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rimbeccando in tutto il resto l'avversario, dandogli del goloso e predicandogli che finirà per crepare in mezzo alla miseria, tien ferma l'insinuazione ingiuriosa del primo sonetto, e su quel cattivo marito lavora diabolicamente, attribuendo per peggio all' amico il vizio della sodomia, e ripetendo che i Donati sanno a lor donne buon cognati stare. Ragioni queste su cui non insisto, ma che mi farebbero credere, che a Dante, Forese desse piú noia per qualche pargoletta che il Poeta voleva godersi solo, che per altri motivi.

Cosí, lasciandomi forse trascinare troppo da un primo sospetto, osai concludere che un amore comune, ridestando fra i due amici la gelosia e l'ira, fosse la causa della presente tenzone; ma quando si ricordi che a riparare al fallo commesso con i presenti sonetti, Dante nel XXIII del Purgatorio sente il bisogno di celebrare la castità di quella Nella, che aveva indirettamente offeso nel primo dei suoi sonetti, l'ipotesi affacciata, che da un motivo di lussuria la contesa movesse, non sembrerà forse troppo poco verosimile.

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nei classici, bisognerebbe tuttavia rifiutarla come non buona, a causa del verso errato, in quanto che nella metrica antica le due ultime sillabe delle parole terminanti coi dittonghi io e ia e simili valevano per una, come in questo di Dante :

Farinata e 'l Tegghiaio che fur si degni e del Petrarca

Ecco Cin da Pistoia, Guitton d' Arezzo. Nondimeno la spiegazione sarebbe piú attendibile di quella che darebbe il Gaspary, che mantiene cortonese ed interpetra per corto, 1 perché lasciando cortese ne verrebbe fuori questo senso: E a difendersi dal freddo non le vale dormire rincalzata con una coperta che le è liberale di un po' di caldo, che le procura quel caldo che può, ma non è da preferirsi all' altra di cui diremo sotto, agevole e piana.

Per la stessa ragione metrica deve pure abbandonarsi quella del Fraticelli, il quale in conformità della seconda nota a pag. 96 del suo Canzoniere di Dante, 2 avrebbe dovuto scrivere :

Mercé del coperto' cortonese

Mercé del copertoi' cortonese.

Ma qui essendo il verso precisamente endecasillabo e non potendo fare l'apocope voluta, perché il verso diveniva un cattivo decasillabo, ha lasciato che la finale toio valesse per due sillabe a cagione del verso, e contro l' uso metrico sopra accennato. Perciò sembra lezione piú certa l'ultima, quella data dal Del Lungo, che noi preferiamo, e che dà il verso completo e perfetto, computando secondo la consuetudine metrica per una sillaba le due dittongate.

Ed Isidoro Del Lungo, che vivente il padre Angelo fu giovinetto qualche tempo in Cor

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1 GASPARY. (St. della lett. ital.) Intendo: Ell' ha copertoio corto, cioè il marito non le serve abbastanza di copertoio; e riporta a sostegno del suo ghiribizzo un passo della Mandragora; ma V. Del Lungo.

2 V. il Canzoniere di Dante Alighieri a cura di P. Fraticelli. Firenze, Barbèra, 1894. Alla Canzone E m'incresce di me si malamente.

3 Angelo Del Lungo, padre d'Isidoro fu medico a Cortona dal 1843 al 1862, e come professionista abile, e come cittadino di ottimo cuore lasciò grata memoria a Cortona. Egli era nato a Fauglia in quel

tona, memore forse dei luoghi e delle nevi, al dir dei nostri vecchi nell' inverno assai piú frequenti ed abbondanti che oggi non siano, e della tramontana che gelida e veemente vi soffia per più giorni di séguito, interpetrò giustamente: E nulla le giova dormire rincalzata e grave di panni, mediante coperte da luoghi di montagna. E aggiunse a commento di quel cortonese nelle sue note originali: Copertoio quale si usa in Cortona e simili città di monta gna, dove fa assai freddo. Spiegazione questa cosí giusta e naturale, che oggi sarebbe forse accettata anche dal dottor Gaspary che fa corti i cortonesi, benché cosí sempre né fossero, né siano; e che noi di quel freddo cucuzzolo, da cui pur si gode una veduta di paradiso, accetteremo senz'altro anche per la boria di vedersi una volta tanto nominati dal divino poeta, e sia pure pel freddo. Che certo non potevamo esser lieti degli altri versi che un bel po' ci riguardano sulla Valle della Chiana : Qual dolor fora se degli Spedali 1

