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INTORNO AD UNA CANZONE E AD UN SONETTO ITALIANI DEL SEC. XII,

E AD UNA CANZONE SARDA, TRATTI DALLE CARTE D'ARBOREA,

LETTERA DI CARLO VESME

AL SIG. COMMENDATORE FRANCESCO ZAMBRINI

Presidente della Commissione pei Testi di lingua nell' Emilia.

Preg.mo Signore,

Torino, 29 settembre 1870.

È noto a V. S., come fino dall' anno 1846 il signor Pietro Martini di Cagliari, persona di specchiata onestà, ed alla quale per commune consenso appartiene uno dei primi luoghi fra i Sardi che nel presente secolo illustrarono la patria cogli scritti, cominciò la publicazione di una serie di nuovi documenti relativi alla Sardegna; e come il primo di quei documenti fu accolto con plauso, nè da alcuno si mosse dubio contro la sua sincerità; ma appena altri vennero in luce, e quel primo ed i seguenti furono generalmente o non curati, o condannati come spurii. Della non curanza fu principale cagione il trattarsi in quei documenti quasi esclusivamente della storia di Sardegna, generalmente negletta ed ignorata ed in Italia e fuori.

Ma già in uno dei primi publicati (l'anno 1849) dal Martini si trovava cosa, che aveva tratto particolarmente la mia attenzione: un non breve squarcio di poesia italiana di un Bruno de Thoro da Cagliari, il quale, dal contesto

dello scritto dove quella poesia era inserita, appariva aver fiorito nel secolo XII. Si aggiunge, che un' altra fra le pergamene allora acquistate dalla Biblioteca di Cagliari e da me vedute (1) conteneva, in copia contemporanea all'Autore, alcune altre poesie dello stesso Bruno. Io eccitava perciò l'amico Martini alla sollecita publicazione di quelle preziose antichissime poesie, ed a farne argomento di uno studio critico sui nostri più antichi poeti. Ma le molte difficoltà che una ed altra volta interruppero la publicazione da lui intrapresa delle Carte di Arborea, e l'essere le cure di quell' esimio Sardo più specialmente rivolte alla publicazione ed alla illustrazione dei documenti che riguardavano la storia fino a quel tempo monca ed oscurissima della sua Isola, resero vane le mie instanze. Parecchi anni dopo (1859) il valente paleografo Ignazio Pillito publicava una canzone e un sonetto di un altro fra i poeti di quella età, Lanfranco di Bolasco da Genova. Ma neppur questo valse gran fatto a volgere l'attenzione dei dotti su cotesti antichissimi avanzi della nostra volgar poesia.

Bene è vero, che a quel tempo la questione non aveva preso l'importanza, alla quale la portarono le scoperte posteriori. Venivano a conoscersi due poeti anteriori di un secolo ai più antichi noti finora, ma le tenebre che coprivano le origini della lingua e della poesia italiana non erano dissipate: quando e per opera di chi dai volgari parlati fosse sorta la lingua italiana; se fosse avvenuto tutto ad un tratto, od a poco a poco nel corso dei secoli; quali in que' principii fossero le relazioni della lingua italiana sia col latino, sia coi volgari della penisola, e nominatamente, siccome è innegabile ed evidente la stretta affinità

(1) Veggasi Nuove Pergamene d'Arborea da Pietro Martini; Cagliari, 1849, pag. 3 e 7.

fra la lingua italiana, ed i dialetti toscani e più particolarmente il fiorentino, quale di ciò fosse la cagione, e se l'italiano, il toscano e il fiorentino fossero una sola e medesima cosa, come pretendevano gli scrittori fiorentini del secolo XVI, ovvero se l'italiano sia bensì derivato dal parlare toscano e più specialmente dal fiorentino, ma pur fosse e sia cosa diversa; quale influenza e quando il provenzale abbia avuto sulla lingua e sulla poesia italiana; ed infine come sia avvenuto, che il linguaggio di una piccola provincia si trovasse già nella prima metà del secolo XIII adoperato negli scritti in gran parte d'Italia, e nominatamente in Sicilia, mentre ed in questa e per ogni dove si scriveva contemporaneamente nei volgari locali.

