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Ad ogni modo, questo punto merita tutta l'attenzione degli studiosi, i quali vi potranno dedicar maggior tempo e pazienza, che io ora non possa. Solo risorge spontanea, e in altra forma, l'obbiezione che io feci al Pellegrini. Poiché il Quarta riconosce che il collazionatore ebbe innanzi, non una copia, ma gli abbozzi originali dei sonetti, chiunque ne fosse l'autore, come si spiega che un collazionatore cosí diligente (come il Quarta stesso lo dice) mescolasse col Canzoniere, e in una raccolta di rime estravaganti ma autentiche del P., degli abbozzi, che egli stesso dovea veder chiaramente non esser del P.? E ciò fece, non solo senza alcuna indicazione in contrario, ma non distaccando neppure di un millimetro di piú l'ultimo sonetto dalla prima ballata? Conchiudendo: poiché il Quarta ha fatto alla mia interpretazione delle gravi censure, ho sentito il bisogno di difenderla e giustificarla, chiarendo il mio pensiero. Ma io sono dispostissimo ad abbandonarla, quando gli studiosi avranno discusse e accettate le nuove osservazioni del Quarta, e nello stesso tempo sarà sostituita alla mia (che in sostanza è quella degli editori ripresa e rafforzata) una interpretazione, che chiarisca tutti i punti oscuri della quistione, senza urtare in gravi ostacoli.

Per ora, finché nuovi argomenti non verranno a portar luce, possiamo dire soltanto. che nella pergamena A è un gruppo di rime scritte dal P. nel 1350 a posta di un tal Confortino, celebre musicista amico del P. e da lui molto stimato. A tal proposito, ringrazio il Quarta della lode, che mi fa, per aver risoluto quest' enimma; ma lo ringrazio ancor piú, per aver detto che parte del merito spetta al Solerti; perché cosí mi dà il piacere di rendere il dovuto merito alla memoria del

1 Pel son. L'oro e le perle, oltre i due estravaganti citati nella Poscritta, cf. anche l'altro a Sennuccio del Bene (SOLERTI Rime disperse ecc. di F. P., p. 113), in cui è anche un esempio di soggetto plurale con verbo singolare,

povero amico, che, vivo, non mi avrebbe permesso di aggiungere un'altra parola alla nota, che dedicai alla sua cortesia e al suo affetto verso di me. Ora, che mi si porge l'occasione, sento il bisogno di dichiarare che la maggior parte del merito spetta al caro estinto. Il fatto andò cosí. Io ebbi il piacere di averlo qui, nel 1905, in missione per parecchi mesi: e, stando insieme, ei mi parlava della raccolta intrapresa delle estravaganti del P., promettendomi, appena ritornato in residenza e messo in ordine il materiale raccolto, di mandarmelo per farmelo consultare. Infatti, ritornato a Massa, nei primi del 1906, ordinando il materiale, mi scrisse che da un sonetto del Vannozzo era saltato fuori Confortino. E mi mandò copia del sonetto, aggiungendomi che altri lo lo conoscevano, ma che non se n'era cavato nulla, quanto al significato. Ora, qui comincia il mio merito, se ne ho perché appena letto il sonetto, me ne balenò chiarissima la spiegazione; e la scrissi all'amico, che la trovò felicissima e mi incoraggiò a scriver lo studio, che il povero amico ebbe negli ultimi giorni del 1906, ma che non poté leggere, per l'aggravarsi del male, che dopo pochi giorni lo uccise!

Dunque, diano gli studiosi la parte del merito al Solerti, lasciando a me solo quella dell'interpretazione del sonetto.

Ma il Quarta, dopo tal lode, mi rimprovera di aver voluto per forza identificare questo Confortino con Floriano da Rimini: e questo per lui sarebbe « la solita smania d'identificare ogni persona ignota che venga fuori da un testo antico, con altre persone note di quel tempo; quella smania ch'è segno di un critica ancora bambina ». Ora il prof. Quarta mi scusi, ma il suo rimprovero è ingiusto: veggano i lettori se ho ragione. Dopo di aver dimostrato che Confortino non possa essere altro che un musicista, soggiungevo (28): « Ma chi sarà stato questo Confortino? Qui si entra in un campo di mere ipotesi; ma perché non costa nulla metterne fuori qualcuna, come nulla costa il rigettarla, mi si permetta di esporre una mia congettura, con tutto il riserbo possibile». E, dopo di aver rilevato alcune concordanze fra le lettere del P. su Floriano, e il son. del Vannozzo su Confortino (che io sospettai potesse essere il nome artistico, non il nome proprio), conchiudevo che, non am

mettendo questa ipotesi, si deve esser paghi a concludere che Confortino fosse un musicista. Era, dunque, la mia una congettura, che io stesso mettevo innanzi con tutto il riserbo possibile senza fondarmi su di essa per la conclusione. Dunque, anche il riserbo e la prudenza nell'esporre una congettura sono segno di critica bambina? 1

