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racconto di Lucano. Egli, pur avendo a sua disposizione il De bello alexandrino, di cui si valse nel seguito, s'appigliò ad un mezzo più agevole: rimaneggiò a modo suo ogni cosa, dando libero corso alla sua fantasia, troppo lungamente trattenuta. Certo non si troverebbero nè in Lucano nè in alcuno degli storici latini la lunga descrizione della bellezza di Cleopatra, le geste di lei, rinchiusa con Cesare nella torre del Faro, contro l'esercito assalitore di Achilla, la trasmutazione dell' eunuco Ganimede in un cavaliere d'Egitto, che dà modo ad Arsenoe di fuggire di carcere e per mezzo delle sue nozze con lei prende possesso del trono. Quest'ultimo tratto, che è abbastanza caratteristico a dare un'idea del modo in cui il nostro A. ha rimaneggiato ogni cosa, è qui da me riferito, secondo la traduzione italiana del Riccard. 2418:

<< Ganimedes venne a uno picolo isportello ch'iera in diritto del fondo dela carciere, donde il mare intrava là entro, quando elli enfiava ben forte. Apreso della volta aveva una picola finestrella quadra, donde la carciere ricieveva tanta di luminaria com' ella aveva; e tutto ensu dela volta aveva uno uscio di quercia bene isprangato di ferro e forte serato, che ssi convenia aprire tutte le volte che ll'uomo metteva niente là entro. Di sotto a quella carciera aveva una forte camera, ove le due damigielle ierano istate in pregione, dinanzi (1) che Cleopatra fosse istata diliverata. Alora comandò Tolomeo che Arsenor fosse messa di sotto tutto privatamente e intra lei e una sua pulciella, e ivi mandava l'uomo a mangiare per lo sportello.

<< Ganimedes venne a Arsenor e parlò a lei per uno colonbaio. Damigiella, disse egli, vostro fratello ee anegato, e Cleopatra che sì v'ae obriata sarà dama... Ma se voi mi volete credere, io vi traroe di qua entro e sarete dama. Per fede, rispuose Arsenor, se io potessi di qui uscire per te e montare in podere, elli nonn è niente ch'io non fa

(1) Il ms. dinazi.

ciessi a tuo consiglio e a tua volontà, ma io non vegio come ciò pòtesse esere (1) ».

Ganimede chiede il giuramento che acconsentirà a maritarsi con lui, ed ella acconsente.

<< Allora le gittò Ganimedes una sottile corda in gomitolo avolta ed alla sottile corda legò uno grosso canape, ed Arsinoe tirò il canape a ssé, ed avendo il canapo a ssé, legò l'uno capo a uno anello di ferro che dentro alla torre iera. Ganimedes atacò l'altro capo al battello. Allora si dispogliò la damigiella tutta ingniuda, ché molto iera la finestra istretta, dond'ella doveva uscire; poi si prese ala corda a due mani e s'apogiò ale pietre del muro per anbindue li piedi, che ella aveva iscalzati. Tanto fecie che ella n'uscio fuori, ché assai la trovoe istretta. Altrettale fecie sua compangnia, ma elli ebero tutto inanzi (2) mandati lor pani giuso da la finestra cola corda medesima. Quando l'una e l'altra fuorono nel battello, Ganimedes sine ritornò in Alexandra per didietro ale mura, dov'iera un suo giardino, e suoi sergienti chell' atendevano gli aprirono... » (3).

Ancora si vegga quale grazioso quadretto il nostro A. abbia saputo trarre da un accenno di Svetonio alle gite di Cleopatra e di Cesare sul Nilo (4).

<< Molte fiate aveniva che elli intravano in isole soli a soli, e in uno battelo solamente con due governatori, che il battelo menavano. E andavano incortinati e coperti di

(1) F. 75 d.

(2) Il cod. inazi.

(3) F. 76 a. Avverto che tanto in questo, come negli altri testi che dovrò riportare nel seguito del lavoro, mi son tenuto strettissimo ai codd., salvo che per certe particolarità di poca importanza, come lo scambio tra u e e, l'inserzione di / anche tra e ed a, o, u, la dimenticanza del segno di nasale, etc. Inoltre aggiungo la punteggiatura. Il nostro amanuense usa assai più di spesso il che l'u anche in mezzo di parola e tra due consonanti, il che del resto si trova di frequente in codd del sec. XIV. È curioso poi, ch'egli distribuisce il segno di abbreviazione che indica la mancanza d'una nasale, senza alcuna ragione, onde non è quasi da tenerne conto. Da certe sillabe, che avevano realmente una nasale etimologica, il segno si estese, per una cattiva abitudine grafica, a tutte le altre simili.