di Val di Chiana tra il Luglio e il Settembre,

e di Maremma e di Sardigna i mali

fossero in una fossa tutti insembre;
tal era quivi, e tal puzzo n'usciva
che suole uscir da le marcite membre;

versi ai quali i malevoli chiosatori certo per inveggia facean la coda, come quel Benvenuto da Imola, che sarebbe stretto a fare ampia ammenda, se vedesse oggi il bel giardino e fiorente che la città nostra circonda a dispetto della sua maligna glossa. « Chiana est quaedam vallis palustris mortua et marcida inter Clumsium, Aretium et Cortonam, quae reddit aere

di Pisa il 9 maggio 1807 e mori in Firenze il 31 gennaio 1884. Esercitò la sua professione di medico anche a Lucignano in Val di Chiana, e a S. Maria a Monte, dove il Giusti, con cui ebbe amichevoli relazioni, gli diresse lo scherzo: Qua non mi tengono imprigionato, ecc. e a Montevarchi per ultimo dove si adoperò tanto per la fondazione dell' Ospedale, che fu poi inaugurato con sua grande sodisfazione il 1° Febbraio 1875. Angelo del Lungo fu anche traduttore elegante e puro dal latino, da cui tradusse gli Otto libri della Medicina, di Aulo Cornelio Celso, recentemente pubblicati col testo a cura del figlio prof. Isidoro. In Cortona abitò nel palazzo che presentemente appartiene al conte Napoleone Passerini, e nel quartiere propriamente che ha il grandissimo terrazzo che dà in Via Francesco Benedetti.

1 Inf., XXIX. 46.

pestilentem in aestate, quando est intensus calor ».

Ora, pur rimanendo integralmente o quasi l' interpetrazione del Del Lungo, che anche per questo lato meriterebbe un po' più di gratitudine dai miei concittadini, sia permesso a chi è del luogo qualche nota di aggiunta che determini meglio la ragione d'essere di quell'aggettivo cortonese nel verso dantesco. S'ha proprio a credere che Dante, quando nell' ira scriveva contro Forese, e quella povera Nella freddolosa, pensasse veramente al freddo di Cortona, che per quanto possa essere in un cocuzzolo di 600 metri, è pur sempre relativo in confronto al ghiaccio tagliente dei paesi settentrionali? Ed è verosimile che Dante credesse sul serio il freddo di Cortona cosí eccezionale da potersi prendere per esempio, quasi quel povero colle fosse una Siberia? E piú chiaramente, fu il freddo o il copertoio, che fece venire la città nostra in mente al Poeta ? Se fosse stato il freddo di Cortona o anche l'idea generica che nei paesi di montagna si usano coperte piú grosse a difendersi dal freddo, la scelta non sarebbe stata davvero dantesca. Perché Cortona, e non un' altra qualsiasi delle tante città, che come questa si distendono sulle falde dei nostri Appennini ed anche delle Alpi? Dai paesi ove si fa 'l cristallo scendere, a proposito di freddo, ad una collinetta di 600 metri, se non è un passo esagerato, è certamente falso, e se quella mala lingua di Cecco Angiolieri fosse stato vera

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mente cortonese, come vorrebbe Girolamo Mancini, non avrebbe certamente lasciato passare la figura grossolana senza farvi sopra una satirica glossa, come già fece per l'apparente contradizione nelle terzine dell' ultimo sonetto della Vita nova. L'interpetrazione perciò di questo verso, a parer nostro, deve un po' diversa. E lo diciamo súbito, quel copertoio cortonese sta proprio ad indicare la fama di certi tessuti di lana speciale che si fabbricavano in quei tempi a Cortona, e che si distinguevano da quelli dello stesso genere fabbricati a Firenze e altrove per una qualche qualità particolare, come il peso, la raffinatezza, od anche la rozzezza. L'aggettivo cortonese

essere

1 V. GIROLAMO MANCINI. Cortona nel Medio Evo

e Il contributo dei Cortonesi alla cultura italiana. 2 Vita Nova. Son. XXV, il sonetto di Cecco Angelieri << Dante Allaghier, Cecco 'l tu sérv'amico, ecc.

