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riale, procedere oltre si conviene la mia digressione a 5 vedere di quella del Filosofo, secondo la promissione fatta. E qui è prima da vedere quello che questo vocabolo vuol dire; perocchè qui è maggior mestiere di saperlo, che sopra lo ragionamento della Imperiale autoritade, la quale per la sua Maestà non pare essere 10 dubitata.

È dunque da sapere che Autorità non è altro che atto d' Autore. Questo vocabolo, cioè Auctore, e senza questa terza lettera c, può discendere da due principj: l'uno si è d'un verbo, molto lasciato dall' uso in Gram15 matica, che significa tanto quanto legare parole, cioè AUIEO. E chi ben guarda lui nella sua prima vista, apertamente vedrà che ello stesso il dimostra, che solo di legami di parole è fatto, cioè di sole cinque vocali, che sono anima e legame d'ogni parola, e com20 posto d'esse per modo volubile, a figurare immagine di legame. Chè, cominciando dall'A, nell'U quindi si rivolve, e viene diritto per I nell' E, e torna nell' O; sicchè veramente immaginan questa figura A, E, I, O, U, la qual'è figura di legame. Ed in quanto Autore di25 scende di questo verbo, si prende solo per li Poeti, che coll'arte musaica le loro parole hanno legate: e di questa significazione al presente non s'intende.

L'altro principio, onde Autore discende, siccome testimonia Uguccione nel principio delle sue deriva30 zioni, è uno vocabolo greco che dice Autentin, che tanto vale in Latino, quanto degno di fede e d'obbedienza. E così Autore, quinci derivato, si prende per ogni persona degna d'essere creduta e obbedita. E da questo viene quello vocabolo, del quale al presente si tratta,

cioè Autoritade; per che si può vedere che Autoritade 35 vale tanto, quanto atto degno di fede e d'obbedienza.

Che Aristotile sia degnissimo di fede e d' obbedienza e che però le sue parole sieno somma e altissima autoritade, così provare si può. Intra operaj e artefici di diverse arti e operazioni, ordinati a una operazione o 40 arte finale, l'Artefice ovvero operatore di quella massimamente dee essere da tutti obbedito e creduto, siccome colui che solo considera l'ultimo Fine di tutti gli altri fini. Onde al Cavaliere dee credere lo Spadajo, il Frenajo e 'l Sellajo e lo Scudajo, e tutti quelli mestieri 45 che all'arte di Cavalleria sono ordinati. E perocchè tutte le umane operazioni domandano uno Fine, cioè quello della umana vita, al quale l'Uomo è ordinato, in quanto egli è uomo ; il Maestro e l'Artefice che quello ne di mostra e considera, massimamente ubbidire e credere 50 si dee; e questi è Aristotile: dunque esso è degnissimo di fede e d'obbedienza. Ed a vedere come Aristotile è

Maestro e Duca della gente umana, in quanto intende alla sua finale operazione, si conviene sapere che questo nostro Fine, che ciascuno disia naturalmente, anti- 55 chissimamente fu per li Savj cercato. E perocchè li desideratori di quello sono in tanto numero, e gli appetiti sono quasi tutti singolarmente diversi, avvegnachè universalmente si è uno, pur malagevole fu molto a scerner quello, dove direttamente ogni umano appetito si ripo- 60

sasse.

Furono dunque Filosofi molto antichi, delli quali primo e principe fu Zenone, che videro e credettero questo fine della vita umana essere solamente la rigida Onestà; cioè rigidamente, senza rispetto alcuno, la 65

Verità e la Giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E difinîro così questo Onesto: quello che senza frutto, per sè di ragione è da laudare. E costoro e la loro 70 setta chiamati furono Stoici: e fu di loro quello glorioso Catone, di cui non fui di sopra oso di parlare.

Altri Filosofi furono, che videro e credettono altro che costoro; e di questi fu primo e principe uno filosofo, che fu chiamato Epicuro, che veggendo che ciascuno 75 animale, tosto ch'è nato e quasi da Natura dirizzato nel debito fine, fugge dolore e domanda allegrezza, disse questo nostro Fine essere Voluptate; non dico voluntade, ma scrivola per p, cioè diletto senza dolore. E però che tra il diletto e 'l dolore non ponea mezzo alcuno; so dicea che Voluptade non era altro, che non dolore; siccome pare Tullio recitare nel primo di Fine de' Beni. E di questi, che da Epicuro sono Epicurei nominati, fu Torquato, nobile Romano, disceso dal sangue del glorioso Torquato, del quale feci menzione di sopra.

