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Di che ordischi 'l secondo;

Che giova, Amor, tuo' ingegni ritentare?
Passata è la stagion; perduto hai l'arme

Di ch'io tremava: omai che puoi tu farme? L'arme tue furon gli occhi, onde l'accese Saette uscivan d' invisibil foco,

E ragion temean poco;

Che contra 'l ciel non val difesa umana :
Il pensar, e'l tacer; il riso, e 'l gioco;
L'abito onesto, e 'l ragionar cortese;
Le parole, che 'ntese

Avrian fatto gentil d'alma villana ;

L'angelica sembianza, umile, e piana Ch'or quinci, or quindi udia tanto lodarsi E'l sedee, e lo star, che

Poser in dubbio, a cui

spesso

altrui

Devesse il pegio di più laude darsi.
Con quest' are vincevi ogni cor duro:
Or se' tu disarnato; i' son sicuro.

Gli Animi, ch'al to regno il cielo inchina,
Leghi ora in uno, d'or in altro modo:
Ma me sol ad un nolo

Legar potei; che 'l cie. d. più non volse .
Quell' uno è rotto; e 'n libertà non godo;
Ma piango, e grido: Ahi nobil pellegrina,
Qual sentenza divina

Me legò innanzi, e te prima discnlse?

;

Dio, che si tosto al mondo ti ritolse,
Ne mostrò tanta, e sì alta virtute
Solo per infiammar nostro desio.
Certo omai non tem'io,

Amor, della tua man nove ferute.

Indarno tendi l'arco; a voto scocchi:

Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi. Morte m'ha sciolto, Amor, ď ogni tua legge: Quella, che fu mia donna, al Cielo è gita, Lasciando trista, e libera mia vita.

SONETTO III.

Tentò Amor di invescarlo di nuovo, ma la morte ruppe 'I nodo, e lo rese libero.

L'ardente nodo, ov'io fui, d'ora in ora

Contando anni ventuno interi, preso,
Morte disciolse: nè giammai tal peso
Provai; nè credo, ch' uom di dolor mora.

Non volendomi Amor perder ancora,
Ebbe un altro lacciuol fra l'erba teso;
E di nov'esca un altro foco acceso,
Tal, ch'a gran pena indi scampato fora.

ed arso,

E se non fosse esperienza molta
De' primi affanni, i' sarei preso,
Tanto più, quanto son men verde legno.

Morte m'ha liberato un' altra volta;

E rotto 'l nodo; e 'l foco ha spento e sparso; Contra la qual non val forza, nè 'ngegno.

SONETTO IV.

Morta Laura, il passato, il presente, il futuro,

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La vita fugge, e non s'arresta un'ora;

E la morte vien dietro a gran giornate;
E le cose presenti, e le passate

Mi danno guerra, e le future ancora ;

E 'l rimembrar, e l'aspettar m' accora
Or quinci, or quindi sì, che 'n veritate,
Se non ch'i' ho di me stesso pietate,
I' sarei già di questi pensier fora.

Tornami avanti, s' alcun dolce mai

Ebbe'l cor tristo; e poi dall' altra parte
Veggio al mio navigar turbati i venti:

Veggio, fortuna in porto; e stanco omai
Il mio nocchier; e rotte arbore, e sarte;
E i lumi bei, che mirar soglio, spenti.

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SONETTO V.

Invita la sua anima ad alzarsi a Dio, ed abbandonar le vanità di quaggiù.

Che fai? che pensi? che

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Nel tempo, che tornar non pote omai,
Anima sconsolata? che pur vai.
Giugnendo legne al foco, ove tu ardi?

Le soavi parole, e i dolci sguardi,
Ch’ad un ad un descritti, e dipint' hai,
Son levati da terra; ed è (ben sai )
Qui ricercargli intempestivo, e tardi,

Deh non rinnovellar quel, che n' ancide;
Non seguir più pensier vago fallace,
Ma saldo e certo, ch'a buon fin ne guide.

Cerchiamo 'l Ciel, se qui nulla ne piace;
Che mal per noi quella beltà si vide,
Se viva e morta ne devea tor pace.

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