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L'ERCOLANO

OVVERO

AGLI ALBERI

DIALOGO

NEL QUALE SI RAGIONA GENERALMENTE DELLE LINGUE E IN PARTICOLARE

DELLA FIORENTINA E DELLA TOSCANA

LETTERA DEDICATORIA DELL'EDIZIONE DI MONSIGNOR BOTTARI.

ALL'ILLUSTRISS. SIG. MARCHESE CAV.

NERI CORSINI

giori e da gravissimi e importantissimi affari riguardanti le pubbliche utilità e il comun bene. E siccome colui che meritò di essere appellato nel tempo della maggior grandezza di Roma, trionfatrice di tutte le nazioni, padre di essa, avendo i primi suoi anni consumati negli esercizii più quieti delle filosofiche discipline, dopo essere stanco da una lunga e faticosa amministrazione della repub

CAPITANO DELLE GUARDIE A CAVALLO DELL'A. R. blica, ritornò ad essi di buona voglia, e quasi a

DEL SERENISS. GRANDUCA DI TOSCANA.

suo dolce nido ricoverò di nuovo coll' ali aperte in seno alla filosofia; così V. S. illustrissima dopo tante gloriosissime e orrevolissime sue legazioni, dopo il maneggio d' ardui e rilevantissimi affari, ha rivoltati i suoi pensieri alla protezione e al Nel dare di nuovo alle stampe il presente coltivamento delle nobili arti e delle buone lettere, DIALOGO, opera del famoso messer Benedetto Var-laonde per sua cura e industria in gran parte si chi, e anche una delle più vaghe e di quelle che vede promossa una grand' opera che illustrerà il più lustro apportano alla nostra favella, ho deter-secolo nostro, e più la nostra patria; e si ammira minato di consecrarlo al nome chiarissimo di V. S. il suo gabinetto ornato d'un tesoro pregialissimo illustrissima con questo principal fine, di dimostrare di tanti volumi di stampe, e di disegni de' più gran in cospetto al mondo tutto l'onore pregiabilissimo valentuomini, e d'una scelta rarissima di libri tutti che io godo d' essere ascritto nel numero de' suoi ottimi, e singolari d'ogni scienza e d'ogni maniera servidori, benchè quanto ricolmo di buona volontà, d'erudizione. A lei adunque per tutti questi capi altrettanto inutile per poco potere. Ma conoscendo io doveva quest' Opera consacrare e quella diliquesta mia insufficienza, si per la grandezza di V. genza che intorno ad essa ho speso, acciocchè V. S. illustrissima, e sì per la tenuità miu, ho pen- | S. illustrissima insieme colla persona mia la prenda sato in quella maniera che per me si può, testifi-sotto la sua efficace e valida protezione, dalla becarle la devozione del mio animo; il che non posso nigna aura della quale avvalorato, possa, senza fare che con parole, ed opera d'inchiostro; nè timore de' fiati maligni, tentare, come ho procurato sono, mi credo, da imputare d'un tributo si scarso, finora, d' apportare, se mi fa possibile, alcun copoichè tutto quello che io posso, le dono libera-modo alla pubblica utilità; e le fo umilissima remente. Io poi ho anche reputata molto conveniente verenza. e proporzionata offerta per V. S. illustrissima questo elegante lavoro d' un nostro cittadino, dove delle lingue si ragiona distesamente, e sì ancora della poetica e della più scelta e fiorita erudizione toscana; poichè questi studii sono stati sempre le delizie sue più gradite ne' suoi primi anni, e nell'ore dipoi in cui Ella ricreava l'animo da cure mag

Di V. S. illustrissima

Umiliss. e Obbligatiss. Servitore
G. B.'

'Sotto queste iniziali si nasconde il celebre monsi

gnore Giovanni Bottari, così benemerito delle lettere nostre per le tante correttissime edizioni che procurò de' classici nostri scrittori.

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Umilissimi e devotissimi servitori
FILIPPO GIUNTI E' FRATELLI.

LETTERA DEDICATORIA DEL VARCHI.

ALL'ILLUSTRISSIMO

ED ECCELLENTISS. SIG. SUO E PADRONE OSSERVANDISS.

