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indotto dalle stesse intuizioni fantastiche a riflessioni che ne divenivano complemento necessario. Ma per tutti la vita trovava spiegazioni fuori della vita, in sé era nulla: una esperienza di essa era incompleta, ed acquistava il suo altissimo valore nell' esperienza dell' al di là, nella visione. La scienza degli uomini, che essi possono procurarsi, con mezzi debolissimi, è ristretta. Questa loro inferiorità, dinanzi ai grandi problemi dell' essere farà sorridere di commiserazione più tardi Pascal. 1 La curiosità ceda all' ammirazione: la ricerca è presunzione, virtute e conoscenza sono agli antipodi. Che è l' uomo nella natura? Il fine delle cose, il loro principio gli sono inesorabilmente nascosti in un segreto impenetrabile. Gli son concesse conoscenze imperfette. Eppure esclama, e par, che, per bocca di lui, il Medio-evo ripeta, inesorabile, la sua condanna gli uomini temerariamente han voluto conoscere tutto, con presunzione stoltissima.

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Si sa come dotti pontefici, poeti, filosofi fossero nel Medio Evo ritenuti maghi. Le leggende di essi non sorsero forse in questo terreno di superstiziose credenze, diffidenze o preconcetti sull' indole della conoscenza, sulla portata, estensione di essa?

Ulisse aveva già dal mondo antico alcuni attributi perché fosse pensato un essere sui generis, capace d'imprese sovrumane. Dante cede ad impulsi dell'ambiente morale in cui vive, e, fondendo, nel crogiuolo della sua fantasia alta, ma medievale, elementi artistici pagani con sentimenti suoi, del suo tempo, foggia un uomo ardito che sfida l'Arcano, le leggi dell'Invisibile. Non è un essere nuovo, che faccia presentire l'uomo di scienza moderno, né un precursore, né un esploratore. Creatura del

1 « Car enfin qu'est-ce que l'homme dans la nature? Un néant à l'egard de l'infini et du néant, il tremblera dans la vue se ces merveilles; et je crois que sa curiosité de changeant en admiration, il sera plus disposé à les contempler en silence qu'à les rechercher avec présomption ». (Oeuvres complètes, I, Paris, Hachette, Pensées, p. 247).

2 « Curiosité n'est que vanité. Le plus souvent on ne veut savoir que pour en parler ». (Id., ivi).

3 GRAF, Miti, ecc. I, pp. 13 e 245. Gli esempi sono ovvi: Aristotile, Virgilio, Silvestro II, Alberto Magno, Bacone, Scotto, lo Stabili. Dante pure fu tenuto mago. (V., anche, D'OVIDIO, Studi, 114 e segg.).

l'arte, ha un linguaggio forte, affascinante, scuote gli animi, rimanendo nell'orbita delle idee medievali. Non vi è linguaggio d'arte di qualsiasi morale, di qualsiasi scienza, che non sia efficace e potente. Gli uomini del Medio-evo potevano intendere, sentire il valore dei versi danteschi, la loro dottrina, piú che noi, sviati dai nostri preconcetti. Ulisse, allorché ha compiuto l'inchiesta umana che è lecita, ha sete di scienza che non è la nostra, quella dei misteri, degli arcani: sa di andare in mondo diverso da quello visto, e noto. L'esperienza antecedente fu piena: altro vi è al di là dei riguardi, che mira a vedere, il già fatto si rimpicciolisce, nel miraggio di una speranza che sorride al suo cuore, e che spira nei petti dei compagni, preparandoli a sostener la guerra dell'insolito cammino. Nell'orazion picciola la parola esperienza suona diversamente che nell'uso moderno, ha quasi un valore piú profondo, è l'elevazione dello spirito, nella visione dell'Ignoto. Dante non può non riprovare il tentativo. Che può l'uomo non assistito dalla Grazia? Nel pensiero medievale quella riprovazione è implicita, necessaria. Se l'antichità pose sull' Uomo il Fato, non riuscí a limitarne la libertà; ma il Medio-evo, pur affermando il Libero arbitrio, sostenne solennemente l'incapacità dell' uomo, la sua debolezza. Il cattolicismo medievale non spinge ad esperienze, ad investigazioni, come noi intendiamo: altre esperienze vagheggia, il punto di mira è nell'al di là.

