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E nel Paradiso (XX, 19 seg.) la stessa pittorica rappresentazione :

Udir mi parve un mormorar di fiume, che scende chiaro giù di pietra in pietra, mostrando l'ubertà del suo cacume. Ogni innamorato della natura ha ammirato questo ruscelletto tra qualche collina deliziosa, ma è notevole nei due poeti la stessa sorprendente successione di concetti, il mormorio, lo scendere tra sasso e sasso, l'accenno alla vena copiosa.

E vediamo ancora il correre lieve, senza rumore d'un altro rivo tra l'erbe tenere (Purg., XXVIII, 25 segg.):

.... un rio

che inver sinistra con sue picciole onde
piegava l'erba che in sua riva uscio.

È proprio il tenuis fugiens per gramina rivus » (Georg., IV, 23).

E quasi letteralmente corrisponde alla similitudine dantesca (Purg., XXXII, 136 segg.): .... come di gramigna vivace terra....

si ricoperse,

il verso virgiliano (Georg., II, 219); Quaeque [terra] suo semper viridi se gramine vestit.

Quale importanza per lumeggiare il pensiero dell' Alighieri abbia la ricerca delle fonti classiche basta a provare un solo esempio. Pochi passi furono vessati e variamente interpretati come il principio del canto IX nel Purgatorio:

La concubina di Titone antico
già s'imbiancava al balco d'oriente,
fuor delle braccia del suo dolce amico.

Eppure per la corretta lettura e la giusta spiegazione basta un raffronto coll'Eneide (IV, 584) seg.):

Et iam prima novo spargebat lumine terras Tithoni croceum linquens Aurora cubile. 1 Ma forse il passo delle Georgiche (I, 446 seg.): .... ubi pallida surget

Tithoni croceum linquens Aurora cubile,

non può aver suggerito, coll'aggettivo pallida, direttamente l'imagine dell'imbiancarsi?

1 Cfr. Anche En., IX, 459 seg. ove son ripetuti i due versi. Dai quali procede probabilmente anche un altro passo del Purg. (II, 7 segg.): « le guance rance » richiamano il croceum cubile ».

Insomma vediamo spesso nella Commedia, miracolo novo, l'anima del mite Virgilio trasfusa in quella ardente di amore e di odio dell'Alighieri: le dolci e melodiose corde del senso della natura vibrano all' unisono nei due poeti. Ed anche quando devono esprimere il desiderio di gloria l'uniscono l'uno e l'altro in un' intensa aspirazione di amor patrio. L'esule infelice pensa con brama ardente al ritorno nel « bello ovile » colla corona bella di Poeta (Par., XXV, 1 segg.): Con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta ed in sul fonte

del mio battesmo prenderò il cappello. Anche il modesto Virgilio è preso una volta dal desiderio di gloria (Georg., III, 8 segg.): Tentanda via est qua me quoque possim tollere humo victorque virum volitare per ora;

Ma la gloria deve essergli data nella Mantova sua:

Primus ego in patriam mecum, modo vita supersit Aonio rediens deducam vertice Musas....;

e vuole egli pure essere ornato il capo d'una verde corona :

Ipse caput tonsae foliis ornatus olivae....

* **

Tutto il medio evo lesse le Georgiche insieme con l'Encide e le Bucoliche, ma non ebbe per il poema dei campi l'ammirazione che tributava all'opera maggiore di Virgilio. L'Eneide ricca di contenuto storico e morale narrava le origini della divina Roma e dava ammaestramenti di sapienza sotto il velo della finzione; le Bucoliche, ravvolte nell'allegoria, permettevano di vedere riposte verità, ricercate con scolastica sottigliezza, spesso molto al di là del pensiero virgiliano, fino a fare del Mantovano un profeta del Redentore. Ma chi avrebbe apprezzato nella sua finalità e contenenza l'umile canto che ammaestra passo passo nelle diverse stagioni e nei diversi lavori il villano povero ed umile? Non è canto che piaccia all'età del feudalesimo e dei Comuni. Siamo ben lungi dal tempo d'Augusto in cui fiorisce e torna in onore l'agricoltura colle arti della pace: l'arti di guerra e le industrie fanno riguardare con sommo disprezzo gli abitatori della villa. Nell'età di Dante questi sono appena usciti di servitú e passati nello stato di