IL SIGNOR

DON FRANCESCO MEDICI

1

PRENCIPE DELLA GIOVENTU' FIORENTINA
E DI QUELLA DI SIENA

UMILE E DEVOTISSIMO SERVO

BENEDETTO VARCHI

Sogliono gli ardenti desiderii, serenissimo Principe, se lungo tempo tollerati si sieno, non altramente che la sete, ammorzarsi; ma nel presente DIALOGO DELLE LINGUE è avvenuto dirittamente il contrario. Perciocchè, siccome niuna cosa fu mai da questo secolo disiderata ed aspettata con più avidilà, ed a niuna altra pareva che fosse più intento, mentre durò quell' ardore e quella contesa sopra la Canzone del Caro, fra lui e'l Castelvetro, la quale mosse il Varchi a comporlo, così ora, passato via quel fervore, e tolta quella occasione quasi del tutto delle menti degli uomini, dopo molti non pur mesi, ma anni, niuna con più prontezza e con maggiore studio comunemente da tutti gli uomini è stata mai ripigliata; in guisa che si vede manifesto che questa voglia non era, come l'altre, per lunghezza di tempo venuta meno, ma per alcuno spazio quasi per istanchezza intermessa e come addormentata, Perciocchè non prima si divulgò, che il vero e proprio originale di questo DIALOGO (il qual solo di alcune altre copie che più anni avanti concedute n'aveva) fu dall' istesso Varchi, si può dire, negli ultimi giorni della sua vita, quasi presago del suo Tutte le cose che si fanno sotto la Luna, si fine, emendato, e in molti luoghi ricorretto, e po- fanno, illustrissimo ed eccellentissimo Prencipe, o scia alla sua morte con tutto l'animo raccomandato dalla natura, mediante 3 Dio, o dall'arte, mediana molti amici suoi che presenti vi si ritrovarono, te gli uomini. Delle cose che si fanno dalla natura, e in ispezie al Rev. P. Don Silvano Razzi, monaco Camaldolense, lasciato anco da lui insieme col reverendissimo monsignor Lenzi, vescovo di Fermo, esecutore del suo testamento, era non senza molta nostra diligenza, e con spesa e fatica nostra pervenuto a noi nelle mani, che in un tempo da infiniti luoghi in moltissima copia e con grandissima istanza per ambasciate e per lettere ci concorsero i chieditori. Il qual libro, essendo oramai nella più bella forma che per noi è stato possibile, pervenuto alla fine della sua impressione, quello (siccome già ne fu alla A. V. dall'Autore stesso fatto parti-Francesco de' Medici. Ma chi ha senno vede quanto sia colar dono, così ora per opera di noi pubblico di- frivola l'osservazione del Tassoni, e quanto il titolo dato venuto) a V. A. e per debito della servitù nostra e dal Varchi al De Medici superi in onore e nobiltà qualcon tutta la devozione del nostro animo, quasi ri-unque altro. consegniamo; poichè egli è suo, non pur come cosa del Varchi sua creatura e vassallo, non solamente per disposizione di colui che l'ha fatto, 3 Il Castelvetro nella stessa Opera, a carte 76, vornon tanto per la preminenza che ella ha sopra la rebbe che il Varchi avesse detto: da Dio, mediante la parte principale del soggetto, cioè sopra la Fioren- natura, o dagli uomini, mediante l'arte. Questione di notina lingua, ma oltre a ciò, siccome cosa pubbli- delle cose o divina o umana, che Iddio o gli uomini dipme. Il Varchi per natura e arte, intese la prima idea cata da noi, i quali niuna cosa abbiamo che dal-poi mettono in esecuzione. Bottari. · Varchi, qui esclama l'A. V. primieramente non sia, e che del tutto da il Tassoni, voi fate una bestemmia e forse volete dire il essa e dalla sua benignità non riconosciamo. De-contrario. E queste vostre parole potrebbero più di quello gnisi pertanto ricevere (qualunque elle si sieno) scorso di parola, il Tassoni bestemmiò orrendamente, e che sono, esser vere. Buono! correggendo il Varchi d' uno quelle divotissime offerte che da noi venire le pos- da cuore!