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Quest' Ulisse, che viaggia per conoscere non come Enea, per comando di un Nume, - che disprezza la vita, se oscura, se priva di sensazioni ricorda quasi l'antico Prometeo. Il Medio-evo, che esaltò gli eroi della Tebaide, doveva logicamente condannarlo. Noi la meta che si propose piú non intendiamo, ma sen

Il

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1 L'amor soverchio al sapere è peccato: opinione prevalente anche fra dotti che non fossero disposti da contingenze o natura a misticismo esagerato, e che, per ciò, non avessero un soverchio timore per i « molti pericoli e lacciuoli » che sono nel sapere, e non fuggissero «< ogni studio di vana scienza per starsene innocentemente ». Vite dei Santi Padri, Trieste, 1858, p. 17. Sullo scetticismo e misticismo dantesco: GENTILE, op. cit., 119-35; VoSSLER, op. cit., p. 16, 106, 122; G. SALVADORI, Sulla vita giovanile di Dante, 118 e segg.

tiamo la grandezza dell'uomo, sorta in quel contrasto fra le intenzioni del Poeta e l'arte sua stessa. Non è un contrasto che gli ponga dubbi nell'anima, la sua fede è saldissima; ma vi è per noi quando vediamo condannato come delitto il tentativo rappresentato come eroismo: il peccatore di curiosità irriverente è concepito come eroe meraviglioso. Una tal magnanimità è in questo greco audace che noi moderni, sorvolando su contingenze dei tempi, non sapremmo per noi stessi, per i nostri tempi desiderarne una maggiore. Questa virtú altamente obbiettivata, questa persistenza nel fine di un essere non men vivo di Farinata, costituisce il fascino che crea l'illusione dell'uomo moderno, cui si ha voglia di attribuire una coscienza moderna, scopi ed obbiettivi di scienza che sieno nostri, quasi nel bisogno di sentircelo piú vicino questo Ulisse suggestivo, vigoroso, che, pur medievale, quale

è, parla con nobile e fattiva eloquenza. Vero è che Dante si è compiaciuto mirarlo all'opera, e la scena e la figura si sono animate. Questa bell'anima ulissea è frutto dell'anima del Poeta, che a sue spese acquistò la scienza del cuore umano, di cui ci fa partecipi nella Commedia, cui nulla fu indifferente, che, con i miracoli della poesia, ci fa attoniti allo stosmir Z dei rami delle foreste, come alle vane faville delle lucciole, come al tremolar delle marine, - che ci lascia pensosi, con la sua esperienza degli uomini pavidi e degli orbi dell'umana famiglia, come degli intrepidi, dei sapienti e che, pur saldo nel pensiero di star contento al quia, fa che noi ascoltiamo il suo Ulisse, come già l'Omerico il canto delle Sirene.

Foggia, 1909.

UMBERTO TRIA.

L'ARCHEOLOGIA DELL'ARTE IN DANTE

L'arte è la manifestazione del bello, sotto qualunque forma esso si rappresenti, secondo le varie facoltà dell' intelligenza umana.

Una e libera in tutti gli uomini, fatta ad imagine di Dio creatore, questa intelligenza umana sarà eminentemente produttiva, e perciò saranno multiformi le sue tendenze ed estrinsecazioni, cercando essa di imitare nel campo del razionale ed artificiale la fecondità dell'azione creatrice di Dio, nell' ordine della natura. Quei versi di Dante sulla libertà umana (Par., V, 20-24):

Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fêsse creando, ed alla sua bontade
più conformato, e quel ch' ei più apprezza,
fu della volontà la libertate,

di che le creature intelligenti
e tutte e sole furo e son dotate :

contengono la ragione psicologica dell' arte. Soltanto esseri liberi ed intelligenti possono essere artisti; e libertà interna ed esterna e luce e riflesso di intelligenza saranno sempre condizioni indispensabili per il progresso dell'arte. Basti ricordare il periodo glorioso di Pericle, di Fidia e del Partenone per la Grecia, e quello delle grandi libertà italiane da Dante sino a Raffaello, per convincersi della verità di questo principio. Dal fascino e dalla forza di questa libertà intima, individuale che nessun tiranno ci può rapire, gli uomini in ogni tempo ed in ogni luogo saranno inclinati ad uno o ad un altro ramo dell'arte, saranno allettati da uno o da un altro sguardo di quella bella Sirena, alla quale i più liberi, i piú intelligenti ed i più forti possono meno resistere. Mentre la maggior parte degli arti

Al prof. AZEGLIO VALGIMIGLI.

sti coltiva l'una e l'altra aiuola nel giardino dell' arte; per sovrabbondanza di doni e di grazie naturali talvolta ingegni straordinarî, uomini di genio enciclopedico, potranno attendere liberamente a varî campi dell'arte, e palpitando in essi una personalità artistica completa e perfetta, riusciranno senza fatica a essere poeti, pittori, scultori e musici ad un tempo. Dante, Michelangelo, Leonardo da Vinci e Benvenuto Cellini sono alcuni di questi genî tra il popolo italiano.

L'origine dell' arte risale ai primi tempi della libertà ed intelligenza, ai primi giorni dell' umanità; e fu ispirata sempre dai varî sentimenti che mossero ed agitarono il cuore umano: l'amore, il dolore, il sentimento di religione, di famiglia, di patria. L'arte fu sempre preceduta dall' industria umana, che è figlia del bisogno; e l'uomo è sempre stato industrioso per necessità, nell'attesa di divenire artista per gusto. Ma appena l'uomo ha soddisfatto a tutte le esigenze più necessarie della vita, a tutti i bisogni della sua esistenza, nasce in lui, per lavorio interno e per esperienza di cose esteriori, il germe del senso estetico, e si sviluppa e perfeziona in lui il culto della bellezza. È allora che il carattere artistico si sovrappone, oppure si isola da quello dell' utilità; è allora che l'arte, prodotto dell'attività umana libera e disinteressata, incomincia a destare un sentimento, una commozione viva di ammirazione, di gioia, piacere, curiosità, terrore, amore e dolore. È allora che l'arte incomincia a mostrarsi sotto il duplice aspetto del lusso e del giuoco; è allora ch'essa diventa un fenomeno sociale; ed è allora che l' uomo incomincia a parlare

la lingua universale dell' arte, la favella piú divina e più bella che si abbia mai potuto parlare sulla terra. È un linguaggio che si evolve, si perfeziona, si muta, si ferma e progredisce, un linguaggio che tutti intendono, il vero linguaggio universale del bello, degno dell' umanità. Ciò che dice il nostro poeta del primo linguaggio parlato da Adamo (Par., XXVI, 127-132):

Ché nullo effetto mai razionabile
per lo piacere uman, che rinnovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale è ch' uom favella,
ma cosi o cosí, natura lascia

poi fare a voi, secondo che v'abbella;

vale anche per il linguaggio del bello e dell'arte, e contiene già in germe tutta la dottrina dantesca sull'evoluzione dell' arte.