perciò non sta a ricordare affatto il freddo di questa montagna che viceversa è un colle, ma la qualità del tessuto di lana, che doveva avere certe caratteristiche, pregi o demeriti particolari, se si sentiva il bisogno di distinguerlo da tutti gli altri tessuti allora in voga. Che a Cortona infatti esistessero fino dai primi secoli dopo il 1200 fabbriche di lana, come a Firenze e altrove è storicamente noto e certo, e se il Villani ci fa sapere che a Firenze noi troviamo fino dal 1282 a capo della Repubblica tre priori delle Arti, il primo di Calimala, il secondo dei cambiatori, e il terzo della lana, noi sappiamo dal Mancini che fino dal 1278 in diversi contratti stipulati nel Gennaio comparisce il priore dei Consoli, e delle Arti del Popolo del Comune di Cortona. Anzi, come prova l'Hegel e riporta il Mancini, fino dal 1255 le corporazioni delle Arti avevano acquistato grande autorità in Cortona, e già facevano parte del Reggimento del Comune col Podestà e il Capitano del Popolo. Ora, al tempo della Tenzone di Dante e Fo

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In questo tempo all' incirca le Arti in Cortona s' impadronirono del reggimento del Comune, e trovo che in questi tempi erano II Medici, speziali, barbieri; Cambiatori, mercanti di panni, sarti; Mercanti di bestie; Macellari; Scalpellini; Legnaiuoli; Mugnai fornai; Lanaiuoli; Fabbri; Calzolai; Albergatori e Tavernieri. Nel 1325 le Arti in Cortona erano 12 perché vi si era aggiunta quella dei Giudici e Notari. Vi è anche un' altra classificazione dove i lanaiuoli occuperebbero il secondo posto: Notariorum, lanariorum, Magistrorum lapidum, Magistrorum lignorum; Mercatorum bestiarum ; Mercatorum pannorum, camporum, et sartorum; Merciajolorum tabernariorum et albergatorum; Lardajolorum molendinariorum et fornariorum; Calzolajorum; Speziarorum et barberiorum; Carnajolorum. (V. Storia di Cortona di P. Uccelli, Arezzo, 1835.

2 Il Del Lungo: Quanto poi alla data probabile a cui sia da riferire la corona dei sei sonetti, nuovo lume dà forse il sonetto IV, dove nella prima terzina si accenna alla famiglia di Dante in modo da far credere, ch' egli non fosse ancóra ammogliato, ossia che si fosse innanzi al 92, se questo indicato dai biografi, fu veramente l'anno del matrimonio di Dante Gemma Donati. Con ciò la data della Tenzone cadrebbe tra il 1290 (anno della morte di Beatrice) e il detto anno matrimoniale. Anche il Gaspary è in questo della stessa opinione. In ogni modo ai 28 Luglio 1296 Forese era morto.

con

rese, fra le undici Arti di questo Comune noi troviamo come principali quelle dei Lanaioli, e dei Mercanti di panni e Sarti, che stanno ad indicare già con le loro divisioni il fiorire dell'industria paesana, e troviamo anche restrizioni nel commercio dei panni foresi, che favorivano le fabbriche paesane di pannilani. Si puniva, ad esempio, con L. 10 il trasporto e la vendita in città dei drappi di lana pugliese o matarella di pelo, e lana non pecorina; eran multati con L. 50 i venditori di vestiari cuciti o di drappi non fabbricati nel Cortonese, eccettuati quelli francesi, provenzali, catalani, fiorentini, milanesi e veronesi. Gli agricoltori cortonesi coltivavano poi in gran quantità una pianta detta robbia, con la radica della quale tingevano i panni in rosso; e anche il guado, che si usava per tingere in celeste. E il Comune era fiorentissimo, tanto che batteva moneta propria, la quale dal 1260 al 1380 era adottata da quasi tutte le città toscane e pontificie. 1

Ora, l'importanza dell'Arte della Lana nel Comune cortonese, le leggi restrittive, la coltivazione intensiva delle piante che servivano a tingere, tutte queste notizie provano non solo che l'Arte della Lana era fiorentissima in Cortona ai tempi di cui parliamo, ma che ai suoi pannilani e ai suoi copertoi si dava anche dagli altri Comuni un valore speciale, e se non si vorrà dire per la raffinatezza e la bellezza, si potrà ben sospettare che ciò fosse per la durata, la solidità, il prezzo e il peso.

E forse cosí era, perché come abbiamo veduto, mentre non s'impediva l'entrata nel comune di drappi francesi, provenzali, catalani, di drappi finissimi insomma, s'impediva in città il trasporto di pannilani e di vestiti inferiori, per il consumo dei quali era sufficente e bastevole l'industria paesana. E questo veto d'importazione di panni foresi, fa sospettare quasi positivamente che la produzione dei pannilani nel Comune fosse tale da renderne anzi necessaria l'esportazione.