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e che contaminò la gente fiorentina, un tempo < pura nell' ultimo artista » (Inf., V, 155). Quanto è al disopra anche l'umile artigiano al lavoratore dei campi! « Lo puzzo del villan d'Aguglion » (ib. v. 55) è l'espressione di massimo sprezzo di cui sia capace l'anima traboccante d'ira del Poeta. « Un Marcel diventa Ogni villan che parteggiando viene », è l' invettiva piena di esasperazione e di sdegno, che altrove (Purg., VI, 125 seg.) rivolge agli ambiziosi uomini nuovi della sua Firenze.

Anche Dante dovette ammirare meno degli epici canti di Enea il poema dell'agricoltore. Ma non poco certamente e forse più di tutti i contemporanei suoi. Lasciamo la parte didascalica, lasciamo i riti, le invocazioni agli dei del paganesimo; ma è mai possibile che il Poeta divino non fosse colpito altamente dalla soavissima poesia dei campi, 2 dai delicatissimi quadri in cui è dipinta nelle piú leggere sfumature la natura? Potemmo dimostrare, coi numerosi raffronti tra passi delle Georgiche e delle opere di Dante, che no, che anzi nessuno più di lui penetrò nell'anima poetica di Virgilio. Quanti spunti d'idillio

Non in tanta abbiettezza come in Italia erano tenuti i lavoratori dei campi in Francia, ove non si limitavano le libertà della persona ed i diritti civili. In Italia il contado è servo politicamente ed economicamente alle città. Sull'argomento vi è tutta una vasta letteratura: si cfr. specialmente SANTINI, Studi, p. 213; SALVEMINI, Studi, p. 23; e più recentemente REVILLE, Les paysans au moyen âge (XIII et XIV siècles). Paris, 1896; DONIOL, Serfs et vilains au moyen âge. Paris 1901; in fine il buon studio di G. ARIAS, Il sistema della costituzione politica e sociale italiana nell'età dei comuni. Torino 1905.

2 In uno studio diligente e minuzioso Gastone di MIRAFIORE (Dante Georgico, Firenze, 1898) esamina i passi numerosi delle opere di Dante, in cui si parla o si accenna all'agricoltura.

d'una freschezza tutta virgiliana nella Commedia! Ci occorre cosí spesso di esclamare : Virgilio non cantò cosí, ma senti in questa maniera! Immaginiamo l'esule ritrarsi solitario dai rumori dell'armi e dei tornei, delle cacce al cignale o col falcone (quante similitudini gli suggerisce l'uccello rapace!), lungi dai grandi, con cui avea dimestichezza, e passeggiare tra il verde dei campi: osserva, medita e rivive la vita tranquilla e le angustie del villanello :

Lo villanello a cui la roba manca
si leva e guarda e vede la campagna
biancheggiar tutta, ond'ei si batte l'anca,
(Inf., XXIV, 7 segg.).

Il villan che al poggio si riposa
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dove vendemmia ed ara

(Inf., XXVI, 25 segg).

E partecipa perfino dei sogni di messi bionde che fa di giugno la villana (Inf., XXXII, 31 segg.):

.... a gracidar si sta la rana

col muso fuor dell'acqua quando sogna
di spigolar sovente la villana.

E non gli sfugge neppure che (Purg., IV, 19 segg.):

imprunal

con una forcatella di sue spine

l'uom della villa, quando l'uva imbruna.

L'idillio pastorale sembra un brano delle Bucoliche:

Quali si fanno ruminando manse
le capre state rapide e proterve
sopra le cime avanti che sien franse,
tacite all'ombra mentre che il sol ferve,
guardate dal pastor che sulla verga
poggiato s'è e lor poggiato serve;

e quale il mandrian, che fuori alberga,
lungo il peculio suo queto pernotta,
guardando perchè fiera non lo sperga.
(Purg., XXVII, 76 segg).

Ed a quante similitudini gli offron materia. le piante, i fiori, gli animali domestici ! Nessuno dei poeti che precedettero Dante, compresi quelli del « dolce stil novo », ebbe una intuizione cosí acuta dalla natura, nessuno come lui comprese l'alta poesia dei piccoli grande fenomeni dell'universo.

