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tentasse di elevare a lingua scritta i propri vernacoli municipali, giovandosi per una parte di elementi suoi propri, e non potendo sfuggire per l'altra alle influenze troveriche, le quali dovevano essere già antichissime in lei. Prendiamo nel suo insieme il manoscritto veneziano di cui abbiamo parlato. Desso contiene sei canti, che tutti riguardano le imprese carolingie. Ognuno però di questi sei canti deve avere avuto un suo proprio autore: e la lingua di ognuno di essi è là per dirlo. Nè la lingua sola, ma il contenuto. Uno di questi autori si contenta di andare liberamente sulla falsariga d'una canzone francese; un altro se ne scosta di più; un terzo inventa fatti nuovi, un quarto a storie già note aggiunge episodi suoi; tutti cambiano nomi ai vecchi e già consacrati eroi dell'epopea carolingia, e più d'uno tra essi porta la scena del suo racconto in Italia. Che più? Il codice rimane non finito:

Da qui avanti se renova la cançon,

dice lo scrittore, e subito dopo si legge explicit liber. A noi la cosa apparisce chiarissima: un compilatore ha raccolto codesti sei canti, congiungendoli insieme alla peggio; ma ognuno dei sei canti ha un autore suo proprio. La compilazione doveva seguitare, ed il seguito è annunziato: altri poemi popolari dovevano entrare nel quadro. Perchè ciò non siasi poi fatto sarebbe vano indagare. Basta che resti quel verso a dirci che nuove canzoni seguiranno. Tali canzoni dunque esistevano: tutta l'epopea di Carlomagno erasi trapiantata in Italia, ed andava acclimatandosi tra noi, prendendo un colorito diverso da quello che aveva in Francia, nelle sue forme esterne ed interne (1).

Ed ecco in prova di ciò nuovi fatti. Un padovano compone un lungo poema sulle imprese di Carlo Magno in Ispagna (2); e lo compone non già seguendo l'e

(1) Il Signor G. Paris, nell'opera già molte volte citata, scrive del cod. XIII della Marciana: « . . . . la compilation porte en effet tous les caracteres d'un oeuvre destinée a étre chantée au peuple. Sa popularité se montre principalement dans la liberté avec laquelle l'auteur traite son sujet, liberté que nous n'avons pas trouvée dans les imitations germaniques, dues à des poëtes plus lettrés. La matière de France, tout en conservant une forme à demi française encore, commence déjà à prendre une couleur propre, où se démèlent et la nationalité et l'individualité même de l'imitateur. » A noi non sembra che si possa parlare di un solo autore. Abbiamo studiato lungamente il manoscritto Marciano, e ci parrebbe che tutto concorra a provare che un compilatore ha in esso riunito i poemi di varii autori. Lo stesso signor Paris dice che c'è differenza tra la lingua per esempio del ramo di Beuve d'Hanstone e quella di Berte. « Le caractère du texte change ecc.; la langue et la versification prennent une couleur tout autre. » Ma se l'autre fosse uno solo, come queste differenze?

(2) Cod. XXI fr. della Biblioteca Marciana. Cf. sull'Entrée en Espagne l'articolo di Gautier nella Biblioth. de l'École des Chart., IV, 4., 219 seg.; il medesimo Gautier, Les Epop. Franc., II, 328 segg.; G. Paris, Hist. poet. de Charl., 175 segg.

Ecco i versi nei quali i'autore si nomina:

Mon nom vos non dirai, mai sui Patavian,

De la citez qe fist Antenor le Troian,

En la joiose marche del cortois Trevixan,
Près la mer a X lieues o il est pius prosan

Et comme Nicolais à rimer l'a complue.

Sembra che Nicola da Padova oltre il poema della Spagna, altri ne scrivesse, oggi perduti.

BARTOLI. Letteratura Italiana.

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popee francesi, non già modellandosi sopra di esse, ma anzi ricorrendo a fonti originali, e più che alle fonti, alla propria fantasia, e forse a tradizioni indigene e popolari. Egli scrive con vivacità, con eloquenza e con ricca immaginazione (1) più di ventimila versi; Turpino stesso, egli dice, che aveva composta una cronaca, la quale non era bene intesa

fors que da gient letrée,

Une noit en dormant me vint en avisée,

Comanda moi e dist, avant sa desevrée,

Que por l'amor saint Jaques fust l'estorie rimée,

Et par ce vos ai je l'estorie comencée,

A ce qe ele soit entendue et cantée.

