare la foglia verde del pino, l'albero della morte. Si tratterà invece d' una giovinetta? Il canto comincerà con la foglia verde della rosa, o del mughetto, o della violetta, benchè poi di tali principi di canti con l'andare del tempo si facesse grande abuso, anche senza ragione di sorta. Siffatta invocazione delle frondi verdi, propria dei canti popolari rumani, che trova un riscontro maraviglioso negli stornelli toscani, come ce lo proveranno varî esempi, che riporteremo più sotto, ci fa pensare ad una comunanza d'origine anteriore al Medio Evo. Il genio ed il costume delle nazioni resistono tenaci alle storiche vicende; quindi la colonia condotta da Trajano in Dacia, con molta probabilita, se non certezza, ha dovuto recare seco dall'antica patria simile modo poetico, tuttavia frequente anche in Toscana; che anzi può ben dirsi a vicenda l'uno porgere indizio dell'antichità dell'altro.'

PRINCIPIO ANALOGO

DI CANTI POPOLARI TOSCANI.

I.

Salcio piangente, Io vo' rifar la pace col mi' amante, E, quando mi lasciò, gli era inno

cente.

2.

Timo fiorito: Mi fidai degli amici e fui ingannato; Mi fidai delle donne e fui tradito.

3.

Pampani e uva. E la mia mamma sempre lo diceva: « L'amor del forestiero poco dura ». (sic)

4.

Pampani e tralci. E la mia furberia non la conosci; Discorro a te, quando non trovo altri (sic).

5.

L'erba del mio giardino ha fatto fieno, Se ti volevo ben, non ti lasciavo, E t'ho tenuto sempre per ripieno,3

1 F. D. FALCUCCI, pag. 14 dell'opuscolo suo. Cfr. l'equivoco simbolico già notato con l'anima

umana.

3 In Toscana di cosa inutile si dice: " ripieno,; per esempio come il prezzemolo nelle polpette: o figuratamente come Pilato nel credo.

6.

Foglia d'aprile, Ora che me l'hai fatto licenziare, E giorno e notte mi farai morire.

7.

La foglia dell' ulivo fa tre nodi: Bello, al mio tavolino non ci scrivi, Bello, la mia persona non la godi.

DUE VARIANTI LIVORNESI INEDITE.1

I.

La foglia dell' ulivo è fatta a esse, N' hai di ragazze canzonate tante, A canzonare me non ti riesce (sic).

2.

La foglia dell' ulivo è fatta a scala (sic), Non date retta a giovinotti d'ora, Canzonar le ragazze fanno a gara (sic).

Due altri stornelli analoghi già riportati so pra cominciano analogamente uno con: « Gaggia spinosa», e l'altro con: « Erba cedrina ».3

Si è veduto i fiori divenire simbolo della vita, indi è che in un racconto del Kathasaritsagara (cioè: Oceano di ruscelli di novelle) di Somadeva-Bhatta il Dio Çiva dona a due sposi due fiori di loto; se il fiore dell' uno appassisce, segno è che l'altro lo tradisce. Cosí nel TutiNameh (Libro del Pappagallo) una donna dice ad un soldato: «Se il mazzo di fiori che ti offro, appassisce, questo sarà segno che io abbia commesso alcuna colpa ». Nel conto popolare dei fratelli Grium 3 dal titolo: I gigli d'oro, i gigli appassiscono per annunziare la disgrazia che accade al figlio di un pescatore; (cfr. la superstizione analoga pugliese, di cui si è fatto interprete Pietro Paolo Parzanese nel suo canto patetico: Gino e Lena); il vecchio romanzo francese di Perceforêt una rosa che perde la sua freschezza rivela per tal modo l'infedeltà d'un amante; questi contrassegni sono la reminiscenza d' un mito vedico; infatti, quando i Numi del Paradiso d' Indra sono vicini a mutar esistenza, perchè soggiacciono essi pure alla fatale legge della trasmigrazione delle anime, ne sono avvertiti, secondo i Buddisti da varî segni, fra gli altri da questo, affine a quello nutato pocanzi, cioè che le ghirlande

1 Della mia raccolta.

2 Cfr. quest'altro canto popolare livornese inedito analogo: "Due alberi fioriti vo piantaro, Lontani delle miglia cinquecento, A San Giuseppe li voglio piantare, Dov'è seguito il mio scorruccciamento, (bella voce po. polare di Livorno).