(1) Ediz. cit, § 52 «...et eadem nave thalamego paene Aethiopia tenus Aegyptum penetravit, nisi exercitus sequi recusasset ». Il passo francese fu riportato dal MEYER, loc. cit., p. 22 in nota.

*

sciamiti per me' l'acqua, e i cavalieri di Ciesare andavano apreso, cavalcando e seguendo il batello su per la riva. Elli andrebero volontieri a lunga in questa maniera da Egiptto insino in Tiope, Ciesare e Cleopatra per mezzo il fiume del Nilo.... (1) ».

Certo Svetonio non è tradotto molto fedelmente, ma il quadretto è disegnato con garbo ed acquista una tinta direi quasi di sentimentalità romantica, che mette in moto la fantasia. E simili a questi, si potrebbero trovare nella lunga compilazione molti altri episodi, ancor essi notevoli, sebbene per lo più assai brevi: ad esempio quello degli amori della regina Annes, moglie del re Bogudis, con Cesare, il quale ha la sua origine in Svetonio (2), o quello per contro interamente fantastico di Rancellina, figlia del visconte di Munda, che alla notizia della morte di Igneo (3), si butta giù dalle mura.

Eppure, nonostante l'ultimo libro della Farsaglia, che l'A. stesso confessa d'aver trovato oscuro (4) e d'aver dovuto pensar a chiarire per mezzo d'una quantità d'altri scrittori (tra cui Erodoto e Beroso), e nonostante anche tutti gli altri adornamenti sia guerreschi sia erotici, che a lui dovevano parere d'una grande verosimiglianza, non si può dire che il nostro anonimo si permettesse troppo spesso arbitrarie variazioni al racconto, in ciò che questo ha d'essenziale. Gli autori sono seguiti con sufficiente fedeltà: ciò che in essi non si trova, spesso è dovuto ad altra fonte, che al compilatore si presentava o come un utile complemento o come una buona correzione. Così quando egli dice che il corpo di Tolomeo fu trovato in fondo all'acqua, vestito d'un usbergo d'oro, egli attinge, direttamente o no non importa, all' Historia romana di Eutropio (5); quando

(1) F. 77 c.

(2) § 52: « Dilexit et reginas, inter quas Eunoen Mauram, Bogudis uxorem... » (3) Cioè Gneo, il figlio di Pompeo.

(4) Cfr. Romania, loc. cit., pp. 19-20.

(5) O all' Historia Miscella. Dalla seconda senza dubbio dipende p. es. EKKEHARD, Chronicon universale (ap. PERTZ, SS. VI, p. 96) ed anche il PETRARCA, nella lunga

afferma che Catone, prima di morire, chiamò a sé i suoi figliuoli, consigliandoli a rappacificarsi con Cesare, egli è d'accordo con S. Agostino (1); ancora, quando fa ch'egli si avveleni invece di trafiggersi, secondo la storia, con la propria spada, ha con sé molti altri scrittori medioevali, i quali probabilmente risalgono tutti in ultima analisi ad un testo interpolato dell' Historia Miscella (2). Infine, un'ultima prova e più importante noi abbiamo del rispetto che il nostro anonimo portava agli autori da lui seguiti, nel non aver egli tentato di alterare lo spirito della Farsaglia, per renderlo favorevole a Cesare. La tendenza generale del medio evo è di esaltarlo, rigettando nell'ombra Pompeo, di presentarlo come il grande, il generoso, l'invitto imperatore, di coprire d'infamia i suoi uccisori, che si fanno comparire come mossi da ambizione o da invidia (3). Egli invece, fedele al suo modello, non cerca mai di schiarirne le tinte troppo fosche, di risparmiare a Cesare nessuna delle violente e spesso senza dubbio parziali e retoriche invettive, di togliere a Pompeo nessuno degli elogi che gli tributa o dei compianti onde lo onora. Vedremo che ben diversamente si comportò qualche decina d'anni più tardi un altro narratore della storia di Cesare, Giovanni di Tuim.

biografia di Cesare, che fa parte della sua opera De viris illustribus. Vedi FRANCISCI PETRARCHAE historia Julii Cesaris auctori vindicavit, secundum codicem Hamrburgensem correxit... C. E. CHR. SCHNEIDER, Lipзia, 1827, p. 264.

(1) De civitate Dei (edita da B. DOMBARDT, Lipsia, Teubner, 1863), vol. I, pp. 33-34. Cfr. SESTO AURELIO VITTORE, De viris illustribus urbis Romae, a Cuto praetorius.