Finalmente, anche nella questione intorno ai sentimenti, che sarebbero espressi nelle nuove rime (che il Quarta ristringe alle tre ballate), egli, dopo di aver respinto l'ipotesi del Cesareo, continua: «...checché ne paia al Proto, si tratta sempre di una donna viva. Il Proto sostiene invece che il poeta, richiesto da Confortino di alquante rime da musicare, compose i sonetti e le ballate di vecchi suoi sentimenti, che avevan già trovato piú volte espressione nelle rime scritte prima di essi ; e particolarmente, quanto alle ballate, nelle prime due avremmo ripresentati sentimenti già provati ed espressi per Laura viva; nella terza, sentimenti più recenti per Laura morta ». E si occupa a distrugger questo mio errore. Ora, a me sembra che qui ci sia un equivoco. Io, dunque, dopo aver esaminati i sonetti e le prime due ballate, in relazione alle altre rime petrarchesche, per concluderne che la composizione del P,. fatta a freddo, a posta di Confortino, non era riuscita, se non una rifrittura di altri concetti del Canzoniere; venendo all'ultima ballata, mi occupavo della spiegazione ad essa data dal Sicardi (che si trattasse di Laura morta), la quale io era disposto prima ad accettare, sempre col confronto di luoghi dello stesso Canzoniere. Ma soggiungevo (46) che non si potea piú sostener la stessa interpretazione, perché la ballata risultava composta insieme ad altri componimenti di natura amorosa cosí evidente, scritti a richiesta di Confortino. E dopo molti raffronti con altri luoghi del Canzoniere, che trattano di Laura viva, concludevo che la ballata tratta dell' amore ideale per una donna viva, immaginaria.

1 Cfr. ora la spiegazione del dott. Levi, il quale identifica appunto Confortino con l'italico Orfeo della Senile XI, 5: ma ne fa una persona con lo stesso Vannozzo.

Come si vede, il Quarta era con me d'accordo e credeva, invece, di non esserlo! L'unico dissenso è in ciò, che egli crede le tre ballate scritte non solo a posta da Confortino, ma su tema e, forse anche, su schema dati; mentre io credo i sonetti e le ballate scritti a posta di Confortino, ma con libertà di pensieri. Ora io non riesco a capire come i sentimenti espressi nelle ballate non abbiano punto che vedere coi veri sentimenti del P., quando io sono stato cosí largo di raffronti con tanti luoghi delle rime petrarchesche e lo stesso Quarta lo ammette in qualche modo per l'ultima ballata. Né io volevo che fossero in quelle rime qualcosa di più che riecheggiamenti di vecchie note, reminiscenze di vecchie idee, a cui ogni poeta, ancorché grande, non può sottrarsi, componendo a freddo. Né credo possibile l'ammettere un solo tema nelle tre ballate: lo stretto legame fra la seconda e la terza, modestamente, ricordo di averlo rilevato anch'io (43); ma come un progresso ideale di sentimenti dall' una all'altra. Con le quali, a mio modo di vedere, non ha che fare la prima, che a me sembra una mediocre ripetizione di concetti vecchissimi, qualcuno ripetuto anche nei sonetti precedenti. E forse potrebbe sospettarsi che questa fosse la ragione dell' ordine retrogrado della trascrizione, per esprimere una progressione ascendente all'idealizzazione dell' amore, seguendo naturalmente lo stesso processo di ordinamento psicologico, che prevalse al cronologico nell'ordinamento del Canzoniere. Dico questo di passaggio e con tutto il riserbo possibile.

Mi preme conchiudere, che, con un po' di buona volontà, salvo quel tema dato da Confortino, potremmo andar d'accordo col Quarta intorno alla espressione dei sentimenti delle ballate, non scritte per una donna realmente amata, ma per incarico d'altri e quindi riecheggiando, a freddo, vecchie note amorose. E forse, appunto per questo, a quelle rime il P. non tenne molto, tanto che, mentre lo potea facilmente, come rileva il Quarta, non le accolse nella raccolta compiuta delle Rime. Atrani, luglio 1908.

