Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Or bene, altri segni o altre traccie, o note che si voglian dire, di popolarità non mancano, e formano una delle più belle conferme che si possano desiderare della conclusione a cui siamo già pervenuti. Cotesti segni hanno il significato che qui si vuol loro assegnare trovandosi già nei sonetti del secolo XIII; se comparissero soltanto più tardi, si potrebbe pensare che non sieno originari, ma che sieno dovuti a una posteriore influenza della poesia popolare.

Già il Gaspary osservò che nel secolo XIII « ordinariamente i sonetti sono più disinvolti e più moderni che non le canzoui» (1). Di fatti la lingua e lo stile risentono in generale assai meno della Canzone dei convenzionalismi di scuola d'allora, e per alcuni sonetti possiamo affermare recisamente che anche l'intonazione e il movimento sono schiettamente popolari.

Si leggano p. es. i primi otto versi di un sonetto di Jacopo da Lentino (VAL. I, 302), certo uno dei più antichi rimatori, il capo anzi della prima scuola poetica:

Diamante, nè smeraldo, nè zaffino,

nè vernull'altra gemma prezïosa,
topazo, nè giacinto, nè rubino,
nè l'aritropia, ch'è sì vertudiosa,
nè l'amatisto, nè 'l carbonchio fino,
lo quale è molto risplendente cosa,
non hanno tante bellezze in domino,

quant' ha in sè la mia donna amorosa.

Non è questo in tutto e per tutto un vero strambotto? Si rilegga anche una volta tutto intero il seguente sonetto, che per la sua bellezza fermò già l'attenzione di più d'uno. E d'autore incerto, ma del secolo XIII (D' ANC. n.° 797):

Tapina in me, c' amava uno sparvero;

amaval tanto ch' io me ne moria!

alo richiamo ben m' era manero,

ed umque troppo pascier nol dovia.

(1) La scuola poetica siciliana, trad. it. pag. 170.

Or è montato e salito si altero,
asai più alto che far non solia;
ed è asiso dentro a uno verzero:
un' altra donna lo tene im balia.

Isparver mio, ch' io t' avea nodrito,
sonalglio d'oro ti faciea portare,
perchè dell' uciellar fosse più ardito,

or se' salito sicome lo mare,

ed a' rotti li gieti e se' fugito,

quando eri fermo nel tuo uciellare.

Quanto siamo lontani dalla pesantezza plumbea delle rime auliche! Come è agile, snello, melodioso questo sonetto! E sotto l'allegoria quanta verità nell'accento e tenerezza di rimpianto in questa donna che si lagna dell'abbandono dell' amante raffigurato nello sparviero! E si noti, ciò che a me più importa di rilevare, che questa di simboleggiare l'amante nello sparviero o in altro uccello è una delle allegorie comuni della poesia popolare. La ritroviamo p. es. nel seguente rispetto toscano, certo ancor vivo una trentina d'anni fa (1), in cui all' uccello di rapina, allo sparviero, è sostituito il colombo:

Colombo bianco, quanto ti ho seguito,

e l'ali d'oro t'ho fatto portare,
hai preso un volo e poi te ne se'ito
quando era il tempo, amor, di vagheggiare.

Colombo bianco dall' ali d'argento,

tornalo a vagheggià 'l tuo cuor contento!

Colombo bianco dall' ali d'ottone,

tornalo a vagheggià 'l tuo primo amore.

Il Carducci ravvicinando per primo i due componimenti (2), notava « che v'è più d'una somiglianza, e non accidentale, tra 'l rispetto di Toscana e il sonetto siciliano ».

(1) Leggesi a pag. 29 della raccolta di Canti toscani scetti ed annotati da RAFF. ANDREOLI, Napoli, Pedone-Lauriel, 1857.

(2) Studi letterari pag. 427.

Colla quale osservazione si direbbe che egli in fondo accennasse alla natura originariamente popolare del Sonetto. A me intanto giova avvertire che non mancano altri antichi esempi di scambio della materia e dei colori tra il Sonetto e altri componimenti popolari (1).

E non è forse una mossa della poesia popolare la seguente onde incomincia un sonetto di Cecco Angiolieri (CHIG. n.° 482)?

Acchorri, acchorri, huom, a la strada,

che a fi' della putta, i' son rubato!
chitt' à rubato? una che par che rada
come raso', simm' à netto lasciato.

Ed è notevole e significativa la coincidenza perfin nelle espressioni del quadernario ora recato col primo di un altro sonetto composto qualche lustro più tardi, col seguente di Matteo Frescobaldi (pag. 47):

Accorr' uomo, accorr' uomo! i' son rubato!

all' arme, all' arme! correte alla strada,

prima che questa ladra se ne vada,

che m' à co' suoi begli occhi il cor furato.