Ma purtroppo, come ebbe a dirmi l'illustre nostro concittadino Girolamo Mancini, che della storia medievale del nostro Comune si è occupato con passione e competenza speciale,

1 V. GIROLAMO MANCINI. Cortona nel Medio Evo.

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intorno all' Arte della Lana in Cortona 1 forse niente altro o poco piú c'è da trovare, oltre le notizie che io ho tolto da lui. Cosí non è possibile neppure determinare bene il significato sia benevolo o satirico di questo verso dantesco nel sonetto a Forese, perché non si conoscono con precisione i pregi o i difetti particolari di questi copertoi cortonesi. Vedendoli tuttavia nominati in questo sonetto satirico, ci sorge il dubbio che potessero esser magari pesanti e solidi, e forse a buon mercato, ma che non dovessero poi esser troppo lodati per bellezza e finezza.

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1 Se è vero, come da taluni si vuole, che l'arte di tessere la lana e di tingerla, fosse tra gli Etruschi fiorentíssima, non sarebbe difficile che in Cortona città pelasgica e una delle prime lucumonie etrusche quest'arte fosse stata coltivata senza interruzione fino dai

tempi più antichi. Ma tralasciando di scrutare in tempi si remoti e potendo per un momento ammettere che Cecco Angiolieri fosse cortonese (se sia Cortonese o Senese deve essere dimostrato con certezza) noi potremo sospettare che altra volta Dante avesse fatto cenno all'arte della lana in Cortona. È certo che vi fu anche una specie di tenzone fra l'Angiolieri e Dante e se sono andati perduti, o sono ancora ignote le risposte di Dante, rimangono i satirici sonetti di Cecco. Ora in quello che comincia: Dante Allighier s'io son buon begolardo, al primo verso della seconda quartina troviamo: S'io cimo il panno, e tu vi freghi il cardo. Ma la prima parte di questo verso è ripetuta come già scritta da Dante contro l'Angelieri, ed è per questo che ho sospettato che Dante altre volte avesse avuto luogo di parlare dell' Arte della Lana in Cortona. Ed un altro verso ancora di questo sonetto mi piace notare: S'io son sboccato e tu poco t'affreni. Non vi può essere un'allusione ai sonetti contro Forese, che non sono meno sboccati di quelli di Cecco? È quasi certo che la tenzone di Dante con Cecco Angelieri fosse posteriore a quella con Forese, poiché dal sonetto di Cecco e Dante: Lassar vo' lo trovare de Bichina, Dante Alighieri e dir del Mariscalco, Isidoro Del Dungo viene a calcolare la data approssimativa della tenzone. Se infatti il Mariscalco del Sonetto è Messer Diego della Ratta maliscalco angioino nella Firenze dei Guelfi Neri, i sonetti apparterrebbero al primo decennio del 1300. (V. meglio Isidoro Del Lungo: Da Bonifazio ad Arrigo VII. Milano, Hoepli, 1899, pag. 414, nota 3a). Teniamo a rilevare che alle osservazioni di questa nota vogliamo dare unicamente valore di ipotesi.

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Firenze infatti, ai tempi in cui parliamo, non aveva certo bisogno che altri Comuni spedissero a lei pannilani sopraffini; l'Arte della Lana quivi ebbe uno sviluppo ammirevole sulla fine del secolo XIII e sul principio del XIV, e sappiamo dal Villani che intorno a quel tempo i panni prodotti soltanto da quest'arte erano più di 100,000. Che Cortona poi non superasse in quest'arte Firenze, lo possiamo rilevare dal permesso che avevano i panni fiorentini di entrare nel Comune. Rimane a vedersi se poi i cortonesi non fossero specialisti in far copertoi da letto pesanti e ben capaci di riparare dal freddo. Intanto Dante con le sue parole non le val merzé · ci fa sospettare che i copertoi cortonesi avessero realmente questo pregio della pesantezza e della capacità di riscaldare.,.. per lo meno nei talami non deserti; e con quel calzata ci fa credere ancora che fossero ampî ed estesi tanto da poter bene inviluppare i cuscini da una sponda e dall' altra del letto. Ma senza indagare oltre, a noi sembra di avere sufficentemente dimostrato che a spiegare l'ottavo verso di questo primo sonetto di Forese, non c'è mestieri di ricorrere a giri più o meno tortuosi, perché data l'industria fiorentissima della lana in Cortona a quei tempi, il significato del verso non può esser che questo: E a riscal darsi non le vale dormire rincalzata con una coperta cortonese, cioè con una di quelle coperte pesanti e ampie che si fabbricavano a Cortona. Cortona, 1909.

GILBERTO BRUNACCI.

