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nessuno corrisponde a quel della Luna; non è più logico supporre che, se gl' infanti fossero apparsi a Dante nelle sfere, essi gli sarebbero apparsi nella Luna; e se nell'Empireo egli avesse creduto di menzionar Piccarda e Costanza, ei le avrebbe menzionate come aventi il loro scanno nella metà infe

riore della rosa? Con gli spiriti assolti prima ch'avesser vere elezioni non starebbero, alla fine, tanto male quelle anime che non ebbero intero il volere. Oltre di che, anche nel Limbo non ci sono infanti, femmine e viri? non ci son gradi anche nella metà inferiore della rosa, se anche in questa metà succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome?

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3 Se Dante interpetra che nell' Empireo ci sono i medesimi gradi di minore o di maggior salita, non penserà forse dico Dante, ma naturalmente intendo del lettore - che dunque dovrebbe esser possibile osservarli anche lassú ? » E non ve li osserva forse, quando mena « gli occhi per li gradi, mo su, mo giú, e mo ricirculando?» E san Bernardo non gli dice poi che questi gradi son sette, quanti appunto ne formano le sfere, ove appaiono i beati della Chiesa militante, cioè dalla sfera di Mercurio a quella delle stelle fisse, comprese? Poiché dal novero delle sfere, che alla Chiesa militante son destinate, è naturale che debbano escludersi il primo mobile, ove appare l' altra milizia di Paradiso, gli angeli; e la Luna, ch'è una specie d'Antiparadiso, come una specie d'Antiparadiso è la parte inferiore della rosa riservata ai bambini, nella quale è molto probabile, se anche non certo, che la sfera della Luna abbia la sua corrispondenza. Ma già, noi ci ostiniamo a interpetrare le più di mille soglie per più di mille gradini; ed allora, è naturale che non possiamo prestar fede ai sette gradi di san Bernardo.

« Ma gli argomenti principali » contro la lezione spera celestial « si deducono da quello che s'è già detto intorno alle differenze tra le sfere e la Rosa. Se l'ordinamento della Rosa non corrisponde a quello delle sfere, l'apparizione dei beati in queste non può far segno di maggiore beatitudine in quella, se non proprio per le poche anime vedute, non già per tutte le altre che abbiano avuto con loro comune quella speciale virtú, quello stato di vita ». Non avendo accettata la premessa, potrei

dispensarmi dal confutare la conseguenza : dirò nondimeno che questa sarebbe contraria al sistema di Dante; poiché in tutt'e tre i suoi regni Dante ci mostra alcuni personaggi, quali rappresentanti d' un'intera categoria; e quel che dice de' rappresentanti vuol sempre che s'intenda di tutta la categoria da essi rappresentata.

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<< I gradi delle sfere, che son destinate a significare il valore astratto e relativo di certe perfezioni, piuttosto che il merito individuale di certe anime, non possono esser segno dei gradi della Rosa, dove il premio deve essere ed è essenzialmente personale ». Ma è un'asserzione affatto gratuita che i gradi delle sfere sien destinati a significare il valore astratto e relativo di certe perfezioni noi vediamo premiati nelle sfere alcune anime che in uno stato di vita, nell'esercizio d'una virtú raggiunsero la perfezione; non è dunque il merito personale (la mercede, direbbe Dante) che noi vediam premiato nelle sfere?

Dei codici e dell' edizioni, che recano la lezione spera spiritual, non parlo: ne giudichi, se crede, il Vandelli, che, nella quinta edizione del Commento milanese dello Scartazzini, conserva la lezione spera celestial. E vengo al significato di spera spirituale.

<< Dante col nome di spera spiritual avrebbe inteso gli stati spirituali. Le anime dunque si mostrarono a Dante nella Luna, per far segno ch'esse si erano arrestate al primo o piú basso gradino della scala della perfezione, quale gli uomini possono proporsela in terra.., in fondo verrebbe quasi a dirci che anch'egli ha costruita una delle tante scale spirituali.... Come dice bene il Ronzoni, egli imaginò a somiglianza dei cieli roteanti nello spazio, altre sfere roteanti nei campi dello spirito, diverse fra loro per bellezza e preziosità. » — Innanzi tutto, la parola spera non risveglia di per sé l'idea di gradino; ma solo la risveglia se si tratta di più spere concentriche, come sono, nel sistema Tolemaico, le sfere celesti. In secondo luogo, anche ammesso che spera spirituale, senz'altro, possa risvegliar l'idea di gradino; queste sfere roteanti nei campi dello spirito che razza di metafora sarebbero? Ma gli stati spirituali sono stati detti perfino ali di serafino! E che monta? non Dante gli ha detti cosi. In terzo luogo, poi

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ché questa scala della perfezione » si riferirebbe alla vita terrena dell' anime beate, non si sarebbe dovuto dire ebbe men salita, anzi che ha? Il Parodi stesso, infatti, scrive che le anime si mostrarono a Dante nella Luna, per far segno che s'erano arrestate al più basso gradino, nella scala della perfezione terrena.

