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i Malaspina, Alagia, Gentucca, e con Gherardo e Guido anche Corrado da Palazzo. Il vicariato in Firenze nel 1276 non poteva aver lasciato sul fanciullo di casa gli Alighieri cosí profondo ricordo, perché quarant'anni più tardi il Poeta avesse, per ciò solo, ad esemplar dal libro nebuloso della memoria piuttosto che scegliere dalla realtà contingente il nome del terzo fra i venerandi vecchioni sopravvissuti alla loro età. Il libro della memoria gli aveva soccorso i nomi di Guido Guerra e di Jacopo Rusticucci e dell' Aldobrandi, ma egli anche ne aveva imparati i nomi onorati e le azioni fin da giovanetto, e le aveva con affezione ritenute in sé. Erano le glorie più pure insiem con Farinata della sua città, ed erano cosí presenti in ogni momento al suo pensiero, che súbito ne aveva domandato al primo fiorentino in che s'era abbattuto nel suo viaggio: fiorentino e uomo di Corte, cioè avvezzo alle gentilezze pur lui.

Comunque o le faville del presente gli raccendessero le impallidite conoscenze o queste fossero ben vive nella sua memoria, tutto lo portava oramai al passato e più le passioni infuriavano dinanzi a lui, piú ne soffriva gli indegni tormenti, e più anche si radicava salda in lui la persuasione che solo nel passato era il bene, piú gli si acuiva, fino a struggerlo, il desiderio di esso.

Cosí il rinnovamento gli si dipingeva come un ritorno; ma piú egli lanciava lo sguardo cupido nell'avvenire e piú esso gli si chiudeva al presente, perché egli oramai non viveva che di memorie e di speranze, nel passato e per il futuro.

In tale condizione di spirito l'espressione d'un pensiero politico non può essere che lirica. Tenti pure la ragione di formular teorie, la passione investirà anche il concetto e impedirà a questo di irrigidire in formule astratte. Non a caso però l'espressione teoretica di questo pensiero e di tutta l'altra materia che intorno gli si raggruppa, è affidata proprio a questo Canto sedicesimo del Purgatorio. Induceva il Poeta quel senso di euritmia che signoreggia il suo gusto ed è ricco a noi di tanti riscontri con i Canti corrispondenti delle altre due Cantiche; lo spronava la particolar importanza che sempre meglio il numero sumeva nella costruzione dell' opera. l'appunto mezze

Erano ordite or

as

le fila della tela fissata, la politica sempre più avvinceva la sua anima, perché sempre piú ne sentiva l' ineluttabile congiungimento con la morale e con la religione; la sua opera sempre più si alzava di Canto in Canto, d'episodio in episodio a idealità generose e forti ; qui dunque, a mezzo il cammino, era da esporre quella delle sue teorie che pareva come il nocciolo germinatore di tutta l'opera e dalla quale questa veniva attingendo piú di vigore e di forza.

Formulazione teorica e universale, di che il viaggio dalla selva a Dio che due guide illuminano della luce che a ciascuna è propria, era l'attuazione concreta e particolare. Di qui le sottili rispondenze con i primi due Canti dell' opera lasciate avvedutamente come cascare qua e là per vari luoghi del Canto e che senza sforzo si possono cogliere in una parola, in un'imagine, in un' allusione del lungo discorso.

Ed intanto que' due che insieme vanno, continuano a discutere di politica e di religione, cioè de' fondamenti del vivere sociale. Sono ciechi, ma spingendo la memoria nel passato essi veggono i Soli che vi avevano rifulso; spingendo la speranza nell' avvenire tremano dal desiderio che si abbiano a raccendere ancóra.

È l'immortale speranza di tutto il medioevo, che ebbe fede nell' avvento del regno di Dio, come nessuno di noi ha nell'attuazione del piú superbo ideale che gli bruci il cervello. La scienza strappa veli e denuda verità, la fede carezza dolcezze di sogni! Essi sapevano che dalla felicità erano venuti e alla felicità dunque dovevano tornare; noi sappiamo che dal dolore siamo partiti e che alla felicità, forse, non arriveremo mai. Per sbatterli che la procella facesse, naufraghi quegli uomini non erano mai, perché avevano lo scoglio immobile della speranza, cui potersi aggrappare.