Il Castelvetro nella Correzione di alcune cose del Dialogo delle lingue di Benedetto Varchi, stampata in Basilea nel 1572, a carte 75, critica questo titolo usato già da' Latini, e tutta questa lettera, ma per lo più troppo sofisticamente. BOTTARI. Vedi l'opuscolo del Castelvetro qui appresso all' Ercolano. Principe della gioventù era titolo d' onore, non d'imperio, a quel modo che oggi si direbbe specchio, modello de' giovani. Il Tassoni non meno sofistico del Castelvetro, dice: Questa appellazione di Prencipe significante dignità e maggioranza fra i giovani, in luogo di quella che significa piena signoria e giurisdizione universale, scema e sottrae assai di quell' ampiezza d'onore, che si conveniva ed era propria al Prencipe Don

2 Errore in grammatica segue qui a dire il Tassoni, che dal Castelvetro, capo e re de' gramuffastronzoli. accennando forse al si fanno, modo che fu ripreso an

mediante Dio, la più nobile e la più perfetta è, sen-|potendo alcuna cosa avere se non una forma sola, za alcuna controversia, l'uomo, sì in quanto alla non può essere se non un solo, dove gl'intelligibili materia sua, cioè al corpo1, il quale, non ostante che possono esser tanti, quanti sono gl'intelletti, e consia generabile e corrottibile, come quello degli altri seguentemente quasi infiniti; perchè da quanti intelanimali, è nondimeno il più temperato e il meglio letti è intesa e riserbata alcuna cosa, tanti esseri organizzato, e insomma il più degno e il più ma-intelligibili viene ad avere, e per conseguenza a raviglioso, che ritrovare si possa; e sì massima- perpetuarsi quasi infinitamente, e ciò in due modi, di mente in quanto alla forma, cioè all' anima; con- tempo e di numero, potendo essere intesa da infiniti ciossiacosachè l'intelletto umano posto (come dice- | intelletti infinito tempo; cosa veramente divina e olva quel grandissimo arabo Averrois) nel confine tra tutte le meraviglie maravigliosa, posciachè queldel tempo e dell'eternità, come è l'ultima e la men lo che non potette far natura per la imperfezione perfetta di tutte l'intelligenze divine e immortali, co- della materia, cioè perpetuare gl' individui in sè stessi, sì è la prima e la più nobile fra tutte le creature fece doppiamente l'arte per la perfezione dell' inmortali e terrene. Delle cose che si fanno dall' arte, telletto umano. A voler dunque che qualsiasi cosa mediante gli uomini, lo scrivere, non lo scrivere sem-consegua la più nobile perfezione e la più perfetta plicemente, ma lo scrivere copiosamente e ornata-nobiltà, e insomma la maggior felicità e beatitudine mente, cioè con eloquenza, è la più disiderabile che si possa, non dico avere in questo mondo, ma da tutti, e la più disiderata dagl'ingegni nobili, non desiderare, è' farla eterna; e a volerla eternare, dico che sia, ma che esser possa. La qual cosa, per-bisogna farla intendere dagl' intelletti umani; e a chè non dubito che debba parere a molti come nuo-farla intendere agl' intelletti umani, ci sono tre vie va, così ancora strana, e forse non vera, provere- senza più, due imperfette, e ciò sono la pittura e mo chiarissimamente in questa maniera. la scultura, che fanno conoscere solamente i corpi

Credete voi che Cesare o Marcello
O Paolo od African fossin cotali
Per incude giammai, nè per martello?
Pandolfo mio, quest' opere son frali

Tutte le cose, qualunque e dovunque siano, per lo a tempo, e una perfetta, cioè l' eloquenza, la quale innato disiderio d'assomigliarsi al facitore e manteni- | fa conoscere non solamente i corpi, ma gli animi, tore loro, cioè a Dio ottimo e grandissimo, quanto non a tempo, ma perpetualmente. E questo è quello sanno e possono il più, disiderano ciascuna sopra che volle dottissimamente, e non meno con verità che ogni cosa l'essere l'essere è di due maniere, sen- con leggiadria, significare M. Francesco Petrarca 2, sibile ovvero materiale e intelligibile ovvero immate- quando scrivendo al signor Pandolfo Malatesta da riale; l'essere sensibile è quello che ciascuna cosa Rimini, così famoso nelle lettere, come nell' armi, ha nella sua materia propria fuori dell' anima al- disse: trui, come (per cagion d'esempio) un cane o un cavallo considerato in sè stesso come cane o come cavallo; l'essere intelligibile è quello che ciascuna cosa ha fuori della sua propria materia nell'anima altrui, come un cane o un cavallo considerato non in sè stesso, ma come egli è inteso dall' intelletto umano e in lui riserbato, il quale per questa cagione si chiama da' filosofi il luogo delle spezie, ovvero delle forme, cioè dei simulacri e delle sembianze, ovvero similitudini delle cose intese, e per conseguenza ricevute da lui. Di questi duoi esseri per dir così, non il sensibile, il quale essendo materiale, è necessario che quando che sia si corrompa, ma l' intelligibile, il quale essendo senza materia, può durare sempre, è fuori d'ogni dubbio il più degno, e conseguentemente il più disiderabile; onde un cane o un cavallo, e così tutte le altre cose hanno più perfetto essere e più nobile nella mente di chiunque l'intende, che elleno non hanno in sè stesse; anzi in tutto questo mondo inferiore nessuna cosa, essendo tutte composte di materia, può avere nè più nobile essere, nè più perfetto, che nell' intelletto umano, quando ella è intesa e riserbata da lui; e quanto è più nobile e più perfetto l'intelletto che intende alcuna cosa, tanto ha quella cosa, la quale è intesa, più perfetta e più nobile essere; senza che, l' essere sensibile, non

