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<< Per la seconda volta il premio che la generosità del rimpianto prof. Willard Fiske destinò ad un lavoro da intitolarsi Francesco Petrarca e la Toscana, non fu potuto conferire; e il concorso di nuovo si bandisce.

<< L'opera dovrà illustrare l'argomento negli svariati suoi aspetti, molti dei quali furono additati dallo stesso donatore nell' offrire il premio :

La trattazione dovrebbe contenere ragguagli compiuti per tutto ciò che ricongiunge il Poeta, in ogni tempo e in ogni modo, alla Toscana: la famiglia sua e della madre, la dimora all' Incisa, quella del padre a Pisa, il carteggio di Messer Francesco coi reggitori della città di Firenze, le offerte che da questa gli furono fatte, i benefizii che ebbe nella città di Pisa, le relazioni sue col Boccaccio, le visite di Toscani a lui, il carteggio suo con loro, i manoscritti delle opere sue e delle lettere sue e a lui che siano stati procacciati o esemplati da Toscani, le sculture, le pitture, le medaglie, i ritratti, che si fecero in Toscana ad onore di lui o per la sua efficacia civile letteraria, artistica.

<<< Non tutto qui è detto. Cosi non è fatta parola della lingua, alla quale pure, troppo manifestamente, sarà da rivolgere l'attenzione.

<< È desiderabile che l'opera, mentre dovrà essere frutto di scienza, abbia le qualità che si domandano ad un libro destinato anche alla coltura generale.

<< Il cumulo degli interessi permette di portare il premio, originariamente di lire duemilacinquecento, a lire tremila, delle quali duemila saranno sborsate immediatamente a chi sia giudicato vincitore, e mille a stampa compiuta. E a stampa compiuta altre mille lire saranno aggiunte, se il libro si presenterà convenientemente fregiato di illustrazioni grafiche, tali da crescergli attrattiva e decoro.

« I lavori, in lingua italiana, inediti, manoscritti, oppure stampati non anteriormente al 1909, anonimi o recanti il nome dell'autore, dovranno essere indirizzati alla R. Biblioteca Medicea Laurenziana in Firenze, entro il di 31 dicembre 1912. E l'ampiezza dei termini inspira fiducia che l'effetto desiderato sarà finalmente conseguito >>.

Un monumento a Ugo Foscolo in Santa Croce.

Il Comitato per l'eterno monumento al Cantore delle Grazie e dei Sepolcri, e all' insigne commentatore di Dante, ci comunica questo programma del quarto diciamo quarto, e speriamo ultimo e definitivo

concorso.

1.o È aperto un concorso fra gli artisti italiani per un monumento sepolcrale a Ugo Foscolo nel tempio di Santa Croce in Firenze.

2. Il monumento dovrà essere collocato tra i due pilastri che sono di fronte ai monumenti di Dante e dell' Alfieri, e dovrà avere la forma di un' arca con sopra, in rilievo, la figura giacente del Poeta. I quattro lati dell' arca dovranno essere decorati con ornati e figure e contenere il nome del Poeta e queste parole dai Sepolcri:

Con questi grandi abita eterno, e l'ossa
fremono amor di patria....

3.o Il monumento potrà essere di marmo o di bronzo, ovvero di marmo e bronzo.

4. Il piano di base del monumento sarà di metri tre per un metro e mezzo.

5. Ciascun concorrente dovrà presentare, dell'intero monumento, un bozzetto in plastica di dimensioni non minori di un terzo della grandezza di esecuzione; e della figura giacente, un modello in plastica della grandezza stessa di esecuzione.

I modelli e i bozzetti che non corrispondessero a queste condizioni, saranno esclusi dal concorso. 6. Il termine utile per la presentazione dei bozzetti e dei modelli scadrà il quindici aprile 1910, alle ore quindici.

7.o I modelli e i bozzetti dovranno essere inviati, a cura e spese dei concorrenti, nel Refettorio di S. Croce in Firenze, all'indirizzo del Presidente del Comitato, e potranno essere firmati o contrassegnati da un motto. In questo secondo caso il concorrente allegherà una busta chiusa contenente il suo nome. Dei modelli e bozzetti sarà rilasciata ricevuta dal Segretario del Comitato.

8. Spirato il termine utile per la presentazione dei bozzetti e dei modelli, sarà fatta di essi, a cura della Giunta esecutiva del Comitato, una esposizione.

9.o I bozzetti e i modelli saranno custoditi con la massima cura, ma senza responsabilità alcuna, dal Comitato.