Nelle tempeste della vita, quando l'angoscia gli azzannava piú spietatamente lo spirito, e non per l'incertezza del pane, ma per l' infrangimento degli ideali con piú ardore vagheggiati, Dante cercò spesso la pace nella solitudine de' chiostri. E piegò la fronte scorata sul gelo del marmo, mentre i monaci alzavano piú flebili al Signore le loro preghiere. Quelle preghiere che nessun tempio ode piú, ma che fanno tremar ancóra di commozione

lo studioso, quando s'avvenga in qualcuna, nei bei libri miniati, ultimo ricordo d'un mondo oramai spento.

Piangevano anch' essi i monaci sulle miserie degli uomini, poveri cigni, lontani dal bel giardino, ove dianzi eravamo felici.

Povero cigno! povero cigno! L'imprudente ha voluto slanciarsi nell'alto mare, ed ecco che la tempesta lo sbatte e gl' infrange le ali. Sospeso ad uno scoglio, egli sente le onde rugghiargli sotto, nell' orror della notte, sempre più cupe, sempre più forti.

Or il cigno piange: chi ridà la felicità all'anima mia ? È perduto; è presso a mo

rire.

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UMBERTO COSMO.

Alcune Osservazioni

intorno al Primo Sonetto della "Tenzone,,

fra Dante e Forese Donati

Provata l'autenticità di questi sonetti fra Dante e Forese, è inutile ripetere quanto già si conosce per i lavori d'Isidoro Del Lungo e del Carducci, e di altri moltissimi che su questa Tenzone fermarono i loro studî e la loro attenzione, portando grandissima luce. Coloro che già conoscono a fondo la questione pur troppo non troveranno cose molto nuove nel presente lavoro, ma piú seccati sarebbero di veder ristampato il detto e ridetto; gli altri servendosi delle note bibliografiche, che seguiranno a queste pagine, potranno, se a lor piaccia, mettersi in condizione di conoscer bene l'argomento, ricorrendo alle opere nelle note indicate.

Per questo, riporto qui súbito nella lezione preferita dal Del Lungo il primo sonetto della Tenzone, a cui farò precedere qualche osservazione generica, prima di commentare ed illustrare il verso ottavo, che più importa al presente lavoro.

Chi udisse tossir la mal fatata moglie di Bicci, vocato Forese potrebbe dir che la fosse vernata ove si fa 'l cristallo in quel paese.

Di mezzo Agosto la trovi infreddata : or sappi che de' far d'ogni altro mese! E non le val perché dorma calzata merzé del copertoio2 ch' ha cortonese.

La tosse il freddo e l'altra mala voglia non le addivien per omor ch'abbia vecchi, ma per difetto ch' ella sente al nido.

Piange la madre, che à piú d'una doglia dicendo: Lassa! che per fichi secchi messa l'avre' in casa il conte Guido.

Il Del Lungo interpetra: 1

<< Chi sentisse tossir la disgraziata moglie di Forese vocato Bicci, potrebbe dire ch' ella avesse patito il freddo invernale di que' paesi settentrionali, dove il ghiaccio s'indura come cristallo. Nel cuor dell'estate la si trova infreddata, immaginiamo negli altri mesi dell'anno! E nulla le giova il dormire rincalzata e greve di panni, mediante coperte da luoghi di montagna: tutto ciò è inutile perché la tosse, l'infreddatura e gli altri malanni, non le vengono già per umori guasti e corrotti, ma perché le manca qualchecosa nel letto, dove il marito la lascia sola, andandosene egli fuori la notte. E la madre di lei tutta impensierita piange e dice: Oh povera me! io che avrei potuto, pur con piccola dote, collocarla nelle famiglie più ricche ed onorevoli !

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1 V. CARDUCCI G., Studi letterari; Sulle rime di D. Alighieri. F. Vigo, Livorno, 1874. DEL Lungo IsiDORO, Cronaca di D. Compagni, vol. II in fine, 1879. DEL LUNGO ISIDORO, Dante nei tempi di Dante; Bologna, Zanichelli, 1888; GASPARY, St. d. lett. ital; SuCHIER, Uber die Tenzone Dante's mit Forese Donati (in << Miscellanea » Caix Canello).

2 Copertoio è propriamente la coperta del letto, come può vedersi anche dai seguenti esempi del Sac

chetti. Novella XIX: E giunto in camera, caccia in giú il copertoio e dice: Che son queste? Son elle rosse? Son elle azzurre? Son elle nere?! Ed altrove, Novella CCXXV: Oimè e tu di' che no 'l senti! io ag ghiaccio - e tira il copertoio calzandosi con esso attorno.