ENRICO PROTO.

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ALCUNE IDEE DEL PARODI SUL PARADISO,, DI DANTE

Nel Bullettino della Società dantesca itaiana, 1 esaminando un libro del Ronzoni, 2 il Parodi accoglie alcune idee del Ronzoni stesso sul Paradiso di Dante, ed altre n'aggiunge di sue: stante l'autorità del Bullettino e del suo Direttore, mette conto di prendere in esame e le une e le altre; tanto piú che il Parodi stesso, pur ritenendo che le quistioni sulla struttura morale dell' Inferno non son tali « da giustificare quel troppo largo posto che hanno usurpato negli studî danteschi », riconosce che quelle sul criterio ordinativo de' beati nelle sfere e sulla corrispondenza tra le sfere e la candida rosa, son « davvero importanti ».

Il Ronzoni crede che tra il Paradiso delle sfere e l'Empireo non ci possano essere corrispondenze; e il Parodi dichiara che egli non vede neppur bene come si possa pensare diversamente: « Non è Dante stesso che ci avverte di aver disposto in quel modo le anime pei varii corpi celesti, perché non credeva di poter procedere a tale esposizione e dimostrazione lassú nell'Empireo? Se cosí parlar conviensi al nostro ingegno, sarebbe singolare che Dante poi si contradicesse, lasciando capire che l'ordinamento dell' Empireo fu da lui trovato identico a quello delle sfere, e che, cioè, volendo, egli avrebbe potuto fare la sua esposizione dimostrativa anche lassú ». A me non pare che Dante ci avverta di aver disposto in quel modo le anime per le varie sfere, perché non poteva

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1 XV, pagg. 182-201.

2 I fondamenti dell'ordinamento morale della « Divina Commedia », ed una variante del Canto IV del Paradiso. Milano-Monza, Tip. edit. Artigianelli, 1906.

far tale esposizione e dimostrazione nell'Empireo. Beatrice ammonisce :

Cosi parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende quel che fa poscia d'intelletto degno; vale a dire: tutto ciò che l'uomo apprende, lo apprende prima col senso e poi con l'intelletto: conviene perciò che tu, o Dante, apprenda ora da sensato che queste anime. relegate nella Luna hanno l'infimo grado di beatitudine: con l'intelletto, lo apprenderai poi. Naturalmente, il resto, Dante deve sottintenderlo da sé, vale a dire: apprenderai pure, prima da sensato e poscia con l'intelletto, che le anime di Mercurio sono nel secondo grado della beatitudine, quelle di Venere nel terzo, e cosí via. E infatti, nelle

prime sette sfere (primo cielo) Dante sperimenta la visione corporale del Paradiso, che avviene mercé il senso; nell' Empireo (terzo cielo), la visione intellettuale 1. Non c'è dunque ombra di contradizione se Dante non solo ci fa capire d'aver trovato che l'ordinamento delle anime nell'Empireo era identico a quel delle sfere, e che, per conseguenza, anche lassú avrebbe potuto fare quella dimostrazione; ma se realmente, anche nell' Empireo, quella dimostrazione ei la fa. Quando, nella rosa, san Bernardo gli dice: « guarda i cerchi fino al piú remoto », ove siede la regina del cielo; guarda, sotto a lei, Eva; sotto ad Eva, Rachele e Beatrice; e più sotto ancóra, Sara nel quarto grado, Rebecca nel quinto, Giuditta nel sesto, Ruth nel settimo;

1 Cfr. i miei Studii su Dante Città di Castello, Lapi, 1908, pagg. 154-156.

che fa san Bernardo, se non una dimostrazione della struttura dell'Empireo, perfettamente identica a quella che, nella Luna, Beatrice avea fatta della struttura delle sfere? in queste, il minor merito appare nella sfera più bassa, insegna Beatrice; e Dante intende da sé quel che si riferisce alle sfere superiori: nella rosa, gl'insegna san Bernardo, il merito maggiore, che indiscutibilmente è quello della regina del cielo, è nel cerchio più remoto; ed anche qui Dante intende da sé quel che si riferisce ai cerchi inferiori. Ma il criterio col quale è misurato il merito nelle sfere e nella rosa? Identico: di questo, però, tace san Bernardo, nella sicurezza che Dante, come ha studiato il carattere de' personaggi apparsigli nelle sfere, cosí studierà quello dei personaggi già ricordati per la rosa, non che degli altri quattro, nominati per l'altra cerna, e di quegli altri pochi, menzionati per il primo grado 1.