10. Innanzi la chiusura del concorso, cioè prima del quindici aprile 1910, il Comitato eleggerà una commissione composta di cinque artisti due scultori, un pittore, un architetto e uno scrittore d'arte e di due membri del Comi

tato.

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Gli artisti da eleggersi dovranno essere estranei al Comitato. Nel caso che uno dei nominati partecipasse al concorso, sarà sostituito dal Comitato anche dopo il detto termine.

Questa commissione pronunzierà il suo giudizio

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Tipografia Giuntina, diretta da L. Franceschini Firenze, Via del Sole, 4

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G. L. Passerini, direttore - Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile.

L'ALLEGORIA FONDAMENTALE DEL POEMA DI DANTE

I.

Limiti della trattazione.

«Summa sequar vestigia rerum ». De Monarchia, II, 3.

So che affronto una grave e vessata quistione. Nondimeno, rinunciando a ogni discussione, che non sia strettamente necessaria ; bandendo ogni sfoggio d' erudizione, s' anche avessi a sembrar talvolta piú ignorante che in realtà non sono della sconfinata letteratura dantesca; in ispecial modo guardandomi da esordii, digressioni, declamazioni; da tutto quello, insomma, che rende spesso interminabili e uggiosi gli studii su Dante, credo che potrò trattare con una relativa brevità l'argomento propostomi; senza riuscir, cioè, a un di quei grossi volumi, di cui già parecchi se ne contano sull'allegoria fondamentale del Poema. Accennerò, dunque, e confuterò di volo le opinioni piú comuni, che rigetto; non men di volo, accennerò quelle che accolgo; solo rafforzandole, se sarà il caso, con qualch' altro argomento; infine, su quelle ch'io propongo, o, forse meglio, che ripropongo (nulla si può dir con sicurezza che sia nuovo nell'esegesi dantesca), se pure avrò a fermarmi un po' di piú, ciò non sarà senza quella discrezione, che, nel senso di « ordine d' una cosa ad altra », è, secondo Dante, lo più bello ramo che dalla radice razionale consurga ». Forse, per il rimprovero di Beatrice a Dante nel Paradiso terrestre, parrà al lettore ch' io dimenti

1 Conv., IV, 8.

1

Giornale dantesco, anno XVII, quad. VI.

chi, e sarebbe invero troppo presto, la promessa brevità; ma io lo prego di riflettere che l'interpetrazione di quel rimprovero e quella dell'allegoria fondamentale del Poema sono in cosí intimo nesso tra loro, da potersi dire, scambievolmente, l'una riprova dell'altra; e poiché per la prima è più facile venire a una conclusione certa, occorreva fissar su di essa lo sguardo più attento; se non come su d'un principio, dal quale s'avessero a trarre le conseguenze per i varii simboli principali del Poema (ché tanto questi, quanto il rimprovero di Beatrice hanno in sé quel che basta alla lor rispettiva interpetrazione); per lo meno, come su d'un caposaldo, da doversi tener presente, senza mai contraddirvi, in tutta la restante trattazione.

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tre :

principali opinioni in proposito son 1a che Beatrice rimproveri a Dante la lussuria, di cui l' Ottimo, Pietro di Dante e il Boccaccio attestano che il Poeta non fosse immune; 2a che gli rimproveri il dubbio, la speculazione filosofica, l'orgoglio filosofico of altro di simile, succeduti alla fede viva dei primi anni; 3a che gli rimproveri, non propriamente l'essersi dato allo studio della filosofia, ma l'aver mutato, per esso, direzione, << volgendosi alle cose del mondo, ed avviandosi verso la vita attiva e civile, invece di proseguire per la contemplativa e religiosa, in cui gli occhi giovanetti di Beatrice, lo avevano già fatto assai progredire ». Esaminerò il più brevemente che sarà possibile queste tre opinioni.

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Quella di chi crede che Beatrice rimproveri a Dante la lussuria, non è accettabile : 1° perché, se mai, essa sarebbe l'interpetrazione letterale; onde mancherebbe a un passo, che certamente senso allegorico ha, l' interpetrazione dell'allegoria; 2° perché d' ogni traccia di lussuria Dante s'è purgato, meditando su di essa, nel relativo ripiano: infatti, ei non reca nel Paradiso terrestre nessuna delle sette P, già descritte sulla sua fronte; 3° perché

1 Dico le principali; onde mi dispenso dal prendere in esame altre opinioni, che delle principali son varianti; come, per esempio, quella dello Scrocca (Il peccato di Dante, ecc.. Roma, Loescher, 1900; e Nota Sul peccato di Dante, ne' Saggi danteschi dello stesso autore, Napoli, Perrella, 1908), che ritiene esser due le colpe di Dante, il costume disordinato e l'amore alla filosofia aristotelica disgiunta dalla teologia; quella dello Zappia (Studi sulla « Vita nuova » di Dante, ecc., Roma, Loescher, 1904), che, per dirla con le parole del Barbi (Bull. della Soc. dant. it., XII, 222), rimpicciolisce < la sublime scena del Paradiso terrestre sino alla volgarità di una scenetta di gelosia ; e qualche altra.