(2) Essa scrive, copiando Orosio: « Cato apud Uticam sese occidit; Juba percussori jugulum praebuit, MURATORI, RIScr. I, co!. 46. Si confronti EKKEHARD, loc. cit., p. 91: Cato sese apud Uticam veneno occidit: Juba percussori jugulum dato precio prebuit ». Vedi anche il mio ultimo capitolo. Il nostro autore poi, aggiungendo che Catone s'avvelenò con la cicuta, mostra di ricordare la morte di Socrate, la quale era per più d'un modo nota al medio evo.

(3) Cfr. GRAF, op. cit., I, 299-300, e si veda pure l'importante recensione, che del libro del Graf fece G. PARIS, in Journal des Savants, anno 1884, sopratutto Pp. 569-70. Riguardo però a ciò che nell' un luogo o nell'altro si dice del Petrarca, si può osservare che anch'egli ha severe parole per gli uccisori nella sua biografia di Cesare, ediz. cit., pp. 328, 332, mentre difende Cesare con calore. Cfr. qui più sotto pp. 365 sg., e il mio ultimo capitolo,

Tale è questa curiosa compilazione, che godette in Francia ed in Italia un così straordinario favore. Una vera traduzione non è, come s'è visto, quantunque gli autori sieno spesso seguiti passo passo ed anche tradotti con fedeltà e felicità molto notevoli per il tempo: un vero romanzo neppure, perché la parte classica sovrabbonda; è qualcosa che sta di mezzo fra i due, cercando di congiungere, secondo il concetto medievale, l'utilità della storia colle attrattive romanzesche. L'autore doveva essere un chierico, quantunque non ne venga innanzi nessun indizio diretto, se noi giudichiamo dalla dottrina ch'egli dimostra, certo per il suo tempo ragguardevolissima. Egli non solo conosceva un grande numero di scrittori latini, come appare dalle cose che siamo venuti dicendo, ma li intendeva assai bene (1) e, quel

(1) Questo non impedisce certo ch'egli abbia preso dei grossi abbagli; efr. Romania, loc. cit., p. 21. Qualcun altro dei più curiosi ne citerò io, e tali che non potrebbero essere attribuiti ai traduttori italiani. Svetonio, 20, scrive: « Antiquum etiam retulit honorem, ut quo mense fasces non haberet, accensus ante eum iret, lictores pone sequerentur ». Ei Fatti di Cesare a stampa, p. 44: < Cesare mutò la costuma (di onorare il senato con rami], e volle in luogo di rami luminarie, e dietro facea venire li sacrificatori del tempio..... Così in Svetonio, 30, Catone giura di accusar Cesare, appena abbia congedato l'esercito, qui, p. 69, promette invece, se lo congedi, di parlare in suo favore. Lucano, I, vv. 674 sgg., parla di una matrona che andava forsennata « per urbem », vaticinando sventure, e il traduttore: «Car l'en vit une matroine forsennée qi aloit criant parmi Rome a aute vois et estoit si hout en l'air qe tuit cil de la vile la pooient veoir... » (cito dal GELLRICH, Die Intelligenza, ein altitalienisches Gedicht..., Breslau, 1883, p. 25, il quale si servi del cod. Marciano francese III). L'errore provenne dai versi 678-79 « ... . Qua mê super aethera raptam Coustituis terra?» Ancora: Svetonio, 45, narra di Cesare ch'egli era circa corporis curam morosior, ut non solum tonderetur diligenter ac raderetur, sed velleretur etiam, ut quidam exprobraverunt », e i Fatti, p. 263: < Tradito credeva essere da' barbieri, sicché elli faceva altresì sovente suoi peli e barba divellere e tondare come radere, etc. ». Infine si posson confrontare i luoghi della stampa italiana che corrispondono ai seguenti versi di Lucano: I, 307-309, 512-13; II, 544 sgg., IV, 613 sgg; V, 741-42; VII, 108-109, 354-55, 374 sgg., etc., oltre ai passi già seguati in nota dall'editore. — Abbaglio d'altro genere è quello che induce l'anonimo nostro a confondere Milone crotoniate con Milone, il cavaliere romano difeso da Cicerone, Fatti, p 76. Di Giugurta dice che fu buttato giù da un arco e su quello poi scrissero i Romani la vittoria avuta di lui, p 8, non so se inventando o attingendo a qualche fonte a me iguota. Infine è strano che egli prenda Agrippa, il generale di Ottaviano, per una donna, che dice sorella di costui, p. 185 e nei codici anche altrove.

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