3 Kinder und Hammärchen,

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proprie di fiori appassiscono. Nel canto popolare danese di Elsa poi si legge (è il giovine amato, e morto che parla alla diletta sua donna): « Ogni qual volta sei tu gaja, la mia tomba è cinta di foglie di rose. Ogni qual volta invece tu piangi veggio nel mio cataletto goccie di sangue ».' Questa poesia patetica ricorda la Corrispondenza d'amorosi sensi, Celeste dote negli uman, per cui Si vive spesso con l'amico estinto, E l'estinto con noi se pia la terra, Che lo raccolse infante e lo nutriva Nel suo grembo materno ultimo asilo Porgendo, sacre le reliquie renda Dall' infuriar dei venti e dal profano, Piede del volgo e serbi un sasso il nome, E di fiori odorata arbore amico Le ceneri di molli ombre consoli (UGO FOSCOLO, Carme de sepolcri vv. 30-40). I fiori soavi compagni de' morti occorrono pure in altri passi di questo sublime Carme; vv. 114-18;... << Cipressi e cedri Di puri effluvi i zefiri impre. gnando Perenne verde protendean sull'urne In memoria perenne e prezïosi Vasi accogliean le lagríme votive» e vv. 124-26 e 128-29: « Le fontane mandando acque lustrali Amaranti educavano e viole Sulla funebre zolla ... Una fragranza intorno Sentia qual d'aura de' beati elisi », e finalmente vv. 88-90... « Ah sugli estinti Non sorge fiore, ove non sia d'umane Lodi onorato e d'amoroso pianto ».

i canti e i concerti più dolci e svariati.' Anche in Giovanni Pascoli, Myricae ci si offre il sentimento della poesia popolare vivo, squisito, contemperato a quello dell'arte la piú squisita; cosí a pag. 49: Creature, I Fides:

Quando brillava il Vespero vermiglio, E il cipresso pareva oro, oro fino, La madre disse al piccoletto figlio: Cosi fatto è lassú tutto un giardino. Il bimbo dorme e sogna i rami d'oro, Mentre il cipresso nella notte nera Scagliasi al vento, piange alla bufera - Pensieri, II, pag. 40: I tre grappoli a G. G.: « Ha tre, Giacinto, grappoli la vite, Bevi del primo il limpido piacere, Bevi dell'altro l'oblio breve e mite E... più non bere; Ché son né il terzo e con lo sguardo acuto Nel nero sonno vigila da un canto, Sappi il dolore, e alto grido un muto Pianto, già pianto». Cfr. pure i titoli di altre poesie del Pascoli, ch' entrano pure nell'àmbito del nostro tema: Alberi e fiori 1. Fior d'acanto; 4. Rosa di macchia; 5. Pervinca; 6. Dittamo; 7. Edera fiorita, Viole d'inverno; 8. Il castagno.

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In un canto antico francese una bella donna morta è indotta ivi cosí a parlare: « Mi si metta in un cofano di rose, Sulla mia tomba si pianti un rosajo di rose bianche. I giovani, nell'andare alle scuole, Vi coglieranno ciascuno una rosa, E pregheranno Dio per la bella, Per la bella morta di amore ». Senza dubbio la terra, che ci sostiene, che, secondo un' ingegnosa im

Uno degli episodi piú graziosi dell' Harivansa (indiano), tradotto in francese dal Langlois è il fiore dell'albero Paridjáta che si di-magine poetica fa uscire dal proprio seno piante sputano Indra e il suo fratello Krishna. Questo fiore conserva la sua freschezza durante l'anno intiero; esso possiede tutti i sapori e gli odori e fa pienamente avverare ogni augurio formato. È inoltre un pegno di virtú; esso perde la sua vivezza con l'empio, e la conserva invece col giusto. Questo fiore maraviglioso inoltre offre il colore gradito, il profumo ricercato; esso può servire di lume durante la notte;3 esso è un rimedio alla fame e alla sete, alla malattia, alla vecchiaja;5 esso dona

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2 La ragione della sintassi m'ha obbligato a introdurre questo lieve mutamento ne' versi citati del Foscolo. 3 Cfr. l'immagine dell'albero del cielo, secondo lo Schwartz, come si è già veduto, albero, i cui fiori e frutti sarebbero appunto gli astri.

4 Cfr. l'albero Soma, che agl' Indiani presentava l'amrita, o bevanda dell' immortalità (da a privativo e mri, mar, morire; cfr. il gr. außgooia da a privativo, m eufonico e βρόσιος alterazione di Βροτός mortale).

5 Cfr. gli alberi maravigliosi del mito vedico: Kal pavrisha, e Kalpadruma, da' quali si otteneva tutto quanto si potesse bramare,

e animali, la terra de' nostri padri, cioè la patria, secondo la graziosa metafora greco-latina, la terra altrice, la Magna parens frugum Saturnia tellus, Magna virum...o a detta di Virgilio, presso tutti i popoli viene considerata (ben inteso da ciascuno la propria terra natale) come una madre, e innalzata indi a culto divino. Difatto in sanscrito è appellata bhu

1 Nella sua iperbole il mito di questo albero adombra i mirabili influssi delle piante con l'ossigeno loro sulla vita degli uomini, e col fuoco l'altro bene che arrecano, e co' frutti l'alimento che dànno; cfr. la bella connessione che ci offre della vita fisica e morale; per esempio dell'attinenza fra la bellezza e la bontà (l'albero mantiene la sua vivezza col giusto).