il corpo, leggono altre stampe.

L' ediz. Fior. 1846, procurataci dal Dal Rio, su tutte le altre pregiata, omette qui un inciso assai importante, leggendo: Delle cose che si fanno dall'arte mediante gli uomini, lo scrivere copiosamente e ornatamente, cioè ecc.

A lungo andar, ma 'l nostro studio è quello Che fa per fama gli uomini immortali3. Dunque, se l'essere è la prima e la più degna, e la più non solo desiderevole, ma desiderata cosa che sia, anzi, che esser possa, e l'essere intelligibile è più nobile e più perfetto senza comparazione dell' essere sensibile, e le belle e buone scritture ne danno l'essere intelligibile, certa cosa è che lo scriver bene e pulitamente è la più nobile e la più perfetta cosa, e insomma la più disiderevole non solo che facciano, ma eziandio che possano fare gli uomini per acquistare eterna fama e perpetua gloria o a sè medesimi, o ad altri, e conseguentemente o per vivere essi, o per far vivere altrui infinite vite, infinito

Qui crede il Mauri (ed. Milan. per il Bettoni) che manchi le parole mestieri, bisogno, necessario; ma erra di santa ragione, conciossiachè quell' a voler la fa da sostantivo reggente, quasi dicesse: il voler, ed è modo bellissimo e non raro presso i Classici. Le parole del Varchi, ridotte alla moderna, tornano a queste: Il voler render in terra una cosa perfettissima, nobilissima e felicissima, è un farla eterna, e a volerla eternare bisogna ecc.

2 Petrarca, Sonetto XII, parte IV, ediz. Le Monnier, 1845.

3 In questa parte v'ingannate, M. Varchi; perchè il Petrarca non antipone la poesia per cagion di memoria alla scoltura se non per un rispetto, cioè per l'eternità, e non per l'altro, cioè perchè faccia vedere le cose visibili ed invisibili. TASSON!.

