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Gli argomenti addotti contro la tesi de l'improvvisato dantista son varî; sodi ed esposti con lucente brio, degni di un amoroso cultore di Dante pieno non pure di dottrina ma di gusto squisito, quale è il De Chiara. Però egli mi permetterà che io esprima senza velami il mio pensiero: questa volta non è stato sorretto dal suo gusto nativo. Avrebbe dovuto comprendere che ormai si ha altro da fare che rivender le bucce a chi crede ancóra Brunetto maestro di Dante e che sproloquia d'una Beatrice simbolo della patria unita che « Dante, per il primo, pensò ed invocò tanti secoli fa,» d'una Beatrice << che alla patria unità offrì coi colori delle sue vesti i colori della bandiera nazionale»! Forse sarebbe stato piú opportuno tralasciare la confutazione, ch'è stata sapiente, minuta, precisa, delle trovate righettiane intorno alla falsità dell'XI dell' Inferno, e contentarsi della felice dimostrazione che come il cieco dei colori, cosí di Dante e, in una sola parola, d'arte non può discorrere chi non è da natura dotato di sufficiente senso estetico.

Anzi: a che serve ribattere il ragionamento del 3 e suoi multipli ed altri consimili, quando s'è potuto notare sfogliando il libro del Righetti (pagine 6, 9, 23, 26, 29, 63 ecc.), che non abbonda al suo autore nemmeno la grammatica? Ma è pure la bella pretesa, quando si scrive come chi abbia allora allora acquistato la famosa maturità dei nostri odierni regolamenti scolastici, è pure la bella pretesa quella di voler tirare un frego sur un Canto di Dante in omaggio alla dimestichezza che si dice avere con la forma poetica dell' Alighieri », anzi in omaggio a quella dimestichezza con la poesia e con la lingua di lui, per la quale solamente si possono, tra le cose dantesche, riconoscere le vere dalle false ! »

E cosí impariamo ch'é improprio «< puzzo » in luogo di « lezzo », il qual non è « un odore orribile e tanto meno insopportabile da aver bisogno di farcı il naso »; sicché, nota bene il De Chiara, commise un' improprietà il Foscolo, cantando

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Dante abbia potuto credere di darci ad intendere con quel verso bisticcio, che si possa divenire parenti per via dell' imitazione!

Che ha da sapere il Righetti che il verso incriminato è un'espressione identica a quella di Platone: << l'arte, che è quasi nipote di Dio, è appunto terra di qua dal vero » ?

L'argomento cardinale poi dell' estetica righettiana in riassunto è questo: Virgilio nell' XI dice a Dante che, arrivato a un certo punto, vedrà

Ruffian baratti e simile lordura.

Ma nel Canto XVIII Dante ha bisogno di domandare a Venedico Caccianemico di che peccato si sia brattato nel mondo, e farsi rispondere ch'è stato un seduttore e ruffiano. Or di tutto ciò, conclude il Righetti, non c'era bisogno, ◄ se fosse vero che il Canto XI l'aveva fatto Dante ». E com'era naturale, conseguenza per conseguenza, per la spiegazione preventiva del Canto XI si rendono cosí inutili per lui le parole del barattiere novarese, (Canto XXII), dei bolognesi Catalano e Loderigo (Canto XXIII), di Maometto (Canto XXVIII) e di altri personaggi.

Ecco come risponde il De Chiara: con le sue felici parole, che sottoscriviamo pienamente, ci piace concludere questo breve cenno:

<< Che idea s'è formato il comm. Righetti d'un opera di poesia? Ciò che è generoso, secondo il concetto di Volfango Göthe, ch'è poi il concetto di Francesco de Sanctis, è indifferente; ciò che è del tutto oggettivo, può essere argomento di scienza, non di poesia. « La scienza, dice il De Sanctis, è il genere e la specie, l'arte è l'individuo o la persona, e piú vi scostate dall'individuo, piú sottilizzate e scorporate, e piú vi allontanate dall'arte.

Che diverrebbe la Divina Commedia, se da essa si dovesse bandire tutto ciò che non incontra il gusto del comm. Righetti e di altri come lui? Che diverrebbe se a ciascun personaggio non fosse concessa facoltà di dire passionatamente tutto quello che egli ha nell'anima; i suoi rimorsi, l'acerbità della pena, tutto quello che gli è dato sperare, tutto quello che gli è dato godere, e narrare la propria storia, la storia della sua passione, della sua città, dei suoi compagni? >

Febbraio, 1909.

ATTILIO ANGELORO.

NOTIZIE

Dante a Manchester.