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mi lat. humus, terra (donde: homo, humanus),' dalla radice sanscrita bhû, generare, crescere; indi essa forma la gran genitrice, quella che fa nascere e crescere gli esseri tutti, cfr. la voce greca Demetere (o Cibele), la terra madre, la Cerere dei latini, la terra, che presiedeva, alle messi, che si favoleggiava avere insegnato agli uomini l'agricoltura, l'arte di seminare il grano, di raccoglierlo, di farne del pane. Il suo nome viene dalla radice Cer, fare che ha prodotto il verbo creo, per cereo, lat. (sanscr. Kar, o Kri, il cui frequentativo è cresco per ceresco). Cerere aveva una figlia, chiamata dai Greci Persefone, o distruggitrice della norte, nome che pare allusivo al dogma dell'immortalità dell'anima, anima e vita propria deyli uomini, figli della terra. Persefone fu rapita da Ade (l' invisibile, lo Yama dei Vedas dal verbo yam, cohibere, raffrenare, il Plutone affine a Pluto, gr. ricchezza, perchè l' inferno e la ricchezza nelle viscere della terra, e perchè l'oro è causa prima delle colpe che vengono punite nell' inferno) e portata da esso nelle regioni sotterranee. Cerere inconsolabile scese nell' Erebo, affine di riavere la figlia. Questa favola è forse un'allegoria allusiva alla vegetazione. Cerere ci rappresenta il grano che penetra nella terra, e vi attinge le forze necessarie al suo germogliamento: Persefone poi dai Latini fu mutata in Proserpina. Un altro nome della terra in latino era, Ope al singolare, il cui plurale significa ricchezze, perchè queste sono il prodotto della terra; al singolare vale: ajuto, soccorso, appunto perchè alimentando la terra l' uomo (difatto in italiano poeticamente si chiama: alma, altrice), col nutrimento gli porge ajuto, sostegno. Ope di nome comune divenne proprio della tellurica Dea, donde opimo cioè abbondante, rigoglioso, grasso, ricco; la radice sanscr. è ap.3 acquitare, aggiugnere, quindi apio, apiscor, apto, e apto, (lego, connetto, e adatto, acquisto, desidero). Ope era la moglie di Saturno, Dio del tempo, (quasi Sator da saturare, il Nume che se medesimo sazia e gli altri, producendo e divorando tutto). Secondo i poeti Saturno avea regnato

1 Cfr. l'etimo del nome del primo uomo: Adamo dall'ebr. adama terra rossa.

2 Il crescere invero è l'andar facendosi de' vari esseri.

3 L'idea della ricchezza, della copia eziandio potrebbe derivare dall'idea dell'acqua (sanscr. apa tema ap.) salutata madre, ricollegata al principio cosmogonico e antropogonico, generatrice e rigeneratrice.

• Secondo il mito greco-latino questo nume divo

sulla terra durante l'età dell'oro, quando gli uomini erano virtuosi e indi provvisti in gran copia di beni; poichè la virtú mantiene sano il corpo con l'animo, ed essendo appunto la solerzia, l'operosità, giova all' uno e all'altro, e indi frutta pure felicità e ricchezza.

Adesso tornando al proposito nostro, dopo la breve digressione intorno ai miti greco-latini delia terra e vegetazione, aggiungiamo a confermare la verità predetta che la terra è la gran madre degli esseri, come gli antichi Messicani l'appellassero: Oxomoco, cioè madre, e tale pure la riconoscessero i Tedeschi; cfr. l'atto di Bruto di baciare la terra, considerandola, come sua madre, nel tornare in Italia; si noti poi un poeta latino dice: « Antiquam exquirite matrem », e F. PETRARCA, Trionfo della Morte I, vv. 88-90 agli uomini con piglio di rampogna dice indi: «O ciechi il tanto affaticar che giova?

Tutti tornate alla gran madre antica, E il nome vostro appena si ritrova » ; il medesimo nella canzone a Giacomo Colonna per l' impresa contro gl'infedeli (crociata) strofa 5*, v. 13 dice: «Che se al ver mira quest'antica madre » e nella canzone all'Italia ultima strofa, precedente il commiato: «Non è questo il terren, ch'io toccai pria, Non è questo il mio nido, Ove nudrito fui sí dolcemente, Non è questa la patria in cui mi fido, Madre benigna e pia, Che copre l'uno e l'altro mio parente? » Nel passo citato sopra del Carme de Sepolcri, vv. 33-6 giova notare,.. « Pia la terra, Che lo (cioè l'uomo) raccolse infante e lo nutriva Nel suo grembo materno ultimo asilo Porgendo... » Silvio Pellico nella sua Francesca da Rimini per bocca di Paolo fa rivolgere l'apostrofe citata innanzi all' Italia, di cui giova ripetere i versi... « Il piú gentile Terren non sei di quanti scalda il sole? D'ogni bell'arte non sei madre, o Italia » ? Convien ricordare pure l'espressioni figurate: « La dolce famiglia dei fiori e dell'erbe del sonetto citato innanzi di F. Petrarca; « La vaga delle belve ampia famiglia » nella Bellezza dell'Universo di V. MONTI, v. 84 e vv. 4-5 « Questa Bella d'erbe famiglia e d'animali » del Carme dei Sepolcri di U. FOSCOLO. Ecco quindi bene fra loro accomunati gli animali e le piante con l'uomo insieme riguardo al concetto aristotelico dantesco delle tre vite: vegetativa, animale e intellettiva nell'uomo, non me

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