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Ed anche più ch'a torto

Mi par di servidor nome tenere:
Cosi dinanzi agli occhi del piacere

Si fa 'l servir mercè d' altrui bontate,
Ma poich' io mi ristringo a veritate,
Convien che tal desio servigio conti;
Perocchè s'io procaccio di valere,
Non penso tanto a mia proprietate,
Quanto a colei che m'ha in sua podestate;
Chè 'l fo perchè sua cosa in pregio monti:
Ed io son tutto suo; così mi tegno;
Ch' Amor di tanto onor m' ha fatto degno.

5.

Altri ch' Amor non mi potea far tale,
Ch'io fossi degnamente

Cosa di quella che non s'innamora,
Ma stassi come donna, a cui non cale
Dell' amorosa mente,

Che senza lei non può passare un'ora.
Io non la vidi tante volte ancora,
Ch'io non trovassi in lei nuova bellezza;
Onde Amor cresce in me la sua grandezza
Tanto, quanto il piacer nuovo s' aggiugne.
Per ch'egli avvien, che tanto fo dimora
In uno stato, e tanto Amor m' avvezza
Con un martiro e con una dolcezza,
Quanto è quel tempo che spesso mi pugne,
Che dura dacch'io perdo la sua vista
Infino al tempo ch' ella si racquista.

6.

Canzon mia bella, se tu mi somigli,
Tu non sarai sdegnosa

Tanto, quanto alla tua bontà s'avviene:
Ond' io ti prego che tu t' assottigli,
Dolce mia amorosa,

In prender modo e via, che ti stea bene.
Se cavalier t'invita, o ti ritiene,
Innanzi che nel suo piacer ti metta,
Spia se far lo puoi della tua setta;
E se non puote, tosto l'abbandona,
Chè 'l buon col buon sempre carriera tiene.
Ma egli avvien, che spesso altri si getta
In compagnia, che non ha che disdetta
Di mala fama, ch' altri di lor suona.
Con rei non star nè ad ingegno nè ad arte;
Chè non fu mai saver tener lor parte.

CANZONE XI.

1.

Cosi nel mio parlar voglio esser aspro,
Com' è negli atti questa bella pietra,
La quale ognora impètra

Maggior durezza e più natura cruda:
E veste sua persona d'un diaspro
Tal, che per lui, o perch' ella s'arretra,
Non esce di farètra

Saetta, che giammai la colga ignuda.

Ed ella ancide, e non val ch'uom si chiuda, Nè si dilunghi da' colpi mortali;

Che, com' avesser ali,

Giungono altrui, e spezzan ciascun' arme:
Perch'io non so da lei, nè posso aitarme.

2.

Non trovo scudo ch'ella non mi spezzi,
Nè luogo che dal suo viso m'asconda;
Ma come fior di fronda,

Così della mia mente tien la cima.
Cotanto del mio mal par che si prezzi,
Quanto legno di mar, che non leva onda:
Lo peso che m'affonda

È tal, che non potrebbe adeguar rima.
Ahi! angosciosa e dispietata lima,
Che sordamente la mia vita scemi,
Perchè non ti ritemi

Rodermi così il core scorza a scorza,

Com' io di dire altrui chi ten dà forza?

3.

Chè più mi trema il cor, qualora io penso Di lei in parte, ov'altri gli occhi induca, Per tema non traluca

Lo mio pensier di fuor si che si scopra,

Ch'io non fo della morte, che ogni senso

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Colli denti d' Amor già mi manduca :
Ciò che nel pensier bruca

La mia virtù si che n'allenta l'opra.

El m' ha percosso in terra, e stammi sopra

15

Con quella spada, ond' egli ancise Dido,
Amore, a cui io grido,

Mercè chiamando, ed umilmente il priego:
E quei d' ogni mercè par messo al niego.

4.

Egli alza ad or ad or la mano, e sfida
La debole mia vita esto perverso,
Che disteso e riverso

Mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco.
Allor mi surgon nella mente strida;
E'l sangue, ch'è per le vene disperso,
Fuggendo corre verso

Lo cor che'l chiama; ond' io rimango bianco.

Egli mi fiede sotto il braccio manco

Si forte, che 'l dolor nel cor rimbalza;

Allor dich' io: S'egli alza

Un'altra volta, Morte m'avrà chiuso
Prima che 'l colpo sia disceso giuso.

5.

Cosi vedess' io lui fender per mezzo
Lo core alla crudele, che 'l mio squatra;
Poi non mi sarebb' atra

La morte, ov' io per sua bellezza corro!
Chè tanto dà nel Sol, quanto nel rezzo,
Questa scherana micidiale e latra.

Oimè perchè non latra

Per me,

com'io per lei nel caldo borro? Chè tosto i' griderei: io vi soccorro; E farel volentier, siccome quegli,

Che ne' biondi capegli,

Ch' Amor per consumarmi increspa e dora,
Metterei mano e saziere' mi allora.

6.

S'io avessi le bionde treccie prese,
Che fatte son per me scudiscio e ferza,
Pigliandole anzi terza,

Con esse passerei vespro e le squille:
E non sarei pietoso nè cortese,
Anzi farei com' orso quando scherza.
E se Amor me ne sferza,

Io mi vendicherei di più di mille;

E i suoi begli occhi, ond' escon le faville,
Che m'infiammano il cor, ch'io porto anciso,
Guarderei presso e fiso,

Per vendicar lo fuggir che mi face:

E poi le renderei con amor pace.

Canzon, vattene dritto a quella donna, Che m'ha ferito il core, e che m'invola Quello, ond' io ho più gola:

E dalle per lo cor d'una saetta;

Chè bell' onor s' acquista in far vendetta.

SESTINA.

1.

Al poco giorno, ed al gran cerchio d'ombra Son giunto, lasso! ed al bianchir de' colli,

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