1 Sull' Arte della Lana in Firenze oltre il Doren si cfr. SALVEMINI GAETANO, Magnati e Popolani in Firenze; VILLARI PASQUALE, I primi due secoli della storia di Firenze; BONOLIS GIULIO, Sull'industria dell' Arte della Lana a Firenze e la splendida conferenza di ISIDORO DEL LUNGO: Firenze artigiana nella storia e in Dante (G. C. Sansoni, Firenze, 1906) ed anche la nota dello stesso autore che chiude la pubblicazione intorno all'Agna gentile del sonetto Petrarchesco: Il successor di Carlo che la chioma.

2 Questo permesso mostra anche come le relazioni commerciali fra Firenze e Cortona fossero buone, benché l'una fosse guelfa e ghibellina l'altra. Ma per le relazioni politiche fra le due città, che, anche quando Firenze si batteva acerbamente con Arezzo, da cui Cortona in certo modo dipendeva, non divennero mai molto aspre, vedi il cit. libro del Mancini: Cortona nel Medio Evo.

DANTE PRESSO GLI ESTENSI

CONTRIBUTO ALLO STUDIO E ALLA FORTUNA DI DANTE NEL SEC. XV.

per l'opera di modesti scrittori e per la munifica liberalità dei Principi estensi, si vien preparando il terreno, che, sotto il benefico influsso del classicismo, darà più tardi l'Innamorato e il Furioso.

Il ferace risveglio intellettuale che, special- | peccavano, sognavano in latino ». In tal modo mente per l'impulso di Guarino e di Leonello, accompagnò nei suoi primi decenni il Rinascimento ferrarese, come quello di altre parti d'Italia, è dominato da un'intemperante idolatria dell'antico, che al disprezzo per il volgare e per i suoi cultori unisce spesso la derisione. Cosí, in Ferrara, nella prima metà del Quattrocento, l'italiano, relegato « nelle usanze private della Corte », lasciava libero il passo al francese, che « serviva a scopo di diletto » e al latino, che era << la lingua del culto, la lingua dei dotti, quella che usavasi nelle feste, nelle solennità, nei discorsi, nelle relazioni diplomatiche ».

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Eppure accanto alla corrente classica, che imperiosamente invadeva ogni campo letterario, non è difficile sorprendere qua e là dei ruscelletti di letteratura volgare, che, scendendo dalle tradizioni trecentesche, s'ingrossano a poco a poco sino a fondersi e confondersi colla rivale corrente nelle creazioni del Boiardo e dell' Ariosto. La protezione accordata da Niccolò, da Leonello e da Borso a scrittori volgari, i libri italiani che sempre più numerosi compaiono nei varî cataloghi della Libreria estense di quel periodo, i documenti che, strappati all'oblio degli archivi e delle biblioteche, portano sempre più viva luce sul Quattrocento ferrarese, attestano l'esistenza di questo movimento volgare, vieppiú persistente ed efficace in mezzo a quella copiosa schiera di poeti che solo «< amavano, direbbe il Carducci, odiavano,

1 G. BERTONI, La Biblioteca Estense e la coltura Ferrarese ai tempi del duca Ercole I, Torino, Loescher, 1903, pagg. 97-98.

Di questo lavorio volgare una parte notevole, principalmente per le condizioni intellettuali del tempo, e per le antipatie irriverenti degli umanisti, procede senza dubbio dall'amore e dallo studio della Commedia. Dante, vilipeso da tutti o quasi i banditori della nuova coltura, per i quali il Poema avrebbe, tutt' al piú, potuto servire di svago alle donnicciuole e ai ragazzi nelle lunghe serate invernali, entra nella Corte estense da prima tacitamente, vincendo a poco a poco da una parte il disprezzo degli umanisti, dall'altra le ostilità, latenti o no, dei Signori di Ferrara, che forse non senza rancore dovevano ricordare il Poeta che aveva trattato con poca benevolenza i loro antenati; da ultimo riesce a guadagnarsi la simpatia e l'amore di Leonello, l'ammirazione degli studiosi, che non tarderanno molto a subirne l'ispirazione.

Col fascino della sua gentilezza e del suo mecenatismo Leonello aveva raccolto intorno a sé, in un circolo accademico, i piú insigni letterati della Corte, i quali, sotto la saggia guida del Principe e di Guarino, sovente tra

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1 G. CARDUCCI, La gioventù di L. Ariosto e la poesia latina in Ferrara, nel vol. XV delle Opere, p. 37. 2 I. DEL LUNGO, Dante ne' tempi di Dante, Bologna, 1888, pp. 412-13, e T. SANDONNINI, Dante e gli Estensi, in Atti e Memorie d. Deput. di S. P. p. Modena e Parma, S. IV, t. IV, pagg. 149-181.

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