Gli altri si fermano a teorizzare freddamente d'amore e vogliono solo innalzarsi, nell'ardua materia, sublimi. Dante, piú subli

me di tutti nella speculazione del vero, il più addottrinato e convinto maestro di virtú, ha poi la mirabile grandezza semplice del fanciullo che contempla stupito il ruminare della pecorella, il volare dell' insetto, il torneare dell'allodola sazia di canti. La poesia vera della natura è cosí: è il ritorno cosciente all'ammirazione ingenua che ebbe la piccola anima nell'infanzia. Ma questa coscienza eleva,

entusiasma, commuove. Non pochi la provarono, pochissimi seppero degnamente esprimerla Dante e Virgilio sopra tutti.

Dante conobbe Virgilio tutto quanto nell'opera sua, lo comprese tutto quanto nella sua anima: è « lo bello stile» che ebbe da lui.

Crema, 1908.

ARISTIDE MARIGO.

APPUNTI SU DANTE E SHELLEY

L'aspirazione estetica non di rado comune all'arte dell'Alighieri e dello Shelley consiste nel trasfigurare la natura, nel rappresentare cioè il paesaggio con maggiore intensità di luci e di tenebra, nell'accentuar le linee ed i colori, in modo da suscitare continuamente l'immagine di quel mondo ideale in cui si librava la loro fantasia.

Il desiderio di conoscere più profondamente l'arte dell'Alighieri e la tendenza che egli nutriva per la letteratura nostra in generale, indussero lo Shelley verso il 1817 allo studio della lingua italiana ch'egli riuscí ad apprendere in modo da poter gustare i nostri autori nel loro idioma originale. Una lettera ch'egli scrisse da Milano a T.L. Peacock durante il suo viaggio del 1818, già ci rafgura il Poeta occupato nello studio dell'opera dantesca.

Nel crepuscolare bagliore iridescente che fluttua presso le vetrate gotiche del Duomo di Milano egli andava leggendo la Divina Commedia, congiungendo in un vasto ac

"This cathedral is a most astonishing work of art. The effect of it, piercing the solid blue with those groups of dazzling spires, relieved by the serene depth of this Italian heaven, or by moonlight when the stars seem gathered among those clustered shapes, is beyond anything I had imagined architecture capable od producing. The interior ..... with its stained glass and massy granite columns overloaded with antique figures, and the silver lamps that burn beside the brazen altar and the marble fretwork of the dome give it the aspect of some gorgeous sepulchre .,.

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"Vi è un luogo solitario fra queste navate, dietro l'altare, dove la luce del giorno è fosca e gialla, sotto la vetrata istoriata, dove io volentieri mi trattengo a leggere Dante Lettera a Thomas Love Peacock, Milano, 20 Aprile, 1818. The Prose Works

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cordo la maestà dell'ambiente colla grandezza del pensiero di Dante, evocando in quella penombra, che i raggi del sole primaverile riuscivano a pena a dissipare, filtrando dai vetri istoriati, screziando gli enormi pilastri di pallide ametiste e di topazi tremuli e fulvi, le lucide figurazioni e le complesse allegorie che l'Alighieri aveva dipinto colla melodia delle sue rime e colla forza del suo linguaggio.

Questo studio dell'opera di Dante fu probabilmente sintetico nel suo inizio, poiché nella Defence of poetry noi osserviamo che lo Shelley considera essenzialmente il poeta nostro ne' suoi caratteri piú spiccati e nella sua relazione colle vaste correnti letterarie dell'epoca classica e della moderna,

Anzitutto apprezza la sottile e profonda analisi che l'Alighieri ci presenta de' suoi personaggi. L'intima conoscenza dell'anima, la facoltà di esaminare minutamente e riprodurrre con energica espressione i movimenti dello spirito, l'abilità dell'Alighieri nel rilevarci con pochi tratti efficaci la psicologia di un individuo, gli facevano considerare Dante non solo come un grande artefice, ma come

of P. B. Sh. ed. by R. HERNE SHEPHERD. London, Chatto and Windus, 1888, vol. II, p. 225. v. per l'erudizione dello Sh.: R. ACKERMANN. Shelley in Frankreich und Italien. (Eugl. Studieu, XVII, 1892). W. CORY. Shelley's Classics. Academy, April, 5, 1890.-E. DOWDEN. Life of P. B. Shelley. Trübner, 1896. H. DRUSKOWITZ. P. B. Shelley. Berlin, Oppenheim, 1884. - L. O. KUHNS. Dante's influence on Shelley, in Modern Languages Notes. June, 1898. - A. B. MAC MAHAN. With Shelley in Italy, Unwin, 1907. H. RICHTER. P. B. Shelley. Berlin, Felber, 1898.