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Altri furono, e cominciamento ebbero da Socrate e poi dal suo successore Platone, che ragguardando più sottilmente, e veggendo che nelle nostre operazioni si potea peccare e si peccava nel troppo e nel poco, dissero che la nostra operazione, senza soperchio e senza 90 difetto, misurata col mezzo per nostra elezione preso, ch'è Virtù, era quel Fine, di che al presente si ragiona; e chiamârlo Operazione con virtù. E questi furono Accademici chiamati, siccome fu Platone e Speusippo suo nipote; chiamati così per lo luogo, dove Platone stu95 diava, cioè Accademia. Da Socrate non presono vocabolo, perocchè nella sua Filosofia nulla fu affermato.

Veramente Aristotile, che da Stagira ebbe soprannome, e Senocrate Calcidonio suo compagno, per l' ingegno quasi divino, che la Natura in Aristotile messo avea, questo Fine conoscendo per lo modo socratico 100 quasi ed accademico, affermâro, e a perfezione la Filosofia morale ridussero, e massimamente Aristotile. E perocchè Aristotile cominciò a disputare andando qua e là, chiamati furono (lui, dico, e li suoi compagni) Peripatetici, che tanto vale quanto Deambulatori. E perocchè 105 la perfezione di questa Moralità per Aristotile terminata fu, lo nome delli Accademici si spense; e tutti quelli che a questa sella s'appresero, Peripatetici sono chiamati; e tiene questa gente oggi il reggimento del mondo in dottrina per tutte parti, e puotesi appellare quasi 110 cattolica opinione. Per che vedere si può, Aristotile essere Additatore e Conducitore della gente a questo segno. E questo mostrare si volea.

Per che, tutto ricogliendo, è manifesto il principale intento, cioè che l'Autorità del Filosofo, che qui si 115 difende, sia somma e piena di tutto vigore. E non repugna alla Autorità Imperiale: ma questa senza quella è pericolosa; e quella senza questa è quasi debile, non per sè, ma per la disordinanza della gente: sicchè l'una coll' altra congiunta, utilissime e pienissime sono d'ogni 120 vigore. E però si scrive in quello di Sapienza: « Amate > il lume della Sapienza, voi tutti che siete dinanzi > a' popoli; cioè a dire: Congiungasi la filosofica Autorità colla imperiale a bene e perfettamente reggere. Oh miseri, che al presente reggete! e oh miserissimi, 125 che rêtti siete! chè nulla filosofica Autorità si congiugne colli vostri reggimenti, nè per proprio studio nè per con

siglio; sicchè a tutti si può dire quella parola dello Ecclesiaste: « Guai a te, Terra, lo cui Re è fanciullo, e li 130» cui Principi da mane mangiano; » e a nulla Terra

si può dire quello che séguita : « Beata la Terra, lo cui » Re è nobile, e li cui Principi cibano in suo tempo a >> bisogno e non a lussuria. » Ponetevi mente, nemici di Dio, a' fianchi, voi che le verghe de' reggimenti d'Ita135 lia prese avete. E dico a voi, Carlo e Federigo regi, e

a voi altri Principi e tiranni; e guardate chi a lato vi siede per consiglio; e annumerate quante volte il dì questo Fine della umana vita per li vostri consiglieri v'è additato. Meglio sarebbe voi, come rondine, volare 140 basso, che, come nibbio, altissime rote fare sopra cose vilissime.

CAPITOLO VII.

Poich'è veduto quanto è da reverire l'Autorità Imperiale e la Filosofica, che pajono ajutare le preposte opinioni, è da ritornare al diritto calle dello inteso processo. Dico adunque che questa ultima opinione del 5 Volgo è tanto durata, che senza altro rispetto, senza inquisizione d' alcuna ragione, gentile è chiamato ciascuno che figliuolo sia o nipote d'alcuno valente uomo, tuttochè esso sia da niente. E questo è quello che dice: Ed è tanto durata La così falsa opinion tra nui, Che 10 l'uom chiama colui Uomo gentil, che può dicere: i' fui

Nipote o figlio di cotal valente, Benchè sia da nïente. Per

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