L'opera di Nicola da Padova è anch'essa dunque fatta per essere cantata al popolo, alla gente che non sapeva di lettere (il che significa qui di latino); ma l'antore riesce poi più letterato di quello ch'egli stesso forse non voleva; ed è buono a notarsi come egli assegni al suo libro lo scopo di castigare i codardi, di render cortesi i villani, e saggi i reggitori del popolo :

Por voloir castoier li coarz et li van,

E fer en cortoisie retorner li vilan,

E les retors de tere encroire en coseil san,

Me sui mis à trover

col che si accenna alla influenza civile ch'ebbero ad avere i canti cavallereschi coi loro ideali di prodezza, di lealtà, di cortesia.

Una lunga parte del poema del Padovano è, come dicemmo, originale, egli stesso n'è autore, en sui estez houtor; cioè ei si allontana dai racconti dei poemi francesi, per ispaziare a seconda della propria immaginazione, conducendo in Oriente i suoi eroi, e facendovi compire da essi le imprese più grandi.

La lingua è al solito un francese italianizzato: sebbene diverso da quello dei canti del codice XIII. La differenza ci sembra che consista nell'essere l'opera del padovano più letteraria, nell'aver egli meglio conosciuto certe regole e nell'averle applicate: ci si sente più l'uomo di studio che scrive per l'ambizione d'esser letto, mentre i poemi precedentemente esaminati sono lavoro più inconsciente, più spontaneo, meno riflesso. Ma però anche l'Entrée en Espagne appartiene al medesimo genere, cioè a quella letteratura intermediaria tra Francia ed Italia, che segna al nord il principio dell'arte italiana.

E come l'Entrée en Espagne, così la Prise de Pumpelune (2), altro poema da alcuno creduto del medesimo autore del precedente (3), il quale non corrispondendo a nessun testo francese conosciuto, deve pure tenersi per lavoro d'invenzione ita

(1) Cosi giudica il signor Paris.

(2) Cod. Marciano fr., n.o V.

(3) Il signor Paris sostiene che la Prise de Rumpelune è un frammento della seconda parte dell'Entrée en Espagne, e che n'è autore Niccola da Padova (Hist. Poet. de Charl. 173). Ma questa sua opinione è combattuta dal signor Paolo Meyer, con quella acuta e severa critica di cui egli è maestro, nelle sue Recherches sur l'Epopée Française, 45, 46 47; dove egli conclude che la Prise de Pampelune « est plus italienne que le poëme de Nicolas. >

liana, nel quale si ha una lingua fortemente e regolarmente (1) italianizzata, e vi si leggono molte reminiscenze classiche (2). ed è messo in scena anche un re de' Lombardi, Desiderio, di cui si fa difensore presso Carlo Magno, contro i Tedeschi Rolando stesso, esprimendosi così l'odio tradizionale tra i due popoli (3).

Nè basta ancora. Altri codici veneziani contengono altri poemi, dal più al meno, tutti appartenenti a quel movimento letterario franco-italico del secolo XIII di cui andiamo parlando. I Codd. IV e VI hanno due poemi dell'Aspremont (4), che conservano traccia di mano italiana, sia dessa di un copista, come dice il Littrè, di un rifacitore (5). Lo stesso dicasi del poema di Roncisvalle (6), del Gui de Nanteuil

(1) La Prise de Pampelune fu pubblicata dál prof. Mussafia (Altfranzösische Gedichte aus Venezian. Handschr.) con la dottrina e la cura che distinguono il dotto professore di Vienna. Egli studia nella prefazione la lingua di questo poema, e viene

questa conclusione: « Die sprachlichen Eigenthümlichkeiten, welche dieser Texte darbietet, sind so consequent durchgeführt und stehen mit dem streng bewahrten Metrum so sehr im Einklange, dass sie nicht von einem Abschreiber oder Ueberarbeiter herrühren konnen; die Dichtung liegt uns vielmehr in ihrer ursprünglichen Fassung vor. Ihre Heimat ist im Süden, und zwar vorzugsweise in Italien zu suchen, wo sowol die provençalische als die nord französische Poesie viele und eifrige Pfleger zählte » (pag. XIV).

(2) Cf. Mussafia, Einleitung, VI.

(3) G. Paris, op. cit., 177.

(4) Li fece conoscere Bekker, in Abhandlungen der K. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 1839.