2 Cfr., per un più largo compendio di queste due opinioni e per la relativa bibliografia, Una storia della vita interiore di Dante, in COLAGROSSO, Studii di lett. ital., Verona, Tedeschi, 1892, pp. 9.51. Cfr. pure Il Canto XXXI del Purg. letto da Dino Mantovani nella sala di Dante in Orsammichele, Firenze, Sansoni, 1902.

3 Cfr. FORNACIARI, La trilogia dantesca, in Studí su Dante, Milano, Trevis ini, 1883, pp. 161-165. Con l'opinione del Fornaciari può riconnettersi quella del Barbi, benché, tenendosi sulle generali, ei non dimostri, ma soltanto enuncii che la colpa di Dante consiste nel non essersi levato su, << dietro alla sua donna non piú mortale, alle bellezze e verità eterne » (Bullet. cit.. IX, 33; e XII, 222-223).

Beatrice rimprovera a Dante d'essersi tolto a lei e dato altrui; e darsi altrui vale darsi ad altri, non già ad altra o ad altre: come la Crusca e le grammatiche insegnano, altrui non ha relazione che all' uomo ; 1 noi possiamo dunque riferire l'altri della frase equipollente, diessi ad altri, a piú nomi di persone o di cose, alcuni di genere maschile, altri di genere femminile; non già a un sol nome di persona o cosa, di genere femminile; né a piú nomi di persone o cose, tutti di genere femminile.

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Né meglio accettabile è l'opinione di chi crede che Beatrice rimproveri a Dante il dubbio, la speculazione filosofica, l'orgoglio filosofico, o che so io, succeduti alla fede viva degli anni giovanili 1° perché anche di quest'opinione la base è l'erronea interpetrazione della frase diessi altrui : « letteralmente alla donna gentile della Vita nuova (§ 39-39), e poi ad altre », scrive lo Scartazzini; 2° perché, anche ammesso che quella frase valga si dié ad altra, e che quest' altra sia la donna gentile della Vita nuova; costei è bensí la Filosofia, non già l'orgoglio filosofico, né il dubbio in materia di fede; 3° perché la speculazione, l'orgoglio filosofico, il dubbio in materia di fede non sono affatto la stessa cosa: ora, la speculazione filosofica non è colpa, quindi non è da rimproverare; l'orgoglio filosofico e il dubbio nelle cose della fede son peccati; e di peccati non si può parlare, non dirò nel Paradiso terrestre, ma nemmeno ne' sette ripiani;

1 Ciò è confermato dal costante uso dantesco. Un sol caso parrebbe, a prima vista, fare eccezione; quando, a proposito di Mirra (Inf., XXX, 41), Dante scrive: << falsificando sé in altrui forma »; ma chi ben consideri vedrà che anche qui Dante non dice che Mirra prese forma d'altra giovine donna: dice forma d'altri, lasciando indeterminato l'inganno da lei fatto al padre; forse per quel pudore che, una volta, ai buoni scrittori, non permetteva d'accennar troppo apertamente a fatti turpissimi: siccome dice Tullio nel primo degli Ufficii, nullo atto è laido, che non sia laido quello nominare; e poi lo pudico e nobile uomo mai non parlò sí, che a una donna non fossero oneste le sue parole. Ahi! quanto sta male a ciascuno uomo, che onore vada cercando, menzionare cose che nella bocca d'ogni donna stia male! » (Conv., IV, 25). Che se noi interpetriamo quell' altrui forma per forma d'altra, ciò facciamo per gli altrui versi, non per quello di Dante.

2 Commento lips., nota al v. 126 del Canto XXX del Purg.

4o perché l'orgoglio, sia pure il filosofico, e il dubbio in materia di fede hanno origine dalla superbia: invece, quando Beatrice domandò a Dante, come degnasti d'accedere al monte?», gli Angeli, che risposero per lui, cantarono i versetti, 1-9 del Salmo XXX, che comincia << In te, Domine, speravi »; cantarono dunque anche l'ottavo versetto, « Quoniam respexisti❘ humilitatem meam : salvasti de necessitatibus animam meam »; vale a dire, esclusero che in Dante fosse superbia; 5° perché di dubbii intorno alla fede non è traccia alcuna nelle opere di Dante.