(1) Citerò quelli che mi sembrano più significanti. Il Carducci a pag. 429 degli Studi letterari, dopo aver recato un madrigale che comincia l'na fera gentil più ch' altra fera, soggiunge: « Quest' ultimo è un raffazzonamento fatto a posta per servire alla musica, di un sonetto di Matteo Frescobaldi: o almeno a me non par credibile che il madrigale fosse il germe del sonetto che è tale: Una fera gentile più che altra fera (segue l'intero sonetto). E in nota della medesima pagina leggiamo « Altro esempio di una ballatina che procede da un sonetto vedilo a pag. 267 delle Cantil. [ene e ballate] IX, CCLXI. » Il n.0 XLIX delle medesime Cantilene e ballale è una ballata, che l'editore, il Carducci, considera come « una redazione o ricomposizione letteraria, ma pur di popolesca eleganza» de' due saggi che ad essa precedono. La relazione della ballata coi due saggi, e specialmente col n.9 XLVIII, è innegabile; se non che quanto al n.0 XLVIII mi pare che essa relazione vada considerata diversamente da quello che fa il Carducci. Il codice donde è tratta questa poesia reca dopo il v. 7 un altro verso che rima col primo, quarto e quinto (vedi WIESE, Giorn. stor. d. lett. it. II, 122, n.o 64). Il componimento sarebbe quindi un sonetto caudato, ma irregolare, poiché la seconda parte, non tenendo conto della coda, consta di sette versi, anziché di sei. E questa irregolarità mi sembra debbasi riguardare come un indizio dell'anteriorità della ballata, la quale non seppesi poi ridurre entro lo spazio più ristretto del sonetto. Un altro esempio. S. Ferrari nella Rivista critwa della lett. it. III, 190 recò un sonetto anonimo del sec. XV derivato secondo lui da uno strambotto.

E basteranno forse le poche citazioni fin qui fatte perché alla memoria del lettore, che abbia qualche dimestichezza colla nostra vecchia poesia, ne soccorrano parecchie altre consimili. Egli ricorderà subito molti sonetti di Cecco Angiolieri, alcuni di Rustico Filippi e di Pieraccio Tedaldi, e perfino alcuni dei sonetti amorosi di Guittone, ed altri in cui sono più o meno palesi le traccie di popolarità. E del resto che il Sonetto arieggi non di rado al canto del popolo fu fatto notare da più d'uno de' moderni storici e critici della nostra letteratura (1), ma sempre di passaggio, alla sfuggita; per il che non istimo superfluo di insistere ancora un poco su questa parte della mia dimostrazione.

E richiamo anzitutto l'attenzione del lettore su un fatto che non poteva essere bene avvertito prima che la pubblicazione del codice Vatic. 3793 fosse così avanzata come è ora. Nel secolo XIII troviamo alcuni contrasti amorosi in sonetti. Ne raccoglieremo gli esempi nel terzo capo di questo studio, bastandoci qui di notare che il loro svolgimento è precisamente analogo a quello del contrasto popolare. Il Sonetto dunque è adoperato in un genere di poesia essenzialmente popolare.

Nella poesia popolare erotica incontra di frequente che l'amante benedica o maledica l'amore causa delle sue gioie o delle sue pene. D'ordinario egli benedice o maledice

(1) Ci è già accaduto di citare più sopra nel testo il Gaspary e il Carducci. Del GASPARY si leggano anche le seguenti parole relative al carattere generale della poesia dell'Angiolieri (Storia della lett, ital, trad. it. pag. 190): « qui come in tutto ciò che Cecco ha scritto, noi abbiamo l'espressione diretta dell'uomo interiore, e qualche volta sentiamo suoni vivaci, ingenui, che arieggiano il canto popolare. 8. Morpurgo nella bella prefazione alle Kime di Piesaccio Tedaldi nota (pag. 27) che il sonetto V «è, le due quartine, tutto intessuto coi nomi dei giorni della settimana, che anche oggi il volgo si piace di cantare ne'suoi rispetti amorosi e in altre tiritere », e aggiunge (pag. 28) che nelle rime del Tedaldi, le quali sono tutte sonetti, « un lettore attento puo.... udir forse qualche lontana eco degli strambotti amorosi. » Non voglio poi dimenticare lo SCHUCHARDT, il quale a pag. 121 del suo libro Ritornell und Terzine richiama l'attenzione su di una formola della poesia popolare che si trova riprodotta del sonetto. È la formola di benedizione e maledizione, della quale ei fermeremo anche noi a discorrere ora nel testo.

l'anno, il mese, il giorno, l'ora, il punto del suo innamoramento. Di così fatte benedizioni o maledizioni si incontrano anche nel Sonetto.

Cecco Angiolieri CHIG. n.° 457

Maledecta sie l'or' e 'l punto e 'l giorno

e la semana e 'l mese e tutto l'anno
che la mia donna mi fece uno 'nganno
il quale m' à tolt' al cor ogni sogiorno.

Lo stesso CHIG. n.° 464

Maledecto e distructo sia da Dio
lo primo punto ch' io innamorai
di quella che dilecta se di guai
darmi et ogn' altro sollaçço à in oblio.

E Cino da Pistoja FANFANI pag. 237* (1)

Io maledico il dì ch' io veddi prima
la luce de' vostri occhi traditori,
el punto che veniste 'n su la cima
del core, a trarne l' anima di fuori;

e maledico l'amorosa lima,

ch' à pulito i miei detti, e' bei colori,

ch' i' ho per voi trovati, e messi in rima,
per far che 'l mondo mai sempre v' onori;

e maledico la mia mente dura,

che ferma è di tener quel che m'uccide:
cioè la bella e rea vostra figura,

per cui Amor sovente si spergiura,

si che ciascun di lei, e di me, ride,

che credo tôr la ruota alla ventura.

E Matteo Frescobaldi (pag. 62) o chi altri sia l'autore del seguente sonetto:

(1) L'asterisco aggiunto all'indicazione della pagina dei sonetti attribuiti a Dante e a Cino significa che non è ben certa la loro paternità (vedi le note alla Bibliografia).

« ÖncekiDevam »