Abbia origine l'arte per questa interna evoluzione di cose, sia essa intima, spontanea e locale, oppure sia essa venuta dal di fuori, da comunicazioni con altri popoli, come è il caso talvolta di alcune civiltà; nei primi crepuscoli della vita del genere umano, l'arte che ha di prevalenza un carattere utilitario, rivolto ad abbellire i proprî prodotti, e a sollevare l'animo nella semplicità dei costumi primitivi, incomincia a delineare le sue grandi divisioni. che si vengono formando a mano a mano. Nasce l'architettura, per cui l'uomo uscendo dalle caverne, suo rifugio naturale, si costruisce delle capanne ed altre case primitive per propria dimora. Nascono le prime manifestazioni della scultura, negli intagli in osso e nelle figure di animali scolpite su rupi, mentre i primi graffiti lineari incominciano già ad ornare i rozzi vasi di argilla che si introducono nell' uso domestico. E nasce allora anche la pittura, in cui l'uomo esperimenta maggiore difficoltà di rendere e riprodurre il vero col sussidio di colori; quella pittura primitiva, che è usata quasi esclusivamente quale decorazione nell'architettura e nell'arte statuaria. E nasce cosí anche l'arte della danza, che forse è il ramo d'arte più antico dell'umanità, perché non si serve di pennelli, di scarpello, o di altro istrumento, ma si vale della stessa bellezza e grazia naturale del corpo; nascono cosí anche la musica e la letteratura, che nella loro forma rudimentale sono piú antiche delle altre arti plastiche, ma nella loro

forma piú progredita, appariscono solo più tardi, e sono destinate al diletto e al piacere, al culto della divinità, a perpetuare le tradizioni e leggende della famiglia e della nazione.

Un grande passo nell' evoluzione dell'arte, è segnato in quel dí in cui l'uomo uscito dall'età « della glava » entra in quella della pietra, ed incomincia a lavorare con rozzi istrumenti quella materia dura. Allora in lui si acuisce e si sviluppa il senso del bello e dell'arte; è allora che l'uomo incomincia a lavorare stoviglie grossolane, adorne di incisioni, dando cosí principio all'arte del vasaio. È allora anche che si incontrano le prime traccie di abitazioni su palafitte, dette stazioni lacustri, o terramare. Quella civiltà ed arte antica ci sono ben note, perché migliaia di oggetti lavorati e di frantumi diversi ci sono rimasti tra la melma dei laghi. Insieme a stoviglie fatte a mano, vi si vedono apparire ascie di pietra lavorata, e talora di forma elegante; armi, utensili, orecchini, pendagli, anelli, gingilli e sculture ancóra ingenue su ossa e denti e corna d'animali. È quell' età della pietra lavorata, che vide sorgere la civiltà delle abitazioni lacustri nella Svizzera e nell'Italia, è pur quella in cui in altre parti d'Europa, nella Gallia, nell' Inghilterra, nella Scozia ed Irlanda, nella Svezia, Danimarca, Spagna e Portogallo, sorsero i < dolmen », i << menhir », ed i << cromlech ». È il periodo neolitico, dei megalitici e monolitici.

Ma un'importanza decisiva nell'evoluzione della civiltà e dell'arte, ha il passaggio dall'età della pietra all' età dei metalli. E allora che l'uomo impara a separare dalla terra i metalli, primo fra tutti l'oro per adornarsi, ed il rame per farne armi ed utensili domestici ; indi lo stagno che fuso casualmente col rame diede il bronzo, da cui prese nome a buon diritto la prima età dei metalli non preziosi ; a buon diritto, dico, perché l'età del rame fu brevissima e si lascia appena distinguere dall'ultima età della pietra. L' età più progredita del ferro chiude quella lunga civiltà dei metalli, e manifesta già una vera forma di arte nella maniera elegante degli oggetti: per es. lancie, spade, pugnali, braccialetti, vasi, monete, e negli ornamenti puramente lineari che vi ci sono incisi. Sono dentelli, triangoli, zig-zag, rettangoli, fascie punteggiate, cerchi

Una montagna v'è, che già fu lieta
d'acque e di fronde, che si chiamò Ida;
ora è diserta come cosa vieta.

Rea la scelse già per cuna fida
del suo figliuolo, e, per celarlo meglio,
quando piangea vi facea far le grida.

Dentro dal monte sta dritto un gran veglio, che tien volte le spalle inver Damiata, e Roma guarda sí come suo speglio.