Abbiam piú volte parlato della magnifica collezione di libri danteschi che la intelligente munificenza della compianta signora Enrichetta Augustina Tenant vedova Rylands ha raccolto nella John Rylands Library di Manchester. Vediamo ora, con vivo compiacimento, che i Direttori di quella Biblioteca hanno messo insieme una bella esposizione di opere di Dante e di scritti di argomento dantesco, che resterà aperta fino al prossimo mese di ottobre.

La Rylands Library possiede una raccolta dantesca non tanto pregevole pel numero (siamo ancora ben lungi dalla copiosa biblioteca di Ithaca!) quanto per la qualità de' volumi, tra i quali è un raro manoscritto, il Landdiano, le rarissime edizioni fulginate, iesina e mantovana della Commedia del 1472, quella di Napoli del 1477, la veneziana del 1478 e la fiorentina del 1481 con vénti rami de' famosi disegni del Botticelli.

La Biblioteca Rylands usa fare ogni tanto simili esposizioni dei suoi rari cimelî, provenienti, in gran parte, dalla celebre Biblioteca Spencer descritta ne' cataloghi del Dibdin e acquistata poi dalla signora Rylands per cinque milioni di lire.

La Canzone di Orlando >

novamente tradotta in endecasillabi sciolti italiani da G. L. Passerini, è stata di recente publicata dalla Società tipografica editrice cooperativa di Città di Castello, in una edizione maravigliosa per nitidezza di tipi, bellezza di fregi e incisioni che richiamano a mente le sobrie e pur magnifiche edizioni quattrocentesche. È uno dei più bei libri che siano usciti in questi ultimi anni dalle officine tipografiche italiane, e fa veramente onore alla Società che ha con questo bel saggio inaugurata la serie delle sue edizioni di lusso.

Dante in Germania.

Che il culto di Dante si mantien sempre vivo nella dotta Germania, ne è prova recente oltre che la traduzione del Purgatorio di Alfredo Bassermann, di cui accenniamo piú

innanzi, l'ampio lavoro di Riccardo Zoozmann, che in quattro gustosi volumetti, editi da B. Herder di Friburgo, e dedicati a Margherita di Savoia, ci presenta tradotte la Divina Commedia, la Vita Nuova e le Rime, col testo a fronte (Dantes Poetische Werke, Freiborg in Br., 1908). Come tutte le traduzioni. questa del Zoozmann non è priva certamente de' soliti inevitabili difetti, né sempre riesce a dare specialmente pel Poema, una idea abbastanza fedele dell'originale: tuttavia ha pregi singolarmente notevoli, e noi dobbiamo esser grati soprattutto al traduttore per questa sua nobile fatica che gioverà certamente a divulgare sempre più e sempre meglio in Germania l'opera e il culto del nostro sommo Poeta.

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Premio per un lavoro petrarchesco.

Nel 1806 (Giorn. dant., XIV, 55), annunziavamo che la Commissione pel conferimento del premio Fiske ad un lavoro su Francesco Petrarca e la Toscana, aveva deliberato di rinnovare la gara, per ragioni che qui è inutile ripetere, assegnando questa volta quella larghezza di tempo la cui mancanza riusci causa principale dell'esito affatto negativo del primo appello.

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Ora un anonimo forse un concorrente?

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a noi dolendosi acerbamente pel silenzio che ha seguito e son passati quasi due anni! il secondo appello : e se la prende anche con noi, non sappiam bene perché. Ricordiamo a quel signore che la Commissione giudicatrice fu, per volontà del generoso e compianto institutore del concorso e largitore del premio di 2500 lire, composta dei signori professori Guido Biagi, Guido Mazzoni e Pio Rajna: ai quali, e non ad altri, deve rivolgersi chi ha lagnanze da fare o spiegazioni da domandare: e noi facciamo già molto se, riconoscendo, a parte la forma vivace in cui sono espresse, la giustizia delle doglianze dell'anonimo scrittore, accogliamo i suoi lamenti, affinché la Commissione si svegli e provveda.

Il Canto XXXIV dell' « Inferno ».

A proposito di una nota publicazione del Righetti, che vuol togliere dalla Divina Commedia il Canto XI

dell' Inferno, l'Eco d'Italia (I, fasc. 2,) disseppellisce dalla miscellanea publicata a Pistoia nel 1845 col titolo I monumenti del giardino Puccini un curioso scritto dimenticato di Giuseppe Tassinari La Torre di Catilina, in cui l'autore, imaginando di essersi imbattuto, viaggiando per l'Alpe toscana, in un giovine montanaro che aveva ereditato da un vecchio monaco di San Benedetto un fascio di vecchie cartapecore, narra di avere rinvenuto fra queste il Canto XXXIV dell' Inferno, in cui il Poeta s'incontra in Catilina che narra a Dante fieramente di sé e delle sue venture.