(5) Hist. Litter. de la France, XXII, 318. —A Parigi si conservano due Mss. dell'Aspromonte en mauvais français d'Italie (Hist. Litter., XXII, 303), i quali sono il 1598 e il 7618. In fine di quest'ultimo si legge il nome di Ioannes de Bononia. Ne parla Guessard nella prefazione al Macaire, e Gautier, II, 64. Della popolarità dell' Aspromonte in Italia sono prova, oltre i tre ultimi libri dei Reali di Francia scoperti da Ranke (Abhandl. d. k. Akad. d. Wissensch, zu Berlin, 1835), le molte edizioni del secolo XV e XVI (Cf. Melzi, Rom. Cavall.). — Noi, sia per questa ragione, sia per l'esame de' Mss. marciani, sia per le cose stesse dette da Guessard, non crediamo che tutto si limiti al solito agli spropositi di un copista, fatti per rendere intelligibile la lingua francese al pubblico italiano. Cod. VI dell'Aspromonte contiene anche una Storia della Passione di cui ecco alcuni versi:

Apres la passe, quand Yesus dure paine
Doul e travaille sol por la iens humaine
Por nos garir da li diables maine

Li voir Jesus ses disciples amaine
Dedens uns ort, dont la flor fu saine;

Che bien savoit e chonuit por certaine
Che ensir i convint de ceste vie terraine.

Essa si cominciò a pubblicare dal signor A. Boucherie, nella Revue des Langues Romanes, di Montpellier, genn. e apr. 1870.

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(6) Cod. IV e VII. Cf. Bekker, op. cit. Del Cod. Veneziano si valse Müller, per la sua edizione della Chanson de Roland, nach der Oxforder Handschr. Göttingen, 1863; e

fu di recente pubblicato per intero da Hoffmann, in appendice agli Atti dell'Accademia di Monaco. Notiamo che anche il testo di Oxford è italianizzato. Più poi il Veneziano. Basti questa brevissima citazione del Cod. IV:

Quand Rolland vid che la mort l'entroprant
Ius de la testa sur li cors li desant.

Desuz un pin est aleç corant,
Sur l'erbe verde sı çe colçe cassant.
Desor lui se mist sa spea e l'olifant,
Tornet son cef vers Espagna la grant
Che, Carlo die es toute sa çant,

Li gentils cans, qu'il seit mort combatant.
Il bat soa colpe, si trait Deus à garant,
Por ses pecieç, ver Deus tend ses mant.

(1), di Aliscans (2), di Foulques de Candie (3), del Romanzo d'Ettore (4). Noi abbiamo la prova che anche in tempi molto posteriori durò in Italia quest'uso di un francese semi-italiano, se nel 1358 potè Niccolò da Casola scrivere il poema di At

(1) Cod. X, pubblicato dal signor Meyer nel Vl vol. degli Anciens Poetes de la France. (2) Cod. VIII.

(3) Cod. XIX e XX. Aliscans e Foulques appartengono al ciclo di Guillaume au Court nez. Cf. Gautier, Ep. Fr., III, 435-36, dove è anche un breve saggio dell'Aliscans Veneziano. Altro saggio più lungo ne pubblicò Keller, Romvart, 29-38.

(4) Il Liruti, come è noto, nelle sue Notizie de' Letterati del Friuli (1, 301 segg.) dice che Lodovico Conte di Porcia scrisse in francese una Vita di Giulio Cesare, che il Liruti stesso vide in un Codice di Lorenzo Patarolo, a Venezia; e soggiunge che nello stesso Codice seguiva un poema, parimente francese, sopra Ettore Trojano, che comincia « Nos trovons por escripture », ecc. Già il signor Banchi (I fatti di Cesare, Bologna, Romagnoli, 1863, pag. XXVIII, XXIX) con buone ragioni combattè l'opinione del Liruti, che la vita di Cesare fosse scritta dal Porcia. Resta però il poema di Ettore, intorno al quale noi possiamo dare qualche notizia. Il signor Paolo Meyer ha voluto cortesemente comunicarci un suo Rapporto sui manoscritti di Oxford (che non sappiamo se sia ancora pubblicato), dal quale prima di tutto abbiamo rilevato che il Codice Pataroliniano è ora tra i Canoniciani di Oxford, ossia tra quei manoscritti preziosi di Matteo Luigi Canonici, gesuita veneziano fortunatissimo raccoglitore di cimelii molto rari (de' quali era compratore e rivenditore continuo), i quali dopo la sua morte furono venduti (1817) alla Bodlejana di Oxford (Cf. Fulin, Intorno ai Codici che sono fuori della Venezia, pag. 53, segg., nell'opera I Codici di Dante Alighieri in Venezia, 1865).