La sua testa è di fin' oro formata,

e puro argento son le braccia e il petto,
poi è di rame infino alla forcata :

concentrici, e mille altre combinazioni ingegnosissime, che dimostrano l'istinto decorarativo dei vasai e artisti metallurgici di quel tempo. Ma è sempre ed esclusivamente l'ornamentazione lineare che prevale in quei lavori, come se qualche legge religiosa ereditaria, o il timore di magici malefizî, avesse vietato di rappresentare uomini od animali. Nell' Europa occidentale, dopo la splendida civiltà dell'età delle renne, del tutto scomparsa, le cose d'arte procedono cosí per molti secoli anche dopo la introduzione delle armi e degli utensili di ferro. I Galli, prima che Giulio Cesare conquistasse il paese, costruirono tutto al piú qualche figura di animale di bronzo; ed impressero alcuni tipi piú o meno informi sulle loro monete. Perché nelle Gallie ricomparisca un'arte plastica, bisognerà che i Galli. eccellenti operai metallurgici, si pongano alla scuola degli artefici romani, allievi essi medesimi degli artefici greci. Nella | interpreti moderni vorrebbero vedervi la storia

Gran Brettagna, e nella Germania fu egualmente la conquista romana ed il commercio latino che introdusse tardivamente la conoscenza dei monumenti figurati; mentre la Svezia e la Danimarca non hanno cominciato a produrre che verso la fine dell' Impero d'Occidente, mentre continuavano a fabbricare armi, ornamenti, e vasi di metallo, ornati con sorprendente varietà di motivi lineari. Tutto ciò costituisce già l'arte, perché tutto ciò è un lusso ed un giuoco; ma è un'arte incompleta, perché vi manca la imitazione della natura vivente.

A questa epoca e civiltà preistorica dei metalli, si riferiscono molti dei miti religiosi e poetici di Grecia e di Roma, cui Dante accetta ed usa copiosamente. Esempio unico e importantissimo, perché simbolico, di questa archeologia preistorica, o storia dell'arte primitiva, sarà sempre quel luogo dell' Inferno, XIV, 94-111, in cui il Poeta unendo in una sola creazione d'arte il preistorico e lo storico, l'umano e il divino, scrittura e mitologia, il profeta Daniele e Vergilio, come sommo scultore, ci darà quella statua colossale dell'isola di Creta, che ci narra plasticamente tutte le varie vicende dell' arte a traverso le età dei metalli.

In mezzo al mar siede un paese guasto,
diss' egli allora, che s'appella Creta,
sotto il cui rege fu già il mondo casto.

da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che il destro piede è terra cotta, e sta in su quel, più che in sull'altro, eretto.

Tutti gli antichi commentatori ci parlano delle quattro età dell' uomo sulla terra, tirando questo luogo di Dante a simboleggiare nello stesso tempo anche le vicende delle Monarchie Universali; mentre alcuni degli

generale dell'umanità, con allusioni politiche all'Impero ed alla Chiesa del Medioevo. Dopo lunghe ricerche, e lavoro di analisi e sintesi letteraria paziente, io credo di essere riuscito a provare che tutta quella creazione simbolica del veglio, ha e deve avere soltanto un significato artistico. È la storia della archeologia preistorica, e la storia dell'arte qual' era compresa da Vergilio e da Dante in quella statua simbolica; e non la storia della Monarchia.

La storia e le vicende di quest' ultima istituzione coincidono talvolta con la storia dell'arte e della civiltà: ma ciò è cosa secondaria, mentre lo scopo primario di Dante e di Vergilio è di dare simbolicamente la storia e le vicende dell' arte primitiva. La storia della Monarchia e della Chiesa, è già adombrata a bastanza nel sogno di Nebuchadnezzar, e il profeta Daniele ne ha già fatta la spiegazione da tanti secoli: Dante e Vergilio non poteano copiare e ripetere ciò: essi restano nel campo della Mitologia, e ci danno invece la storia dell' arte primitiva. Su questo punto importante dovremo ritornare più tardi.

Intanto basti sapere che Dante, con quella sua finzione artistica, ci descrive a suo modo le vicende dell'arte, della civiltà a traverso le età dei metalli; e che per lui, secondo la dottrina di Vergilio, e i versi sopracitati, la piú importante età è quella che corrisponde al

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