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cipio dissi: Le dolci rime d'Amor ch' io solia. Nella quale 60 io intendo riducere la gente in diritta via sopra la propria conoscenza della verace Nobiltà; siccome per la sentenza del suo Testo, alla sposizione del quale ora s' intende, veder si potrà. E perocchè in questa Canzone s'intende a rimedio così necessario, non era buono 65 sotto alcuna figura parlare; ma conveniasi per tostana via questa medicina ordinare, acciocchè tostana fosse la sanitade, la quale corrotta, a così laida morte si correa. Non sarà dunque mestiere nella sposizione di costei alcuna allegoria aprire, ma solamente la sen- 70 tenza, secondo la lettera, ragionare. Per mia Donna intendo sempre quella che nella precedente Canzone è ragionata, cioè la Filosofia, quella luce virtuosissima, i cui raggi fanno i fiori rinfronzire e fruttificare la verace degli uomini Nobiltà, della quale trattare pienamente 75 la proposta Canzone intende.

CAPITOLO II.

Nel principio della impresa sposizione, per meglio dare ad intendere la sentenza della proposta Canzone, conviensi quella partire prima in due parti; chè nella prima parte proemialmente si parla, nella seconda si seguita il Trattato. E comincia la seconda parte nel co- 5 minciamento del secondo Verso, dove e' dice: Tale imperò, che Gentilezza volse.

La prima parte ancora in tre membri si può comprendere. Nel primo si dice perchè dal parlare usato

10 mi parto; nel secondo dico quello che è di mia intenzione a trattare; nel terzo domando ajutorio a quella cosa che più ajutare mi può, cioè alla Verità. Il secondo membro comincia: E poichè tempo mi par d'aspettare. Il terzo comincia: E cominciando, chiamo quel Signore.

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Dico adunque che a me conviene lasciare le dolci rime d'Amore, le quali soleano cercare i miei pensieri: e la cagione assegno, perchè dico che ciò non è per intendimento di più non rimare d' Amore, ma perocchè nella Donna mia nuovi sembianti sono appariti, 20 li quali m' hanno tolta materia di dire al presente

d'Amore. Ov'è da sapere che non si dice qui gli atti di questa Donna essere disdegnosi e fieri, se non secondo l'apparenza, siccome nel decimo Capitolo del precedente Trattato si può vedere; ma, come altra 25 volta, dico che l'apparenza dalla Verità si discordava. E come ciò può essere, che una medesima cosa sia dolce e paja amara, ovvero sia chiara e paja scura, ivi sufficientemente veder si può.

Appresso quando dico: E poichè tempo mi par 30 d'aspettare, dichiaro, siccome detto è, quello che trattare intendo. E qui non è da trapassare con piè secco ciò che si dice di tempo aspettare, imperocchè potentissima cagione è della mia mossa, ma da vedere è come ragionevolmente el tempo in tutte nostre operazioni 35 si dee attendere, e massimamente nel parlare. Il tempo, secondochè dice Aristotile nel quarto della Fisica, è numero di movimento, secondo prima e poi; e numero di movimento celestiale, il quale dispone le cose di quaggiù diversamente a ricevere alcuna informazio40 ne; chè altrimenti è disposta la terra nel principio della

Primavera a ricevere in sè la informazione dell' erbe e de' fiori, e altrimenti lo Verno; e altrimenti è disposta una stagione a ricevere lo seme, che un' altra. E così la nostra mente, in quanto ella è fondata sopra la complessione del corpo, che ha a seguitare la circola- 45 zione del Cielo, altrimenti è disposta a un tempo, altrimenti a un altro. Per che le parole, che sono quasi seme d'operazione, si deono molto discretamente sostenere e lasciare, si perchè bene siano ricevute e fruttifere vengano, sì perchè dalla loro parte non sia difetto 50 di sterilitade. E però il tempo è da provvedere, sì per colui che parla, come per colui che dee udire: chè, se'l parlatore è mal disposto, più volte sono le sue parole dannose; e se l'uditore è mal disposto, mal sono quelle ricevute, che buone sono. E però Salomone dice 55 nell' Ecclesiaste: Tempo è da parlare, tempo è da tacere. » Il perchè io sentendo in me turbata disposizione, per la cagione che detta è nel precedente Capitolo, a parlare d' Amore, parve a me che fosse d'aspettare tempo, il quale seco porta il fine d'ogni desiderio, 60 e s'appresenta, quasi come donatore, a coloro, a cui non incresce d'aspettare. Onde dice santo Jacopo Apostolo nella sua Pistola, al quinto Capitolo: « Ecco lo › agricola aspetta lo prezioso frutto della terra, pazien> temente sostenendo, infinochè riceva lo temporaneo 65 » e lo serotino. » Chè tutte le nostre brighe, se bene vogliamo cercare li loro principj, procedono quasi dal non conoscere l'uso del tempo.