Non si può dunque dir davvero, come conclude il Parodi, che l'allusione alla mistica rosa, contenuta ne' versi 38 e 39 del Canto IV del Paradiso, sia scomparsa,

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con essa una delle maggiori tentazioni dei commentatori a foggiarsela secondo il loro piacere direi piuttosto che, non essendo punto accettabile la lezione spera spiritual, resta intatta, con l'altra, l'incomoda allusione, e con essa un freno ai commentatori nel foggiarsi a lor piacere l'ordinamento dei beati nelle sfere. Poiché a questo l'ordinamento dei beati nella rosa deve far da riprova; vale a dire, non saremo mai sicuri d' aver trovato il vero ordinamento de' beati nelle sfere, se non quando esso si convenga con l'ordinamento de' beati nella rosa.

Il Parodi passa a difendere dagli attacchi del Ronzoni l'ordinamento astrologico delle sfere, e conclude che « i due criterii astrologico e morale si fondono perfettamente insieme, e che il sistema escogitato da Dante >> (cioè dal Parodi) « ha grandi meriti di semplicità e coerenza. » Trascurando l'ormai vecchio sistema astrologico, esaminerò i meriti di questo nuovo sistema morale,

Dante avrebbe divisi gli spiriti beati in attivi e contemplativi, e gli attivi avrebbe suddivisi in quelli che seguirono una vita attiva inferiore o voluttuosa o mondana, e in quelli che seguirono la vita attiva, diciamo cosí, superiore: avrebbe dunque assegnati al 2° e al 3° pianeta, cioè a Mercurio e a Venere, gli spiriti che seguirono la vita attiva inferiore; al 5° e al 6o pianeta, cioè a Marte e a Giove, gli spiriti che seguirono la vita attiva superiore; al 4° e al 7° pianeta, cioè al Sole e a Saturno, gli spiriti contemplativi; infine, al 1° pianeta, cioè alla Luna, gli spiriti non soltanto negligenti, ma incerti e sospesi tra i due diversi modi di vita. E su questa intelaiatura, come il Parodi la chiama, avrebbe Dante costruito « un sistema compiuto di perfezioni, unendo insieme le virtú

intellettuali e le cardinali », e rappresentando nel cielo di Saturno la sapienza, in quello del Sole la scienza, in quel di Giove la giustizia, in quel di Marte la fortezza e in quelli di Mercurio e Venere la temperanza: il cielo della Luna starebbe da sé.

Non parlo degli spiriti negligenti, ché non c'è posto per essi in Paradiso: ma anche la distinzione della vita attiva, in superiore e inferiore o voluttuosa o mondana, non è ammissibile, ne'rapporti con la beatitudine: tutte l'anime beate sono state assunte alla beatitudine in istato di perfezione; onde quelle che han seguíta la vita attiva, o sono ascese direttamente alla gloria, per aver seguita la vita attiva cosiddetta superiore; o se han seguita la vita attiva inferiore, si son mondate nel Purgatorio. Oltre di che, sarebbe strano che la colpa, di cui si spegne in Lete perfin la memoria 1, non il merito, fosse il criterio di ben due tra le celesti mansioni. A proposito delle quali due mansioni, che, con la Luna, son le più lontane dall' Empireo, e quindi da Dio; il Parodi cita un passo di san Tommaso, nel quale egli legge che la vita voluttuosa allontana dalla beatitudine > : invece, san Tommaso scrive: « beatitudo voluptuosa, quia falsa est et rationi contraria, impedimentum est beatitudinis futurae > ; e impedire non è soltanto allontanare, è escludere. Mal si cita dunque tal passo, a proposito d'una categoria di spiriti, che, sebbene appaiano nelle sfere più lontane da Dio, beati sono; se il lor vero scanno non è in altro cielo, che in quello ove hanno il loco la Vergine, il maggior de' Serafini, Mosé, Samuele e i due Giovanni. Sicché, senza spenderci su molte parole, possiam dire che troppo poco solida è questa prima base, su cui il Parodi fonda la sua struttura morale del Paradiso.