1 V. DEL LUNGO I., Dante nei tempi di Dante, 1. c. 2 DEL LUNGO, Op. cit.; CARDUCCI Op. cit.; D'OviDIO, La rimenata di Guido in Nuovi studi Danteschi, Milano, 1907.

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Perché questa tenzone dopo tanta amicizia? Forese era goloso ed era uno scioperato. Sap. piamo questo dal Canto del Purgatorio, dagli antichi commentatori e cronisti e dagli altri due sonetti di Dante contro Bicci; ma nel primo sonetto non si parla di gola, ma di una certa scioperataggine, che a quanto pare ha bisogno di consorto divieto. Il Poeta, che in quegli anni non era davvero un esemplare di moderazione, non avrebbe avuto troppa ragione di muover battaglia a Forese per il vizio unico della gola; e se anche questo si potesse ammettere, perché prenderla cosí alla larga, e battere quella povera Nella nel talamo deserto? Quale altra poteva essere dunque la ragione? Che cosa poteva importare a Dante, se Forese lasciava vedovo o no il letto coniugale? Questi due Fiorentini, che per parecchi mesi ebbero il libertinaggio in comune, o furono per lo meno della stessa brigata, uniti da molti errori comuni, da che potevano essere ad un tratto divisi, se non da qualchecosa, che poteva forse premer troppo ad ambedue, e in un medesimo tempo? Ora gli errori di Dante, nel tempo in cui aveva smarrito la diritta via, se dobbiamo dare ascolto di preferenza a Beatrice, sappiamo in che specialmente consistessero :

Non ti dovean gravar le penne in giuso ad aspettar più colpi, o pargoletta

o altra vanità con sí breve uso.

1 V. la nota 8.

3

2 La gola non richiede veramente tanta solitudine, ed anzi questo vizio più facilmente si nota nelle liete brigate e spenderecce.

3 V. meglio i Canti XXX e XXXI del Purgatorio e i versi :

Si tosto come in su la soglia fui di mia seconda etade e mutai vita questi si tolse a me e diessi altrui.

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2

Grandi e terribili sono le offese che da ambedue le parti irate si lanciano, ma pure è da notare che quelle di Dante sono piú atroci negli ultimi due sonetti, quando deve rispondere anche a quelle dell'avversario, e meno nel primo. Ora in questo, se veramente quivi deve ricercarsi l'origine della contesa, io trovo che Dante, in fin dei conti, non grava troppo la mano; si limita a ricordare all'avversario i doveri del talamo; dice che quella sventurata Nella sente freddo al nido, e si lagna delle assenze notturne di Forese, e riporta il lamento della madre che è pentita di aver collocato sí male la figliuola. Benché l'ira spinga a parlare sinceri, qui non si parla della gola

1 Cfr. D'OVIDIO, Op. cit.

2 Nei tre sonetti di Dante a Forese si nota, a partirsi dal primo, un crescendo non trascurabile, e se la lontananza dei tempi non c'inganna, e le diverse superstizioni sociali, Dante supera nell'offesa l'avversario. Forese nel primo è il marito scioperato, che pei suoi vizî lascia in dolore la famiglia; ma nel secondo diviene goloso, miserabile, sodomita; e nel terzo Dante perde il numero e la misura, e insulta la madre dell'avversario, e chiama questo, figlio dell'adulterio, goloso, mendicante, ladro, cattivo figliuolo, e ne insulta il padre, i fratelli, le spose. Questo crescendo terribile, per cui era più che necessaria l'ammenda fatta a tanto male con le parole del Purgatorio, trova la sua ragione nelle repliche di Forese, ogni ingiuria del quale vuole una nuova risposta, allontanandosi cosí di troppo tutti e due gli avversari dal primo motivo che mosse la contesa. Perché anche Forese investito non si perde interamente; tira fuori la figura del vecchio Alighieri povero e non vendicato dal figlio, e chiama Dante povero e l'accusa di guadagni illeciti, di vivere alle spalle del fratellastro Francesco e rivela

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direttamente, e questo vizio vien fuori soltanto dopo, nel secondo sonetto, quando lo stesso Forese quasi ce lo tira con quel nodo di Salomone che legava il padre di Dante. Ora tutto questo giro del primo sonetto per dire scialacquatore e goloso ci sembra poco naturale, e piú maraviglierà se si pensi che i due avevano scialacquato insieme fino allora, senza che Dante sentisse troppa pietà della trascurata Nella, e biasimasse la condotta del cattivo marito. Auntratto, invece, Dante ha una gran voglia di far tornare a casa l'amico, di ricondurlo alla famiglia, di allontanarlo dalla bella compagnia notturna; e questo ricordargli la moglie, la casa, il talamo deserto, in un momento d'ira veemente, non ha certo per origine il rispetto alla santità della famiglia o l'amicizia, ma il proprio interesse, il proprio vantaggio. Notevole poi il fatto, che alla mente irata del Poeta appaia come prima idea la moglie dell'avversario, e che fra tanti danni che Nella risentirà certamente da quello sciopero notturno del marito, Dante sentisse per prima cosa il bisogno di rammentare soltanto i mancati doveri coniugali, e cosí d'improvviso.