Diede occasione e mezzo di allargar la questione e di portarvi una luce insperata la publicazione fatta dal professore Adolfo Bartoli da un codice Fiorentino, di un sonetto inedito di un altro fra quegli antichi poeti, Aldobrando; e sopratutto di una notizia biografica tratta dal medesimo codice, dalla quale appariva, che quel poeta nacque in Siena l'anno 1112, mori in Palermo il 1186; e che educato alla scuola di Gherardo, poeta parimente in lingua italiana, in Firenze, dove molti dotti uomini a quel tempo si trovavano, acceso d'amore della sua lingua italiana, quantunque fosse valente anche in poesia latina, attese principalmente al volgare italiano, ed in questo compose molte poesie (1). La novità della cosa fu cagione che il Bartoli non vi prestasse fede, e nelle notizie biografiche relative a quel poeta stimasse essere avvenuto l'errore di un intero secolo. Ma la falsità di tale supposizione venne indi a poco dimostrata dalla publicazione che il Martini

(1) I viaggi di Marco Polo secondo la lezione del codice Magliabecchiano più antico, reintegrati col testo francese a stampa. Firenze, Lemonier, 1862; pag. LIX-LXVI.

faceva, sotto forma di lettera diretta a V. S. (1), di una canzone di Aldobrando, che traeva da uno dei codici d'Arborea, e che si trovava pure, ma non erasi potuta leggere, nel codice fiorentino, la quale pel suo argomento storico non poteva lasciar dubio intorno all'età del poeta, quale era indicata dal codice fiorentino. Indi a poco si scopriva in Siena un altro codice delle poesie di Aldobrando simile al Fiorentino; ed io mi offriva all'amico Martini di esaminarli ambedue ad uso dell' edizione, alla quale appunto attendeva, di quelle poesie secondo il codice d'Arborea. Ma ei volle che io medesimo trattassi le questioni cui dava occasione la scoperta dei nuovi documenti; e indi ebbe origine la Dissertazione che publicai or fa quattro anni sotto il titolo: Di Gherardo da Firenze e di Aldobrando da Siena, poeti del secolo XII, e delle origini del volgare illustre italiano (2).

Ma la stessa cagione che aveva indotto il Bartoli a mutare per congettura la lezione del codice fiorentino. ed a fare Aldobrando più recente di un intero secolo, ossia l'inveterata opinione che non oltre il secolo XIII potesse ritrarsi l'origine della lingua scritta e della poesia italiana: la stessa fece restie ad accogliere le nuove scoperte quasi tutte le persone che, numerose in Italia, trattano dei primordi della nostra lingua e poesia. Per altra parte la sincerità di quei manoscritti essendo accertata dalla concorde testimonianza di quanti li avevano veduti, non avendo ragioni di qualche peso da opporre, nè essendo possibile, dopo le nuove publicazioni, sfuggire la difficoltà riferendo quei poeti, come aveva fatto il Bartoli, ad

(1) Lettera di Pietro Martini, Presidente della Regia Biblioteca di Cagliari, al chiarissimo cav. prof. Francesco Zambrini, Presidente della Commissione per i testi di lingua nelle Provincie dell'Emilia; Cagliari 1865.

(2) Torino 1866, presso i fratelli Bocca.

un'età più vicina: lasciarono cadere la questione nel silenzio; e nel trattare delle origini della nostra lingua o tacquero dei nuovi poeti, o ne toccarono appena di volo, come di cosa al tutto incerta e di dubia fede.

Mutaronsi interamente le cose dal principio di quest'anno; poichè appena apparve la Relazione della Commissione Academica di Berlino che giudicava spurie le Carte tutte di Arborea, tosto in questa nostra che nuovamente dico umile, ma non a torto umile, Italia, si mostrò vero per parte dei contradittori di quelle Carte ciò che uno di essi, Paolo Meyer, disse invece de' loro propugnatori: che sovr' essi « l'autorité des noms est d'un » grand effet. » Tenendo, come attesta un altro di loro, la falsità delle carte d'Arborea per quel giudizio provata in modo, da non lasciare pur luogo ad appello: chi più chi meno temperatamente, ma concordi, si scagliano contro quelle innocenti, nè una voce si alza a difesa (1); mostrando con questo nuovo esempio la verità del proverbio:

ognun corre a far legna

All'albero che il vento in terra getta.

Ma se dopo quel giudizio fecero eco e furono unanimi in condannare le Carte di Arborea, assai poco, e pressochè nulla di qualche valore, aggiunsero a quanto, cercando dimostrarne la falsità, aveva detto la Commissione Academica di Berlino.

Siccome in ciò mio solo desiderio e mio scopo si è, non già di propugnare ad ogni costo la sincerità di quelle Carte, che io primo combatterei se mi persuadessero gli

(1) Da principio perfino alcuni giornali Cagliaritani parvero fare eco alla condanna, senza prenderla ad esame. Ora tuttavia alcuni giovani studiosi publicano una serie di articoli, dove con valide ragioni propugnano. la sincerità di quelle Carte, nel giornale Cagliaritano La Speranza, num. 1 e seguenti.

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