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★ Luigi Guercio tratta in un volume, edito a Roma da la « Vita letteraria », Di alcuni rapporti tra le visioni medioevali e la « Divina Commedia », dedicando questo suo studio a Francesco Torraca.

The moral system of Dantes Inferno è il titolo di un grosso volume di W. H. V. Reade, nitidamente stampato dalla Clarendon Press a Oxford.

La Casa editrice Ulrico Hoepli di Milano ha dato in luce, in due volumi, le ricerche di Enrico Sanna intorno a Il comico, l'umorismo e la satira nella « Divina Commedia ». Proemia all'opera Francesco d'Ovidio,

e in appendice segue uno studio su La Concezione dantesca del Purgatorio ».

Utile fatica ha fatto Luigi Suttina raccogliendo una diligente Bibliografia delle opere a stampa intorno a Francesco Petrarca, esistenti nella libreria Rossettiana. L'edizione, assai bella, curata a Perugia dalla Tipografia cooperativa, è fatta a spese del Comune di Trieste.

Alfred Bassermann, al quale tanto van debitori gli studi nostri, ha publicato il secondo volume Dantes Fegeberg; (München, R. Oldenbourg) della sua prege. gole traduzione della Commedia. Il primo, contenente la traduzione dell' Inferno, venne a luce fin dal 1891.

Del Catalogo generale della Libreria italiana,

compilato da quel paziente e diligente bibliografo che è il prof. A. Pagliaini, bibliotecario della Università di Genova, si è iniziata e continua regolarmente, per cura della Associazione tipografica libraria italiana, la publicazione dell'Indice per materie. Questa utile appendice al Catalogo è fatta a fascicoli mensili di 64 pagine ciascuno, e consterà, una volta compiuta, di circa due volumi stampati su buona carta, del formato in 8, gr., a tre colonne, e coi tipi identici a quelli usati per il Catalogo.

L'importanza dell'opera è, come facilmente appare, grandissima: e non crediamo di esagerare affermando ch'essa non ha riscontro in alcun'altra consimile compiutasi prima d'oggi in Italia.

Firenze 1909 G. L. Passerini, direttore

Stabilimento Tipografico Aldino. Via Folco Portinari, 3.

Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile.

Il Commento latino sulla "Divina Commedia,, di Benvenuto da Imola

e la "Cronica,, di Giovanni Villani

INTRODUZIONE

or

L'uomo è naturalmente curioso: cioè assetato, per istinto, di sapere e di conoscere, di penetrare e apprendere il vero in tutta la sua essenza profonda. Ma non c'illudiamo: egli è pur anco, in fondo all'animo, ereditariamente idolatra; e tale resterà a mio avviso piú or meno, sempre: anche durante il periodo di massimo sviluppo della sua psiche, quando maggiormente e specialmente esercita le attività spirituali riflesse. Vedete: allorché un largo giro di secoli recinge d'ammirazione e di fama, non dico un capolavoro d'arte, ché, in tal caso, prestar culto è dovere, ma una semplice opera d'erudizione e di ingegno; lo studioso vi si accosta con una cotale riverenza che gli ottunde, in certa maniera, la libera facoltà critica e gli rende l'animo preoccupato e proclive ad accoglier tutto, senza vagliarlo, con umile rispetto di discendente. Non si spiega cosí, e solo cosí, la fama lungamente perdurata di opere, che finirono poi col dimostrarsi ben mediocri, e talvolta addirittura meschine?

Il Comentum di Benvenuto de' Rambaldi da Imola su la Divina Commedia è una di coteste opere, cui spirò largamente propizio il mal fido vento della fortuna. Ricercato, studiato, citato ancor oggi da' piú valenti e illustri commentatori di Dante, la sua autorità è grande, indiscussa ed indiscutibile per essi,

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dunque, quando narra, bisogna prestargli fede; oportet jurare in verbo magistri. Argomento e conclusione degnissimi, entrambi, della tanto decantata logica umana! E gli si affibbia, per ciò solo, l'appellativo di « storico », vedremo quanto meritamente; e Tommaso Casini, arguto dotto e moderno commentatore del poema sacro, non si perita di chiamarlo << il più e meglio informato della storia di Romagna », ed altri lo dirà « sempre il benvenuto », in ogni sorta di questioni. E potrei moltiplicare, se avessi voglia di perder tempo, consimili citazioni: ma aggiungerò solamente, per essere breve, che tutti, qual piú qual meno, ripetono, in diversa forma, un medesimo errore.

Ora, che ciò s'avveri in quest'epoca nostra che si vanta d'essere essenzialmente spregiudicata in ogni genere di studî, e in cui, di fatti, la critica storica, esercitata con rigoroso metodo scientifico su le fonti su i documenti originali su le testimonianze autentiche, va raccogliendo copiosi e superbi risultati: non è stranamente inspiegabile? O non significa forse che questo nostro ereditario istinto, non che spento, non s'è né pure attenuato a traverso tanta esperienza di secoli?