Di questo manoscritto Canoniciano (che porta a Oxford il n.o 450) dà il signor Meyer una descrizione che corrisponde identicamente a quella del Liruti. E della seconda parte di esso Codice, che contiene appunto il Romanzo d' Ettore, scrive esso signor Meyer che est incontestablement l'oeuvre d'un italien; onde bisogna aggiungerlo au groupe déja assez considérable des poëmes composés en français par des italiens, principalement par des lombards et par des venitiens. Egli soggiunge ancora di non conoscere che un altro esemplare solo di questo poema, nel Cod. 821. ant. 7209, della Biblioteca Imperiale di Parigi (su di esso cf. Hist. Litt., XIX, 670). Ma anche la Riccardiana di Firenze possiede il Romanzo d' Ettore (Cod. 2433, che ha per titolo Le Livre de Troye); e parimente la Marciana di Venezia (Cod. fr. XVIII, carte 143), il quale ultimo fu già fatto conoscere da Keller (Romvart, 94). Nel Cod. Pataroliniano di Oxford è in fine il nome dell'autore o del copista:

Senes l'escrit, scriptor nomes,

Cui Diex donit vie et sanites.

Suppone il signor Meyer che si possa identificare questo Senes col Cenat di Gui do Nanteuil, considerando l'autore del preambolo al Gui come copista del Romanzo d'Ettore -I Cod. Marciano finisce invece:

Da portuiel guiaume sui

Buen servir est gardier acui
Des cauces noires grand merci

De che ay escrit bien sui meri.

Chi è Guglielmo da Portuiel? Potrebbe forse pensarsi a Portule in Istria? O dovrebbo leggersi invece Port uiel, Porto vecchio? Noi inclineremmo a questa seconda supposizione. Portovecchio è un paese presso Portogruaro, nel Veneto appunto. Se poi sia possibil trovare qualche legame tra Senes (Senex) e Port viel. non sappiamo. Ecco qui, frattanto il principio del Cod. Riccardiano, che si può paragonare col Marciano, in Keller, Romv.:

tila (1); e se una donna lombarda riuscì ad acquistare in Francia, nel secolo stesso, fama di scrittore elegante.

Nè ancora furono abbastanza studiati i molti manoscritti francesi delle nostre biblioteche, dai quali probabilmente uscirebbero nuovi nomi e nuovi fatti, a conferma della diffusione della lingua d'oil, specialmente nell'Italia settentrionale. Nessuno

Nos trouvons per escriture

Que Hercules oltre nature
Fo fiers ardis sor tuit e grans,
Saze legiers sor tuit puisans;
Ne conbatis iames a nus

Que brief mant ne fust vanchus.
De luy tesmognient petis e grans
Qu'il sot metoit trestuit ieians,
E ocioit ors e lions,

Serpant centaures e draghons.
Ne fu au son tens en tot le mont
Tant fiers con luy noire ne blont,
Fors solement Hector le pros
Que d'honor querre fo famos,
Le fils Priam le noble roi,
Le miaudres hom de nulle loy.
Celuy fo fils croys de proesse
De chortesie e de lariesse,
De sens ardis oltre mesure
Fo voir parant e de doitrure;
En parlier fo sor tot plasans
Vers nul ne fu iames vilans,

Voir que en bataile fo aspres e durs
Plus que n'est peron ne murs.

Onble fo sor tuyt e playn

Com dit l'autor en cist romain;

Ne say pluy dire ne ne sauroye
Tant bien de luy que plus ne soye
Por ze men sofray a tant

E vos diray d'un autre chant.

Si vos diray se oldir voldres

Com le ieiant dans Hercules

Li fors li fier le sor e puisans,
A grant effors de garnimans,
A forze asiza Philemenis
Dedans li mur de son pais;
Ed est si grant le son effors
Que nuls ardist ensir de fors.
Hercules aloyt tot descrivant
Chastel masons e chasamans,
De fors le ville non remist
Pros ne hardis que non fist,
N'est pas merveille se'l fo temus
Tant fort estoit grant e membrus,

Il sormontoit trestoi ieians
Grans e petis tos nellamant,
N'est mervoille ce dit l'autor

Se a trestoit fesoit peor,

La verite que quant se sforze

De cent homes avoit la forze ..

(1) Poichè di questo poema inedito demmo altrove un brano, non sarà forse sgra lito

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