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È vero: nell' Empireo, non c'è più traccia de' nove cerchi di foco concentrici, apparsi a Dante nel primo mobile; ma gli angeli tutti son là, ciascun distinto di fulgore e d'arte ». E se volano fino a Dio, ch'è molto più su de' beati; non son essi i più vicini al soggiorno del loro amore, proprio come il primo mobile, in cui a Dante erano già apparsi, è la più alta delle sfere giranti?

<< Io non so come si possa confrontare insieme l'ordinamento degli spiriti nelle sfere secondo le perfezioni o gli stati di vita, con quello della Rosa, dove sono divisi in cristiani ed ebrei, adulti e bambini; o come si possa tentar di mettere in equazione, per cosi dire, le poche sfere con le più di mille soglie del mistico fiore. Né Dante ha detto una sola parola allusiva a questo come, anzi sembra che abbia fatto il possibile per evitare che noi ci pensassimo». La candida rosa è divisa in cristiani ed ebrei, adulti e bambini: verissimo. Ma, oltre queste due divisioni, ci sono i gradi,

1 Cfr. i citati miei Studii, pagg. 160-168.

Giornale dantesco, anno XVII, quad. I-II.

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dal primo ove siede Maria, al settimo ove siede Ruth; e poi quelli che parimenti dirimono Ebree, riservati ai bambini: a che questi gradi, se non a indicare una scala di perfezioni, come nelle sfere? In quanto alle più di mille soglie, io ho già dimostrato altrove 1 che in quella frase si tratta di seggi, non di gradi; e che sette, non piú, sono i gradi della metà superiore della rosa; e in quanto al non aver Dante mai alluso esplicitamente al modo di mettere in equazione il Paradiso delle sfere e quel della rosa, si dimentica che Dante è un poeta; e che i poeti, (come c'insegna il Boccaccio 2, non solo non isvelano le cose coperte sotto velami, ma con ogn' industria le difendono dagli occhi de' mal dotti.

<< Non che si debba pensare a due Paradisi, uno pratico, l'altro reale... Si corrispondono, ma l'uno possiamo intenderlo e classificarlo razionalmente; l'altro no. » - Prendo atto della concessione, che nelle grandi linee si corrispondono: quanto al resto, s'abbia, innanzi tutto, il coraggio di rinunziare ai più di mille gradini della rosa e alla comune classificazione de' beati delle sfere; si studii poi quel che san Bernardo tacque, il carattere cioè dei personaggi delle sfere e della rosa; e si vedrà che una classificazione razionale unica è possibilissima per i due Paradisi, in quanto che ne' personaggi della rosa e in quelli delle sfere corrispondenti si riscontra lo stesso, preciso grado di merito.

«

È teologia troppo ragionevole perché non vi si acconsenta súbito, quella in cui nome protesta il Ronzoni contro la possibilità di applicare all'Empireo un rigido schema di virtú o di stati di vita. Secondo la teologia - egli osserva - non si danno queste classi o categorie nel regno della gloria ». E sia: ma dunque è un trattato di teologia il poema sacro; non visione, sia pure d'un poeta teologo?

una

« Un' anima contemplativa » (sono ancora parole del Ronzoni, alle quali il Parodi fa plauso)« può in cielo trovarsi confusa cogli altri spiriti sapienti, amanti ed anche difettivi, e può anche godere un minor grado di felicità. Basterebbe che l'anima datasi alla contemplazione si fosse arricchita di grazie e di meriti meno di altre anime, che abbracciarono

1 Cfr. i citati miei Studii, pagg. 581-585.

2 De genealogia Deorum, XIV, 11.

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generi di vita meno perfetta. » - Ma quando si tratta d'anime beate, non può trattarsi che d'anime o state perfette nel lor genere di vita, o, mercé le pene del Purgatorio, liberate d'ogn' imperfezione: non è quindi possibile che, in Paradiso, un' anima contemplativa si trovi, per non essere stata perfetta nella contemplazione, confusa con altre anime, perfette in un genere di vita degno d'un minor grado di beatitudine. Tanto meno poi è possibile che un' anima non perfetta nella contemplazione si trovi confusa con le anime dei sapienti; ché la sapienza è più alto dono che non l'intelletto, da cui la contemplazione s' origina. E non parlo degli spiriti difettivi; ché, se ogni dove in cielo è Paradiso », spiriti difettivi, nel senso proprio della parola, non esistono in cielo.