Dico, poichè tempo d'aspettare mi pare, diporrò cioè lascerò stare lo mio soave stile, cioè modo, che, 70 d'Amor parlando, ho tenuto: e intendo dicere di quello

Valore, per lo quale uomo è gentile veramente. E avvegnachè valore intender si possa per più modi, qui si prende valore quasi potenza di natura, ovvero bontà da 75 quella data, siccome di sotto si vedrà. E prometto trattare di questa materia con rima sottile e aspra. Per che saper si conviene che rima si può doppiamente considerare, cioè largamente e strettamente. Strettamente, s'intende per quella concordanza che nell' ultima e so penultima sillaba far si suole; largamente, s'intende per tutto quello parlare che con numero e tempo regolato in rimate consonanze cade; e così qui in questo Proemio prendere e intendere si vuole. E però dico aspra, quanto al suono del dettato, che a tanta materia $5 non conviene essere leno; e dico sottile, quanto alla sentenza delle parole, che sottilmente argomentando e disputando procedono.

E soggiungo: Riprovando il giudicio falso e vile, ove si promette ancora di riprovare il giudicio della 90 gente piena d'errore: falso, cioè rimosso dalla verità; e vile, cioè da viltà d'animo affermato e fortificato. Ed è da guardare a ciò, che in questo Proemio prima si promette di trattare lo Vero, e poi di riprovare il Falso; e nel Trattato si fa l' opposito; chè prima si riprova il 95 Falso, e poi si tratta il Vero; che pare non convenire alla promissione. E però è da sapere che tuttochè all'uno e all' altro s'intenda, al trattare lo Vero s' intende principalmente; e a riprovare lo Falso s' intende in tanto, in quanto la Verità meglio si fa apparire. E 100 qui prima si promette di trattare del Vero, siccome principale intento, il quale agli animi degli uditori porta desiderio d' udire; dove nel Trattato prima si riprova lo

Falso, acciocchè, fugate le male opinioni, la Verità poi più liberamente sia ricevuta. E questo modo tenne il Maestro della umana ragione, Aristotile, che sempre 10 prima combattéo cogli avversarj della Verità, e poi, quelli convinti, la Verità mostrò.

Ultimamente quando dico: E cominciando, chiamo quel Signore, chiamo la Verità che sia meco, la quale è quel Signore che negli occhi, cioè nelle dimostrazioni, 110 della Filosofia dimora. E ben è Signore, chè a lei disposata l'Anima è donna, e altrimenti è serva fuori d'ogni libertà.

E dice: Per ch'ella di sè stessa s'innamora, perocchè essa Filosofia, che è (siccome detto è nel prece- 115 dente Trattato) amoroso uso di Sapienza, sè medesima riguarda, quando apparisce la bellezza degli occhi suoi a lei. E che altro è a dire, se non che l' Anima filosofante non solamente contempla essa Verità, ma ancora contempla il suo contemplare medesimo e la bellezza 120 di quello, rivolgendosi sovra sè stessa, e di sè stessa innamorando per la bellezza del proprio suo guardare? E così termina ciò che proemialmente per tre membri porta il Testo del presente Trattato.

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CAPITOLO III.

Veduta la sentenza del Proemio, è da seguire il Trattato; e per meglio questo mostrare, partire si conviene per le sue parti principali, che sono tre: chè nella prima si tratta della Nobiltà secondo opinioni d'altri;

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