Giornale dantesco, anno XVII, quad. III-IV.

6

Un dotto interpetre di Dante, Francesco Torraca, critico acuto e, più che altro, sodo,

<< valente» lo chiamava il non prodigo di lodi G. Carducci,- spirito serenamente iconoclasta e, perciò, poco tenero di tutti i commenti danteschi del Trecento, scriveva con audacia insolita nel campo della critica dantesca, in una recensione nella Rassegna storica della Letteratura italiana: « sarà bene, e si dovrà speriamo in un giorno non lontano. fare, dei commenti del Trecento, niuno escluso - i quali aduggiano ancóra, con inestimabile danno, della loro grossezza e melensaggine il campo degli studî danteschi - ciò, che fece una volta Ezzelino da Romano de' panni stracciati de' poveri bisognosi. Metto pegno che non si troverà tanto oro et argento strutto, quanto ne raccolse Ezzelino: tutt'altro! E quando la storia sarà scritta, potremo rimettere i documenti negli archivi e lasciarveli dormire in pace ». Osservazioni, queste, giustissime per quanto, forse, poco gradite a chi è andato rimettendo in onore e ripubblicando, in magnifiche edizioni, quegli antichi commenti. Non basta. In una nota nella Prefazione al Chronicon di Pietro Cantinelli, scriveva che Benvenuto da Imola, a un certo punto del suo Commento, erasi appropriato, traducendo in suo latino, il racconto che il Villani aveva dettato, della vittoriosa difesa di Forli e della strage de' francesi; e, poi, a me personalmente consigliava di far ricerca. che sarebbe stata originalissima su la famosa parte storica di tal Commento: la quale egli sospettava non dovesse avere affatto quel valore e quell' importanza che le si volevano attribuire a ogni costo.

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Incitato da sí autorevole consiglio, mi son messo al lavoro con entusiasmo, con amore; felice, lo confesso, sopra tutto perché mi era dato studiare sia indirettamente pure divino Poema. Non mi era, ciò, di buon augurio? E, oggi, a opera compiuta, son felicissimo, perché le conclusioni cui son pervenuto son tali e sí importanti, ch' io non avrei mai sperate.

Rendendo pubbliche grazie al chiaro professor Torraca, mi permetto invocare un tantino d' indulgenza al mio studio cui per una infinità di ragioni non ho potuto dedicare quell' efficace e necessario ultimo lavoro di lima che m'ero proposto.

CAPITOLO PRIMO

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Inferno, Canto VI. Nel terzo cerchio infernale, dove piangono lor pena i golosi, Dante incontra e riconosce dopo che lo spirito istesso gli ha rivelato il proprio nome un concittadino: Ciacco. Notevole sopra tutto che il dannato, mentre indica chi è, intinge d'una sottile e fuggevole ironia le sue parole, le quali sono eziandio pervase d'un certo sentimento nostalgico della vita: 1

La tua città, ch'è piena
d'invidia si, che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.

Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco :
per la dannosa colpa della gola,
come tu vedi alla pioggia mi fiacco.

E Dante è tocco della pena di quel suo concittadino, profondamente, fino alle lacrime:

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Ciacco, il tuo affanno

mi pesa si ch'a lacrimar m'invita.

Tanto più che a quello spirito l'avvicina una cotal comunanza di sentimenti e d'affetti: esule il Poeta, e Ciacco morto, non hanno entrambi l'anima passionatamente rivolta alla dolce terra natía? Ed è, ciò, naturale e umano: ché l'incontrarsi lungi dalla patria, e il riconoscersi concittadini, questo solo basta ad affrallteare e congiungere nell'intimità profonda e dolorosa del sentimento nostalgico, che spontaneo si ridesta in quei momenti. Ma cotesto desiderio della patria, il quale, senza speranza ormai per Ciacco, vibra e trema e palpita nelle parole sue come fronda cui súbito vento percote; vibra, trema, palpita e s'effonde, col rimpianto accorato d'un passato che non torna piú, nel bellissimo verso:

Seco mi tenne in la vita serena,

quell'ombra, che la pena grava e deforma, indugia forse con grande intimo strazio nella rievocata visione della vita sí dolce e amata, anzi tanto più amata perché perduta : proprio cotesto vivo desío di patria, s'io non m'inganno, tronca gli accenti di compassione

Il chiaro professor Torraca, solo fra' commentatori di Dante, nota, ma in forma dubitativa, l'ironia delle parole di Ciacco. (Vedi La Divina Commedia nuovamente commentata da F. TORRACA, pag. 45, n. al v. 52).

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