Tornando al Parodi, « lo schema secondo le Virtú, rimane offuscato nell' ordinamento affatto individuale dell' Empireo, ma non distrutto. » Ma io capirei che fosse l' inverso, cioè che un qualsiasi ordinamento de' beati apparisse foscamente su per le sfere mobili, e si schiarisse poi nell' Empireo; che il senso apprendesse in parte quel che poi apprende in pieno l'intelletto; ma non capisco che possa offuscarsi all'intelletto ciò ch'è apparso chiaro al senso. E il vero è che Dante vede, distribuite per le varie sfere mobili, in più o meno alta sfera, le anime beate; e nella candida rosa vede le stesse anime beate, in píú o men alti gradi, corrispondenti a ciascuna sfera; del che non possiam dubitare, se Dante stesso ci avverte d'aver rivisti nel primo grado della rosa ben quattro spiriti (la Vergine, Adamo, san Pietro e san Giovanni evangelista), che già gli erano apparsi nella più alta delle sfere destinate alla men nobile delle due milizie di Paradiso: col lor farsi rivedere in quel grado, questi quattro beati son come i rappresentanti di tutti gli altri; dimostrano, cioè, non solo che quelli apparsi nelle stelle fisse si rivedono nel primo grado della rosa, ma anche che quelli apparsi in Saturno si rivedono nel secondo; quelli di Giove, nel terzo, e cosí via. Ma la differenza tra quel che Dante vede nelle sfere e quel che vede nell'Empireo sta in ciò, che nelle sfere vede i beati, ma non vede Dio; nell' Empireo, vede Dio; onde < nel profondo dell' eterna luce », ove <s' interna legato con amore in un vo

lume quanto per l'universo si squaderna, sustanzia ed accidenti e lor costume », può non solo misurar la distanza tra Dio e ciascun grado della rosa; ma può vedere il criterio (l'eterna legge) con cui la maggiore o minor beatitudine è stabilita. Veramente, questo criterio ei l'aveva già appreso da Beatrice, nella Luna: per sentir piú e men l'eterno spiro 1; ma nell'Empireo ne vede l'applicazione con la certezza di chi rimira « nel Vero in che si queta ogn' intelletto ». In quanto ai versi,

qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno della celestial ch'ha men salita,

dai quali versi massimamente siam tratti ad argomentare la perfetta corrispondenza tra il Paradiso delle sfere e quel dell'Empireo, il Ronzoni se ne disimpaccia (e al Parodi la sua conclusione « sembra sicura e di grande vantaggio per l'esegesi del Paradiso ») sforzandosi di dimostrare che la lezione çelestial è errata, e che la vera è spiritual. E il Parodi riassume cosí le obiezioni principali che possono muoversi alla lezione celestial.

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1a « Si può dire spera celestial per determinare uno dei semicircoli della Rosa? Forse no; ma tiriamo via ». No, no; non tiriamo via; discutiamola, invece. Senza forse, il semicircolo non può dirsi spera; ma l'intero circolo, sí. Or Beatrice non alludeva solamente ai semicircoli de' credenti in Cristo venuto; ché beati son tutti, e i credenti in Cristo venuto, degli uni; e uni; e i credenti in Cristo venturo, degli altri; ma certo alludeva ai circoli interi della rosa.

2 Beatrice chiama il grado paradisiaco di Piccarda il più basso, di minor salita; ma ancóra più basso non stanno forse almeno gl'infanti? >> Nel Paradiso delle sfere Dante ci mostra alcuni spiriti che non adempirono ai loro voti, ma non ci parla d'infanti; nel Paradiso dell'Empireo, invece, ci parla d'infanti, ma non fa motto degli spiriti che non adempirono ai loro voti. Come dunque possiam dire che, se il Paradiso delle sfere corrispondesse a quel dell' Empireo, gl'infanti dovrebbero, nelle sfere, star sotto a Piccarda e a Costanza? Poiché de' sette gradi della rosa, da quel di Maria a quello di Ruth,

1 Cfr. i citati miei Studii, pagg. 456-460.

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