Si può dubitare perciò che le cose fra i due compagnoni andassero bene fino a che il poeta celibe e il cattivo marito ebbero un diverso amorazzo per ciascuno; ma che la pace venisse a guastarsi appunto allora che le brame di tutti e due ebbero di mira una stessa femmina. Inde irae, e Dante, approfittando allora della sua condizione di celibe, consiglia l'amico

nuovamente nell'ultimo sonetto la mancata vendetta del padre. Offesa questa, dato il costume dei tempi, grave assai come può anche rilevarsi dal seguente passo del Tesoretto di Brunetto Latini.

S'offesa t'è di fatto dicote a ogne patto che tu non sie musorno ma di notte e di giorno pensa de la vendetta. E non aver tal fretta

che tu n' hai peggior onta; ma pur come che vada

la cosa lenta o ratta

sia la vendetta fatta.

1 Forese a Dante: « Ed i trovai Alaghier tra le fosse, Legato a nodo ch'io non saccio il nome, Se fu di Salamone o d'altro saggio ». A cui Dante, nel suo secondo sonetto : « Ben ti faranno il nodo Salamone, Bicci Novello, i petti delle starne ».

e quel consiglio è una mezza minaccia di ritornare al nido domestico, di fare il buon marito, di non scialacquare e di lasciare insomma il campo libero a lui. Il sonetto sopra trascritto è poi il più debole confrontato con gli altri due di Dante; è piuttosto a parer mio un preavviso, una minaccia di palesare a Nella l'amorazzo di Forese, che un'invettiva terribile, piena di ingiurie sanguinose, come per esempio è il terzo Sonetto:

Bicci Novel, figliuol di non so cui.

Secondo noi il primo sonetto ha tutta l'aria di dire semplicemente all'amico ammogliato: A casa, a casa; questa vita libera non conviene a te! Posso farlo io che son libero e solo, non tu che hai una moglie, la quale giustamente si lagna di queste tue scappate notturne.

E con altri argomenti, ancóra potrebbe confortarsi questa ipotesi, e forse anche ragionevolmente. Forese, rispondendo a Dante, sfugge il tèma increscioso in cui l'ha portato l'amico, e per paura di scoprirsi maggiormente muta discorso, e porta le offese in un campo diverso, e a chi l'aveva accusato di essere un cattivo marito, risponde con allusioni a mancata vendetta, a povertà, a ruberie da parte di Dante. Ma il Poeta, fiero leone, pur

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1 Si dirà ma Dante non aveva moglie, e da questo lato Forese non lo poteva attaccare. Ma rimanendo sempre in argomento di relazioni amorosei Forese poteva ben rinfacciargli i suoi amori volgar dopo tanto idealismo con Beatrice, e screditarlo come amante, ecc.

2 Si può aggiungere che nei tre sonetti di Forese a Dante non si fa mai l'accenno più lieve a relazioni amorose di qualsiasi genere, e mentre Dante ribatte su questo punto di continuo, Forese non ne parla mai né per difendersi né per accusare. Perché Forese a questa insinuazione è sordo? Ed un'altra osservazione La gola e la scioperataggine anche continuativa, danno proprio per conseguenza necessaria la trascuratezza dei doveri coniugali? Forese poteva essere un goloso, uno scioperato, un donnaiolo, e dal lato delle relazioni coniugali essere ancóra un marito e non un cognato. Il lamento della moglie, quel vizio della sodomia e l'affermazione che i Donati sanno a lor donne buon cognati stare, il ricordare la disgrazia coniugale di Simone padre di Forese e marito di Tessa, non nasconderanno forse l'intenzione di porre l'avversario in discredito agli occhi di quella donna, che, secondo la mia ipotesi, avrebbe causata la scissione fra i due aspiranti?

Giornale dantesco, anno XVII, quad. III-IV.

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