Lun Decio, e l'altro, che col petto aperse D'un magnanimo cerchio, e con la fronte, Contr' a' Cartaginesi; e chi lor navi E se non che 'l suo lume all' estremo ebe, Ma 'l peggio è viver troppo e vidi poi Cosso, Filon, Rutilio; e dalle spesse Luci in disparte tre Soli ir vedeva, E membra rotte, e smagliate arme, e fesse, Lucio Dentato, e Marco Sergio, e Sceva; Quei tre folgori, e tre scogli di guerra: Ma l'un rio successor di fama leva. Mario poi, che Giugurta, e i Cimbri atterra, E'l Tedesco furor; e Fulvio Flacco, Ch' agl' ingrati troncar, a bel studio erra; E'l più nobile Fulvio; e sol un Gracco Di quel gran nido garrulo e inquieto, Che fe'l popol Roman più volte stracco ; E quel, che altrui beato e lieto; parve Non dico fu: che non chiaro si vede Un chiuso cor in suo alto secreto: Metello dico; e suo padre, e suo rede; Che già di Macedonia, e de' Numidi, E di Creta, e di Spagna addusser prede. Poscia Vespasian col figlio vidi, Il buono e 'l bello; non già 'l bello e'l rio: E'l buon Nerva, e Traian, principi fidi: Elio Adriano, e'l suo Antonin Pio; Bella successione infino a Marco; Ch'ebber almeno il natural desio. Mentre che, vago, oltra con gli occhi varco, Vidi'l gran fondator, e i regi cinque: L'altr' era in terra di mal peso carco; Come adiviene a chi virtù relinque. DEL TRIONFO DELLA FAMA CAPITOLO SECONDO Pien d'infinita e nobil maraviglia, Presi a mirar il buon popol di Marte; Ch'al mondo non fu mai simil famiglia. Giugnea la vista con l'antiche carte, Ove son gli alti nomi, e i sommi pregi; E sentia nel mio dir mancar gran parte. Ma disviarmi i peregrini egregi: Annibal primo, e quel cantato in versi Achille, che di fama ebbe gran fregi: I duo chiari Troiani, e i duo gran Persi; Filippo, e 'l figlio, che da Pella agl' Indi Correndo vinse paesi diversi. Vidi l'altr' Alessandro non lunge indi, Non già correr così; ch' ebbe altro intoppo. Quanto del vero onor, Fortuna, scindi! I tre Teban, ch' io dissi, in un bel groppo: Nell' altro, Aiace, Diomede, e Ulisse, Che desiò del mondo veder troppo. spose Nestor, che tanto seppe, e tanto visse: Con dolce lingua, e con fronte serena. Che di sua terra fu scacciato e morto: Molto diverso il guidardon dall' opre! Com' io mi volsi, il buon Pirro ebbi scorto E il buon re Massinissa; e gli era avviso, D'esser senza i Roman, ricever torto. Con lui mirando quinci, e quindi fiso, Jeron Siracusan conobbi, e 'l crudo Amilcare da lor molto diviso. |