Passiamo alla seconda base. Anche ammesso che le virtú bastassero ad aprir le porte del regno della grazia, senza che occorra, anzi sia necessaria la mozione dello Spirito santo 3; tutt'al piú, questo vanto dovrebbe spettare alle virtú principali, e a tutte coteste virtú, nessuna esclusa. Or le virtú principali

1 Cfr. Purg., XXVIII, 197 e segg.; XXXIII, 91 e segg.; e Parad, IX, 164.

2 Summae theol., I, II, 69, 3°.

3 San Tomm., op. cit., I, II, 68, 2o.

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sono, senz'ombra di dubbio, le teologali (fede, speranza e carità) e le cardinali (prudenza, giustizia, temperanza e fortezza). Invece, il Parodi esclude affatto le teologali, che di tutte le virtú son le prime e le precipue ; e anche delle cardinali n'esclude una, la prudenza; dando luogo, in cambio, a due (neppure a tutte e tre) delle virtú intellettuali (sapienza, scienza e intelligenza), alle quali, benché sien piú nobili in quanto all'obietto, pure la ratio virtutis compete meno, che non alle virtú cardinali 2. << Nel sistema pratico di Dante », scrive il Parodi, « una virtú iniziale come l' Intelligenza non aveva nulla da fare, se non come il primo momento, necessariamente sottinteso, della Scienza e della Sapienza » ; e la Prudenza, « pur essendo il necessario fondamento delle altre virtú cardinali, non prestabilisce il loro fine, non si esercita che sulla loro materia, e vien quindi da esse interamente assorbita. » Val quanto dire che Dante, sottilizzando pur il suo sistema pratico, rifarebbe il latino in bocca a tutti i teologi; e, per quel che si riferisce alle virtú morali, i cardini dell' Etica; escludendo dal novero di esse la prudenza, quasi fosse una superfetazione, correggerebbe una dottrina inoppugnabile; egli che nel Convivio 3 aveva detta la prudenza «conducitrice delle morali virtú », senza la quale le altre < essere non possono »; e parimenti, come guida delle altre, « con tre occhi in testa », l' avea rappresentata nel Purgatorio. Il Parodi aggiunge: « che la sua Scienza comprenda pure la Prudenza » Dante « volle farcene avvertiti con chiare parole, ammonendoci che il sapere del re Salomone, da lui veduto fra gli spiriti del Sole, non fu né astronomico, né filosofico, né matematico, ma fu l'aristotelica regal prudenza. Ma il Parodi non bada che Salomone chiese ed ottenne la scienza, non come virtú, ma come dono dello Spirito santo : è la scienza come

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1 San Tomm., op. cit., II, II, 4, 7o; e 161 5o. Anche Dante, nel Paradiso terrestre, mette le virtú teologali a destra, le morali a sinistra del carro. So bene che qualcuno (Torraca; e vi accenna anche il Landino, non a proposito dei vv. 121-129 del canto XXIX del Parg., ma del V. 111 del XXXI) vede nelle tre donne di destra le tre virtú intellettuali; ma tale interpetrazione non è accettabile.

2 Op. cit., I, II, 66, 3°.

3 JV, 17.

4 Cfr. Conv., IV, 27.

dono, non come virtú, che infonde il retto giudizio, non solo circa credenda, ma anche circa agenda 1. Forse il Parodi risponderà : << le Virtú dantesche si stendono più oltre delle Virtú dell' Etica, anche perché, per la loro natura essenzialmente cristiana, sottintendono i Doni dello Spirito santo ». Ah! no; son le virtú, anzi proprio quelle che il Parodi esclude, le teologali, che si presuppongono ai doni 2; ed è giusto queste più alte perfezioni, quest' eroiche o divine virtú, che i teologi chiamano doni 3, ben possono presupporre le virtú comuni; ma non vice

versa.

Il Parodi parla d' un certo equiparamento dei doni e delle virtú, sul quale gli sembra probabile che Dante abbia voluto richiamare espressamente la nostra attenzione: faccia un altro passo, è a quel suo accozzo di talune virtú sostituisca la scala completa dei doni dello Spirito santo, che, da un decennio, pazientemente aspettano d'esser riconosciuti gli arbitri del Paradiso dantesco. Né si preoccupi, se proprio ci tiene a quella fusione del criterio morale con l' astrologico, che già piacque anche al Ferrari; che nella struttura morale del Paradiso, sulla base dei doni, tale fusione appaia manifesta per due sole sfere, Venere e Marte con un po' di buona volontà, cioè pescando bene nell' Introductorium d' Albumasar, negli antichi commentatori di Dante, in Ristoro d' Arezzo, ecc.; e accontentandosi d'una fusione non proprio perfetta, come dichiara d'accontentarsene il Parodi ; chi sa che non riesca a trovare che anche per l'altre sfere una tal fusione è possibile. Infatti, la Luna non influisce, oltre il resto, anche fri gidità? E d'una certa frigidità non furono immuni quegli spiriti che non esercitarono il dono della fortezza. Mercurio non significa anche appetito di lode e fama? E questo appetito tennero a freno, col dono del timor di Dio, Giustiniano e Romeo: se cosí non fosse stato, gli avremmo trovati all'Inferno. Il Sole non significa anche scienza? E il dono della scienza prevalse ne' beati del Sole, Giove non influisce anche giustizia? E il dono del consiglio, premiato in Giove, si riferisce propria