un filosofo insigne.1 La trattazione del tèma apparivagli come il frutto d' un intelletto profondamente nutrito di studî filosofici, e per questi studî dotato di una geniale attitudine e di una mirabil larghezza di vedute.

Lo Shelley osserva quindi l'influenza che l'arte dell'Alighieri esercitò sullo spirito letterario medievale, l' irradiazione del suo spirito che illuminò ed accese di poetico fervore i piú profondi e sottili ingegni del tempo suo, la sua fulgida apparizione sull'orizzonte dell'arte medievale come l'astro precursore di quella fulgente costellazione che nel sec. XIII effuse la sua luce dall' Italia, come da un firmamento, sull'oscurità del mondo ottenebrato. » La poesia di Dante apparivagli come un ponte sulla corrente del tempo, che con prodigioso arco unisse l'epoca medievale al mondo moderno, considerato quanto avanzato fosse il suo pensiero nella contemplazione della vita rispetto a quello dei suoi contemporanei. « I poeti, dice egli con caratteristica immagine, 3 sono gli specchi su cui si proiettano le gigantesche ombre che il futuro getta sul presente ».

Egli considerava questa precocità del genio dantesco rispetto all'epoca in cui si esplicò, come una meravigliosa manifestazione della sua mente, che foggiò gli strumenti dell'arte, onde affidarli, dopo averne dato sublime esempio, alle avide mani de' minori artefici. Egli formò un linguaggio, che racchiude

1. La distinzione tra filosofi e poeti è stata anticipata. Platone era essenzialmente un poeta la verità e la fulgidezza delle sue immagini, e la melodia del suo linguaggio, sono le piú intense che si possano concepire. E que' supremi poeti, che hanno impiegato forme tradizionali di ritmo riguardo alla forma ed all'azione dei loro argomenti, non sono meno capaci di percepire e di insegnare la verità delle cose, di quelli che hanno tralasciato quelle forme. Shakespeare, Dante e Milton sono filosofi di altissima vigoria,,. A defence of poetry. II, p. 7, 8.

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Vedi ancóra II, 32: "La poesia comprende tutte le scienze e ad essa ogni scienza deve essere riferita, asserzione che ben s'accorda al vasto concetto dell'Alighieri riguardo all'arte poetica.

2"Dante was the first awakener of entranced Europe; he created a language, in itself music and persuasion, out of a chaos of inharmonious barbarisms. He was the congregator of those great spirits who presided over the resurrection of learning; the Lucifer of that starry flock which in the thirteenth century shone forth from republican Italy, as from a heaven, into the darkness of the benighted world.„, Def. of Poetry. II, 27; v. edizione del Cook. Boston, 1891. 3 II, 38: e per il concetto preced. II; 24, 25.

il fascino sottile e potente della musica, l'incantesimo delle melodie, degli accordi, delle cadenze, ne' suoi ritmi molteplici, nella sonorità or rude or soave delle sue frasi, nella limpidità armoniosa del suo endecasillabo, che rifluisce di terzina in terzina, come un fiume sonoro che

scende chiaro giù di pietra in pietra.

Inoltre osserva lo Shelley come il linguaggio formato da Dante possegga, col suo adattarsi docilmente al più profondo e talor intricato procedere del pensiero e nella vigoria, nello slancio delle frasi, nella robusta e perspicua esposizione dell' idea, la virtú della persuasione.

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< Egli radunò e fu il congregatore, di questi spiriti magni che presiedettero al risorgimento delle lettere egli prosegue,1 considerando, con altri critici, la Commedia come la prima e insuperata manifestazione del Rinascimento.

L'idea che il Keats ha espresso nell'inizio dell'Endymion:

A thing of beauty is a joy for ever;

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