«

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La migliore interpetrazione del rimprovero di Beatrice a Dante è la terza: anch' essa però non è senza lati deboli, e perché fondata anch'essa sull' erronea interpetrazione della frase diessi altrui; e perché non alla vita attiva in genere conduce la filosofia (son le passioni, invece, che vi conducono), ma alla felicità o beatitudine della vita attiva, che consiste nelle operazioni delle morali virtú », e che sarà imperfetta », mentre è « quasi perfetta >> la felicità o beatitudine della vita contemplativa, che consiste nell'operazioni delle virtú intellettuali »; ma è pure l'una delle due « vie spedite e direttissime a menare alla somma beatitudine, la quale qui non si puote avere ». Giustissimo però è il fondo di questa terza interpetrazione; cioè, che Beatrice rimproveri a Dante di non aver proseguito nella via della contemplazione, a cui era stato da lei cosí bene iniziato. Che se anche questa parte giustissima non ha fatto fortuna, ciò fu, innanzi tutto, io credo, per quella falsa base, che la Filosofia guidi alla vita attiva (per l'erronea interpetrazione della frase diessi altrui, no, di certo; chè sull' interpetrazione letterale di quella frase nessuno, finora, par che abbia discusso); in secondo luogo, non solo perché il Fornaciari propose, o meglio ripropose quell' interpetrazione incidentalmente, trattando del nesso tra la Vita nuova, il Convivio e la Commedia; ma anche perché né la confortò di tali argomenti che valessero a farla trionfare almeno nella sua parte giusta; né poté metterla d'accordo con la struttura morale del Purgatorio dantesco, per la semplice ragione che né lui, né

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1 Conv., IV, 22.

2 Cfr. il Commento del Landino.

altri, allora, avevano della struttura morale del « secondo regno » un preciso concetto; e specialmente non avrebbero saputo dire in che relazione stésse, col Purgatorio vero e proprio, il Paradiso terrestre: infine, non ha fatto fortuna, perché forse è sembrato che non s'accordasse perfettamente con l'allegoria fondamentale del Poema. Quel che il Fornaciari non fece, credo, modestia a parte, di potere far io dare al fondo giusto di questa terza interpetrazione una base piú solida; confortarla d'argomenti, che mi sembrano di qualche peso; infine, metterla d'accordo con la struttura morale del Purgatorio dantesco; per modo che non ci sia più luogo a meravigliarsi che nel Paradiso terrestre, e non altrove, debba Dante pentirsi di ciò che Beatrice gli rimprovera. Quanto poi questa terza interpetrazione, quale io la ripresenterò, s' accordi con l'allegoria fondamentale del Poema, anch' essa, ben inteso, quale da me sarà prospettata; il lettore vedrà da sé, ne' successivi capitoli di questo mio studio.

Ho già detto che il senso letterale della frase diessi altrui è diessi ad altri. Or quest'altri chi saranno? tra i varii nomi di genere maschile e femminile, a cui quest'altri può riferirsi, c'è posto per la donna gentile? Come Dante stesso vagamente accenna, poco prima del verso su cui discutiamo; e come dice più chiaro ne' versi 22-24 del seguente Canto XXXI del Purgatorio, Beatrice, in vita, menava Dante alla vita contemplativa; se, dopo la morte di lei, Dante si tolse a Beatrice, dandosi ad altri, è logico concludere che quest' altri (amici, parenti, magari qualche pargoletta, sempre però amata di purissimo amore 1, lo menarono alla vita attiva infatti, Beatrice stessa gli rimprovera d'aver seguite false imagini di bene, di cui, certo, è gran copia nella vita attiva. Dunque, nel rimprovero di Beatrice a Dante, né la donna gentile nè la Filosofia c'entrano per nulla non la donna gentile, ché Beatrice non avrebbe avuto ragion sufficiente di rimprove

Se cosí non fosse, le tre virtú teologali della mistica processione, alle quali, naturalmente, non meno che all'anime beate, s' ha da creder «come a Dii », non avrebbero potuto, poco dopo del rimprovero di Beatrice, chiamar Dante il fedele di lei. S' intende che io qui interpetro il testo, senza entrar menomamente nel campo della maggiore o minor corrispondenza tra l'opera d'arte e la vita di Dante.

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