tempo1. E di qui si dee credere che nascesse, che gli | nuova 1, e mostratala ad alcuni carissimi amici antichi, così poeti, come prosatori, erano in tanta e onorandissimi maggiori miei, eglino, i quali stima tenuti, e in così grande venerazione avuti in comandare mi poteano, mi pregarono strettissimatutti i paesi, e appresso tutte le genti quantunque mente che io dovessi, innanzi che io mandassi fuori barbare; e che Giulio Cesare, ancorchè fosse non cotal risposta, fare alcuno trattato generalmente someno eloquente che prode, portava una grandissima, pra le lingue, e in particolare sopra la Toscana e ma lodevolissima invidia a Marco Tullio Cicerone, la Fiorentina; e poi così pareva a me, come a loro, dicendo essere stato maggior cosa, e vie più degna mostrare quanto non giustamente hanno cercato molti, di loda e d'ammirazione l'aver disteso e accresciu- e cercano di tôrre il diritto nome della sua propria to i confini della lingua latina, che prolungato e lingua alla vostra città di Firenze. È adunque tralle allargato i termini dell'imperio romano. Onde non principali intenzioni mie nel presente libro, il quale senza giustissima cagione affermano molti, con assai io dedico per le cagioni sopra dette a Vostra Ecminor danno perdersi le possessioni de' regni, che cellenza, la principalissima, il dimostrare, che la lini nomi delle lingue; e che maggiormente deve dolersi gua colla quale scrissero già Dante, il Petrarca e la città di Roma e tutta l'Italia delle nazioni stra-il Boccaccio, e oggi scrivono molti nobili spiriti di niere, perchè elleno le spensero sì bella lingua, che tutta Italia e d'altre nazioni forestiere, come non perchè la spogliarono di sì grande imperio; e io è, così non si debba propriamente chiamare nè corvorrei che alcuno mi dicesse quello che sarebbero tigiana, nè italiana, ne toscana, ma fiorentina; e gli uomini, e quanto mancherebbe al mondo, se che ella è, se non più ricca e più famosa, più bella, non fossero le scritture così de' prosatori, come più dolce e più onesta che la greca e la latina non de' poeti. sono; la qual cosa se io ho conseguita o no, niuno Queste sono le cagioni, illustrissimo ed eccellen-nè può meglio, nè dee con maggior ragione voler tissimo Prencipe, perchè io, senza avere alla mia bas-giudicare, che l' Eccellenza Vostra e quella dell' Ilsezza risguardo avuto, ho preso ardimento d'indi- lustrissimo padre vostro, sì per l' intelligenza e interizzare all' Altezza Vostra un Dialogo fatto da me grità, e sì per l'imperio e potestà loro; dalla cui novellamente sopra le lingue. E di vero, se io al-finale sentenza, come niuno appellare non può, così tramente fatto avessi, egli mi parrebbe d'aver com- discordare non doverebbe; e nondimeno io per tutto messo scelleratezza non picciola, perciocchè, oltra che quello o poco, o assai che a me s'aspetta, sono conio sono e servo e stipendiato2 del sapientissimo e giu- tentissimo di rimettermi liberalissimamente ancora stissimo non meno, che grandissimo e fortunatissimo al giudizio di tutti coloro, a cui cotal causa in quapadre vostro, e conseguentemente di voi, la materia lunque modo e per qualunque cagione appartenere della quale si ragiona, è tale, che ad altri che alla si potesse, solo che vogliano non l' altrui autorità, Sua, o alla Vostra Eccellenza indirizzare giusta-ma le ragioni mie considerare, e più che l'interesse mente non si potea. Ma considerando io il grandissimo proprio, o alcuno altro particolare rispetto, la vepeso delle tante e tanto grandi e così diverse fac- rità risguardare, come giuro3 a Vostra Eccellenza cende che ella nel procurare la salute e la tranquil-per la servitù e divozione mia verso lei e per tutte lità del suo fiorentissimo e fedelissimo stato di Fi- quelle cose le quali propizie giovare e avverse nuorenze e di Siena continovamente regge e sostiene, cere mi possono, d'aver fatto io. giudicai più convenevole e meno alle riprensioni sottoposto il mandarlo a voi.

La cagione del componimento del Dialogo fu, che avendo io risposto per le cagioni e ragioni lungamente e veramente da me narrate, alla Risposta di M. Lodovico Castelvetro da Modona fatta contra l'Apologia di M. Annibale Caro da Civita

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Resterebbemi il pregarla umilmente, che si degnasse d'accettare questo dono, tutto che picciolo e non ben degno della grandezza sua, volentieri e con lieto viso ; ma io sapendo che ella premendo tutte l'orme in così giovenile età, e calcando altamente tutte le vestigia di tutte le virtù paterne, è non meno benignamente severa, che severamente benigna, la pregherò solo, che le piaccia, per sua natía bontà di mantenermi nella buona grazia di lei, e di tutta l'Illustrissima ed Eccellentissima Casa sua; la quale nostro Signore Dio conservi felicissima e gloriosissima sempre.

"Non si scrive per questo rispetto solo, ma per ac"quistar utile e diletto a sè e agli altri: onde dice O"razio: O vogliono i Poeti dilettare, o vero utili al mondo essere e buoni. Così il Tassoni, il quale accenna a questi due versi dell' Arte Poetica: Aut prodesse volunt, aut de- Tutti sanno l'arrabbiatissima lite che fu tra il Caro lectare Poetae, Aut simul et jucunda et idonea dicere vitae. e il Castelvetro per cagione della Canzone de' Gigli DAL RIO. Chi legga fino alla fine questo capo vedrà d' Oro, composta dal primo, e censurata dall' altro. che il Varchi non pretermise di fatto le idee soggiunte 2 Se questa non è vanità, M. Varchi, quale sarà mai dal Tassoni. vanità? TASSONI.

2 salariato si dice, fiorentinamente parlando. TASSONI 3 Il cav. Stradino affermò pure che questo Dialogo fu molti anni prima veduto che nascesse questa disputa: onde, come servo, potete ben tenere de la natura servile, dicendo una bugietta. TASSONI.

3 Il giuramento fatto fuor di tempo e non richiesto da chi lo può richiedere è segno più che manifesto de la condizione de le persone vili, plebee e serve, come hanno considerato coloro che parlano dell' idea de' costumi plebei. TASSONI.

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