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d'Italia ed oltre tutto questo, era diligentissimo padrefamiglia, che alla donna sua vera, alla moglie, commetteva in fidata custodia la casa, alle mani di lei valenti raccomandandone la masserizia, e nella prole,

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solito numerosa, assicurando in vario modo le speranze e i disegni che i loro vecchi avevano accolto nell'animo quando li avevano congiunti marito e moglie.

Questa vita, così severamente pratica, laboriosa, procacciante, e nella quale alla formazione della famiglia soprintendevano l'autorità dei genitori e gl'interessi domestici o cittadini, versava nelle rime d'amore quanto di affettive idealità rimaneva in essa impedito o compresso. E vien subito pensato che in tali condizioni reali, la donna di rime originate in quel modo, questa donna affatto esteriore all'orbita delle cose attualmente e operativamente amate e curate dall'uomo di quei tempi, fosse, anzi dovesse senz'altro essere, donna ideale,

una figura poetica, il tema: il tema fittizio dei dolci sospiri, dei desiri dubbiosi, degli sconforti, delle confidenze soavi, che di necessità mancavano a quelle destinazioni senza scelta, a quel possesso senza contrasti. Ma non era così; anzi, ribatteremo, non poteva, per quelle stesse condizioni e qualità psicologiche di vita reale, non poteva esser così. Quella praticità di abitudini, positività d'intendimenti, ripugnanza in checchè si facesse dall'astratto e non determinato, era cagione che cotesti uomini, se gentilezza di cuore e di mente li portava a dir parole di amore in rima, volessero una donna alla quale indirizzarle; una donna viva e vera, col suo nome e cognome; volessero, questo loro « rimare << sopra materia amorosa », questo « co<< tal modo di parlare, trovato per dire << d'amore, farlo intendere» in buon volgare «a donna alla quale era malagevole <<< intendere i versi latini »; secondochè,

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nella Vita Nuova, 10) con imagini e locuzioni, come sentiamo, quanto più desiderar si possa nette e positive, ci è significato da Dante.

La « donna » del rimatore, dunque, esisteva; esisteva in tutta la sua realtà femminile, compresovi il non saper di latino: a una donna pensavano, a una donna parlavano, i « dicitori per rima »; 11) a una donna, la cui bellezza potesse il rimatore visibilmente ammirare, allietarsi del sorriso, per la lontananza sua sospirare, dei suoi lutti attristarsi, piangere sulla sua tomba, custodirne pia e ispiratrice la ricordanza. E pur tuttavia, nell'omaggio che ella riceveva, nulla era da ingelosirsene nè il marito di lei, nè la moglie del rimatore: aveva nome e cognome; ma questo cognome poteva anche, e senza veruno scandalo, essere quello che un valentuomo le avesse dato a portare e onorare; poteva per altre cagioni (di quelle per le quali potè

sempre e può anc' oggi), ma non per questa dei versi d'amore, essere la quiete coniugale turbata. Fra le tante, per le quali quella gente fiera e riottosa veniva al sangue così di leggieri, non si ha memoria, essere mai stato uno di tali amori poetici, che abbia fatto arrotare nel cupo silenzio della vendetta, o sguainare nei furori delle mischie improvvise, i ferri fratricidi. Nessun codice, dei tanti che riboccano di rime amorose, potrebbe essere registrato fra i documenti infausti delle nostre discordie cittadinesche. La quale, se così vuolsi chiamare, impunità non toglieva bensì, che il rimatore facesse de' suoi sospiri un mistero gentile, e mostrasse custodirlo segretamente, cosicchè al fior dell'affetto amoroso non mancasse neanche questa sua più delicata fragranza. Quindi, e lo schermirsi con le apparenze d'un altro amore, per nascondere quello vero; 12) e alle altrui inchieste negar di rispondere; 13) e ne'ser

ventesi enumeratívi, a uso provenzale, 1) delle più belle donne della città, il nome di ciascuna non andar congiunto con altro che con quello del suo « diritto signore », cioè del marito;1) e la « donna mia » del sonetto e della ballata o non avere altra personale designazione che quella (se il nome vi si presta) di qualche concettosa perifrasi onomastica, od anche il nome stesso, ma rigorosamente spoglio da qualsiasi allusione al cognome o ad altra caratteristica gentilizia o domestica.

I cognomi, del resto, son materia ribelle al linguaggio poetico, quanto arrendevole alle indagini e controversie critiche. Cosicchè anche solo per ciò, dovevano codeste donne poetiche, nel trasmettersi fino a noi, lasciar per istrada quel loro storico distintivo, e non rimanerne alcuna espressa testimonianza nella poesia da esse ispirata. Nessuno anzi ne avrebbe, è da credere, fatta questione, se la figura sopravvissutaci

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