1 San Tomm., op. cit., II, II, 9, 3o.

2 Op. cit., I, II, 68, 4o.

3 Op. e loc. cit., 1o.

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GEORGICHE, DI VIRGILIO FONTE DI DANTE

Il Poeta, che aveva la sicura fiducia di acquistar vita tra coloro che il suo tempo avrebbero chiamato antico »>, poteva mai pensare che la critica dei tardi nepoti avrebbe ricercato nella divina sua poesia quanto egli conoscesse e quanto ignorasse di ciò che scrissero gli antichi, specialmente gli antichi di Roma eterna e gloriosa? Stiam sicuri tuttavia che l'anima sua fiera avrebbe sdegnato ugualmente di offrirci il modo di anatomizzare freddamente il mirabile corpo dell'opera sua e giudicare lui, il grande pensatore della sintesi, secondo la piccola analisi che sa forse rimproverargli d'ignorare quello che noi ora senza troppo merito sappiamo.

Sia rispetto, sia timore, sia l'uno e l'altro insieme, non so indurmi tanto facilmente a dire: Dante ignorò quest'autore. Troppo debole indizio è il fatto che egli non lo nomina o non vi accenna. Mi parve poi sempre imperdonabilmente audace negare che egli sapesse ciò che i suoi contemporanei sapevano, e metterlo al disotto dei suoi commentatori più antichi che con amorosa diligenza si assunsero il compito modesto di dilucidare, colla scienza loro, la scienza ben piú sicura e più vasta del Poeta.

Vedo circondato in tutto il medio evo Virgilio da un'ammirazione, che è ben lungi d'avere alcun altro poeta dell'antichità; ammirazione testimoniata dai codici numerosissimi che ne riproducono l'opera, dalle citazioni e dalle imitazioni dei dotti e fin dalla fioritura di leggende nate tra il popolo; è pur Virgilio che grandeggia sovrano nella mente e nella poesia di Dante, e posso pensare che l'Alighieri solo amente ab

bia avuto conoscenza dei canti della « maggior Musa »?

I codici virgiliani, compresi quelli numerosi del secolo XIII e XIV 1, contengono quasi tutti interamente, oltre che l'Eneide, anche le Bucoliche e le Georgiche: leggo l'affettuosissimo grido ch'esce di bocca al Poeta nella « selva oscura » :

Vagliami il lungo studio e il grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume,

e non so fare a meno di chiosare con Benvenuto da Imola « cercar lo tuo volume », << meditari tuos libros, scilicet Boucolica, Georgica et Oeneida ».? Non l'Eneide soltanto,

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1 Per citare solamente i piú importanti, i codici Vaticani 1583, 1581, 1585, il Bav. Monach. 123 del sec. XIII; i Vatic. 1571, 1576, 1582 del sec. XIV. Quasi tutta la tradizione dei manoscritti (le eccezioni sono pochissime e di niun valore) è concorde nel riprodurre riunite le tre opere maggiori del Poeta mantovano a partire dai codices antiquissimi dei secc. IV e V, dai quali i posteriori son quasi tutti riprodotti e su cui specialmente si fondano le edizioni critiche: il Vatic. 3225, il Vat. 3867, il Vat. pal. 1631, il Medic. laur., il Sangall., il Veron., l'Augusteo berlin. Al primo rifiorire della cultura classica, nel sec. VIII, Virgilio è studiato tutto quanto con fervore: < I poeti della Corte di Carlo Magno, nota il Graf, (Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo, II, p. 202) imitavano, oltre l'Eneide, anche le Egloghe e le Georgiche ». E nei secoli stessi in cui pare si smarriscano quasi le tracce dei poeti dell'antichità, rimane il culto per Virgilio: i codici Bernensi 172, 165, 184 ed il Gudiano 30 ne riproducono intere le tre opere. E non pochi recano anche le glosse di Servio: il più notevole forse per noi è quello di Amburgo, che è del secolo XIII.

2 Quasi colla stessa parola anche Stefano Talice da Ricaldone: «Valeat mihi longum studium tui libri quod fuit me perquirire libros Bucolicorum, Georgicorum et

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